La storia nascosta delle torture della CIA
la strada che ha portato ad Abu Ghraib
DI ALFRED W.McCOY
Dai ferri roventi e gli uncini laceranti dell’antica Roma agli schiaccia pollici e alle ruote di tortura medievali, per oltre 2000 anni chiunque fosse interrogato in un tribunale poteva aspettarsi di subire indicibili torture. Negli ultimi 200 anni, intellettuali umanisti che vanno da Voltaire a membri di Amnesty International hanno portato avanti una ferma campagna contro gli orrori di questa crudeltà sponsorizzata dallo stato, campagna culminata nella Convenzione delle Nazioni Unite del 1985 Contro la Tortura, ratificata dall’amministrazione Clinton nel 1994.
Poi è venuto l’11 settembre. Quando le torri gemelle sono crollate uccidendo migliaia di persone, alcuni influenti “cervelloni cinici” hanno prontamente ripudiato quegli ideali illuministici e hanno avviato una discussione pubblica sul fatto se se la tortura potesse essere un’arma appropriata, se non addirittura necessaria, nella guerra al terrore di George Bush. Tra di loro, il più persuasivo, l’accademico di Harvard Alan M. Dershowitz, ha sostenuto il diritto dei tribunali di fornire delle “autorizzazioni alla tortura”, assicurando che le informazioni necessarie potrebbero essere ottenute mediante aghi d’acciaio da determinati soggetti arabi poco disponibili a fornirle altrimenti.
Nonostante il ricorso alla tortura come ad un “male minore”, un espediente necessario in tempi pericolosi, coloro che ne sono a favore ignorano la sua recente, problematica storia in America. Sembrano anche essere ignari di una perversa patologia che consente alla pratica della tortura, una volta iniziata, di diffondersi incontrollabilmente in situazioni di crisi, distruggendo la legittimità delle nazioni che la perpretano. Come i torturatori del passato potrebbero dire ai cervelloni di oggi, la tortura affonda nei recessi della coscienza umana, dando libero sfogo ad un’insondabile capacità di essere crudeli, oltre ad una seducente illusione di potere. Persino mentre cervelloni e professori fantasticavano di “tortura limitata, chirurgica”, l’amministrazione Bush, seguendo gli ordini del Presidente di “dare qualche calcio in culo”, sperimentava, dimostrandole false, queste teorie, approvando segretamente interrogatori brutali; i quali, dapprima utilizzati contro pochi “bersagli di alto valore strategico”, sospetti membri di Al Qaida, si sono rapidamente diffusi ad una gran quantità di afgani comuni e poi a centinaia di iracheni innocenti.
La patologia perversa della tortura
Nell’Aprile 2004, l’opinione pubblica americana è stata sbalordita dalle fotografie apparse in televisione della prigione di Abu Ghraib, che mostravano iracheni denudati e incappucciati, posti in posizioni contorte, mentre subivano abusi visibilmente umilianti, con dei soldati statunitensi che se ne stavano lì sorridenti. Mentre lo scandalo si è impadronito dei titoli di giornale di tutto il pianeta, il Segretario della Difesa Donald Rumsfeld ha prontamente assicurato al Congresso che quegli abusi “erano stati perpetrati da un piccolo numero di militari statunitensi”, che l’editorialista del New York Times William Safire presto ha bollato come “disgustosi”.
Queste foto tuttavia non mostrano semplicemente brutalità e neppure evidenziano un cedimento della “disciplina militare”. Ciò che registrano sono le tecniche di tortura della CIA che hanno prodotto delle metastasi, come un cancro sconosciuto sviluppatosi all’interno della comunità dei servizi segreti statunitensi durante il mezzo secolo passato. Una panoramica storica mostra come la CIA è stata, in realtà, l’agenzia guida ad Abu Ghraib, arruolando i servizi segreti dell’esercito a supporto della sua missione. Queste fotografie dall’Iraq illustrano anche le procedure standard degli interrogatori nei campi di prigionia segreti della CIA, che sono state operativi globalmente, per decreto esecutivo, fin dall’inizio della guerra al terrore del Presidente.
Osservato da un punto di vista storico, lo scandalo di Abu Ghriab è il prodotto di una politica statunitense profondamente contraddittoria nei confronti della tortura fin dall’inizio della Guerra Fredda. Nelle Nazioni Unite e in altri forum internazionali, Washington si è a lungo dichiarata ufficialmente contraria alla tortura e ha appoggiato uno standard universale per i diritti umani. Simultaneamente, la CIA ha diffuso ingegnose nuove tecniche di tortura contravvenendo a quelle stesse convenzioni internazionali, alcune delle quali erano state ratificate dagli Stati Uniti. Nel combattere il comunismo, inoltre, gli Stati Uniti hanno adottato alcune delle pratiche più discutibili – sovvertimento di regimi all’estero, repressione interna, e, più significativamente, la tortura stessa.
Dal 1950 al 1962, la CIA ha condotto una ricerca massiccia e segreta sulla coercizione e sulla malleabilità della coscienza umana che, dai tardi anni ’50, è costata un miliardo di dollari all’anno. Molti americani hanno sentito parlare degli aspetti più stravaganti e meno riusciti di questa ricerca – come la sperimentazione dell’LSD su soggetti ignari. Mentre questi esperimenti con la droga della CIA non hanno portato da nessuna parte, e gli esperimenti con l’elettroshock hanno portato solo a procedure penali, la ricerca nel campo della deprivazione sensoriale si è dimostrata davvero fruttuosa. In realtà, questa ricerca ha prodotto un nuovo metodo di tortura, psicologico anziché fisico, forse meglio descritto come tortura “senza contatto”.
La scoperta dell’agenzia è stata una rivelazione contro l’intuito, la prima vera rivoluzione in questa scienza crudele dal diciassettesimo secolo in poi – e grazie alle recenti rivelazioni da Abu Ghraib e da Guantanamo, anche noi abbiamo ormai preso familiarità con questi metodi, anche se molti americani non hanno idea della storia che c’è dietro. Dopo un esame attento, quelle fotografie di corpi nudi svelano le tecniche di tortura più basilari della CIA – posizioni di stress, deprivazione sensoriale, umiliazione sessuale.
Per oltre 2000 anni, dall’antica Atene all’inquisizione, chi interrogava rilevava che l’inflizione di dolore fisico spesso produceva un acuirsi della resistenza o inaffidabilità delle informazioni – i forti sfidavano il dolore, mentre i deboli dicevano qualunque cosa potesse servire a fermarlo. In contrasto, il paradigma di tortura psicologica della CIA usa due nuovi metodi, il disorientamento sensoriale e il “dolore auto inflitto”, entrambi mirati a far sentire le vittime responsabili della propria sofferenza e a capitolare così più rapidamente ai loro torturatori. Una settimana dopo lo scoppio dello scandalo di Abu Ghraib, il generale Geoffrey Miller, comandante della prigione statunitense in Iraq (e precedentemente di Guantanamo), ha fornito una sintesi inconsapevole di questa tortura a due fasi. “Non incappucceremo più, in nessuna circostanza, nessuno di questi detenuti” ha detto il generale. “Non useremo più posizioni stressanti in nessuno dei nostri interrogatori. E non useremo più la privazione del sonno in nessuno dei nostri interrogatori.”
Nelle condizioni presentatesi sin dall’inizio della guerra in Afghanistan, gli addetti agli interrogatori, sia dell’Agenzia che alleati, hanno spesso aggiunto al loro repertorio di tortura “senza contatto”, metodi fisici reminiscenti dei tratti distintivi della tortura dell’inquisizione – lo strappado (1), la question de l’eau (2), la “cicogna di storpiatura” (3), la “maschera d’infamia” (4). Nella sede della CIA vicino a Kabul, per esempio, gli americani addetti agli interrogatori obbligavano i prigionieri “a stare con le mani incatenate al soffitto e i piedi legati per le caviglie”, con un effetto simile allo strappado. Anziché usare l’attrezzo di ferro della cicogna di storpiatura dell’inquisizione per contorcere il corpo delle vittime, gli uomini della CIA facevano assumere alle loro vittime simili “posizioni di stress” senza meccanismi esterni, mirando di nuovo all’effetto psicologico del dolore auto inflitto.
Anche se sembra meno brutale dei metodi fisici, la tortura “senza contatto” della CIA, lascia cicatrici psicologiche profonde e brucianti, sia nelle vittime che – cosa raramente notata – negli esecutori. Le vittime spesso hanno bisogno di un lungo trattamento per recuperare un trauma che molti esperti considerano più dannoso del dolore fisico. Gli esecutori possono essere soggetti ad una pericolosa espansione dell’ego, che può portare ad un escalation di atti di crudeltà e a duraturi disordini emotivi. Quando applicate in situazioni reali, le procedure psicologiche della CIA hanno frequentemente portato a crudeltà inimmaginabili, fisiche e sessuali, da parte di singoli esecutori capaci spesso di improvvisazioni terrificanti e solo occasionalmente efficaci.
Proprio come chi interroga è spesso sedotto da un oscuro, potenziante, senso di dominio sulle vittime, così i loro superiori, anche ai più alti livelli, possono soccombere alle fantasie della tortura come un’arma che tutto può. La nostra attuale concezione della tortura come aberrazione, e dei suoi esecutori come esseri ripugnanti, ignora sia la sua pervasività come pratica occidentale nei due millenni passati, sia il suo fascino perverso. Una volta che la tortura comincia, i suoi esecutori, immergendosi negli insondabili recessi della coscienza, sono spesso trascinati da oscure fantasie, da frenesie di potere e di potenza, possesso e controllo – in modo particolare in momenti di crisi. “Quando si sviluppano sentimenti di insicurezza nell’ambito delle strutture di potere” si legge in un’analisi della CIA sullo stato sovietico, applicabile al dopo 11 settembre “esse diventano sempre più sospettose, tanto da operare forte pressione sulla polizia segreta al fine di ottenere arresti e confessioni. In questi periodi i funzionari di polizia sono inclini a passare sopra qualunque cosa produca una ‘confessione’ veloce, e la brutalità può diventare pratica comune”.
Estasiati da questa illusione di potere, gli stati moderni che autorizzano la tortura, di solito le permettono di diffondersi in modo incontrollato. Dal 1967, solo quattro anni dopo aver redatto un manuale sulla tortura da usare contro pochi obiettivi strategici sovietici, c’erano 40 centri operativi della CIA, nel Vietnam del Sud, per gli interrogatori, e questo faceva parte del Programma Phoenix con cui vennero uccisi più di 20.000 sospetti Viet Cong. In questi centri, vennero torturate migliaia e migliaia di persone per ottenere le informazioni che portarono a quegli assassinii. Similmente, solo pochi mesi dopo che dei funzionari della CIA torturavano per primi i principali sospetti membri di Al Qaida a Kabul nel 2002, i suoi agenti erano coinvolti nei brutali interrogatori di centinaia di prigionieri iracheni. Come eredità più problematica, il metodo psicologico della CIA, con la sua patina di legittimazione scientifica e per il fatto di evitare violenza fisica esplicita, ha fornito un pretesto per la preservazione della tortura come pratica accettabile all’interno della comunità dell’intelligence statunitense.
Una volta adottata, la tortura offre una così potente illusione di efficienza nell’estrazione delle informazioni, che i suoi esecutori, ad alti e bassi livelli, rimangono legati al suo utilizzo. Regolarmente si rifiutano di riconoscere la sua utilità limitata e il suo alto costo politico. Almeno due volte durante la Guerra Fredda, i corsi di tortura della CIA hanno contribuito alla destabilizzazione di due alleati americani chiave, lo Shah in Iran, e Ferdinando Marcos nelle Filippine. Eppure anche dopo la loro rovinosa caduta, l’Agenzia è rimasta cieca verso il fatto che i suoi corsi sulla tortura stavano distruggendo gli alleati, anziché difenderli.
Ricerche sulla tortura della CIA
La sperimentazione della tortura da parte della CIA negli anni ’50 e nei primi anni ’60, è stata documentata nel 1963 in un succinto e segreto libretto di istruzioni sulla tortura – il manuale “KUBARK Counterintelligence Interrogation”, che sarebbe diventato la base per un nuovo metodo di tortura diffuso globalmente nei tre decenni successivi. Queste tecniche vennero prima diffuse attraverso il programma di Pubblica Sicurezza dell’U.S. Agency for International Development, per addestrare la polizia in Asia e in America Latina in prima linea nella difesa dai comunisti e da altri rivoluzionari. Dopo che un incollerito Congresso abolì il programma di Pubblica Sicurezza nel 1975, la CIA lavorò con squadre mobili di addestramento dell’esercito statunitense per la formazione di militari addetti alle interrogazioni, principalmente in America Latina.
Alla fine della Guerra Fredda, Washington riesumò il suo appoggio ai principi universali, denunciando i regimi che praticavano la tortura, partecipando alla Conferenza Mondiale sui diritti umani a Vienna nel 1993 e, un anno dopo, ratificando la Convenzione dell’ONU Contro la Tortura. In superficie, gli Stati Uniti avevano risolto la tensione tra i loro principi contro la tortura e la loro pratica della tortura. Eppure, anche quando il Congresso finalmente ratificò la convenzione dell’ONU, lo fece con delle complicate riserve che abilmente escludevano i metodi di tortura psicologica della CIA. Mentre altri servizi segreti considerati sinonimi della Guerra Fredda, come la Securitate in Romania, la Stasi nella Germania dell’est, e il KGB in Unione Sovietica, sono scomparsi, la CIA sopravvive – i suoi archivi sono stati sigillati, i suoi funzionari sono stati decorati, i suoi crimini durante la Guerra Fredda dimenticati. Senza ripudiare la diffusione dell’uso della tortura nella CIA, ma adottando una convenzione ONU che ne condannava la pratica, gli Stati Uniti hanno lasciato che questa contraddizione rimanesse nascosta come una mina politica pronta a scoppiare con una potenza fenomenale nello scandalo di Abu Ghraib.
Ricordarsi e dimenticare
Oggi il pubblico americano ha solo una vaga comprensione di questi eccessi della CIA e della dimensione del suo massiccio progetto di controllo mentale. Eppure quasi ogni adulto americano conserva una frammentaria memoria di questo passato – degli esperimenti con l’LSD, del programma Phoenix della CIA in Vietnam, dell’omicidio di un consulente della polizia americana sequestrato a Montevideo, che stava insegnando tecniche della CIA alla polizia uruguaiana, e naturalmente delle fotografie di Abu Ghraib. Ma pochi sono in grado di mettere insieme questi frammenti per afferrare il quadro più generale. In sintesi, vi è un ignorare, un evitare, in modo deliberato, un argomento profondamente problematico, un qualcosa di affine a ciò che si verifica nelle società post autoritarie, quando si stende un velo su questo problema.
Con la controversia su Abu Ghraib, incidenti che una volta non apparivano che singoli episodi, ora dovrebbero essere messi insieme per formare il quadro di un’agenzia clandestina che manipola il governo e inganna i cittadini per sondare il lato nascosto della crudeltà della coscienza umana, e per diffondere quindi le sue scoperte in tutto il Terzo Mondo.
Le democrazie forti hanno difficoltà ad occuparsi della tortura. Nei mesi seguenti la diffusione delle foto di Abu Ghraib, gli Stati Uniti si sono mossi rapidamente sugli stessi passi (così definiti dall’autore John Conroy) che il Regno Unito aveva già seguito dopo le rivelazioni sulle torture dell’esercito britannico nell’Irlanda del Nord nei primi anni ’70 – per prima cosa, minimizzare la tortura con eufemismi tipo “interrogatori che vanno in profondità”; poi, giustificarla sulla base del fatto che era stata necessaria o efficace; e infine, cercare di insabbiare l’argomento dando la colpa a “poche mele marce”.
In realtà, dallo scorso Aprile, l’amministrazione Bush e gran parte dei media, hanno accuratamente evitato la parola “tortura”, e hanno invece dato la colpa alle nostre mele marce, quei sette membri della polizia militare. A Luglio, l’ispettore dell’esercito, il Generale Paul T. Mikolashek, ha consegnato il suo rapporto denunciando 94 incidenti di “abuso”, dovuti a “mancanza individuale di fedeltà ai valori dell’esercito”. Benché il New York Times abbia definito “comica” questa conclusione, il punto di vista del generale è sembrato avere una certa risonanza in un emergente consenso conservatore. “Gli interrogatori non sono una scuola domenicale” ha detto il senatore repubblicano Trent Lott. “Non si ottengono informazioni che salveranno vite americane negando focaccine”. A Giugno, un sondaggio di ABC News/Washington Post ha trovato che il 35% degli americani pensa che la tortura sia accettabile in alcune circostanze.
Ad Agosto, il maggiore George R. Fay ha emesso il suo rapporto sul ruolo dei servizi segreti militari ad Abu Ghraib. Le sue sensazionali rivelazioni sulle motivazioni di queste torture sono state tuttavia nascoste dietro un’opaca prosa militare. Dopo aver intervistato 170 membri del personale e aver visionato 9000 documenti, il maggiore ha suggerito che questo abuso fosse il prodotto di una linea politica sugli interrogatori forgiata, sia nel progetto che nell’applicazione, dalla CIA.
Significativamente, il maggiore Fay non ha accusato le “sette mele marce”, ma le procedure stesse degli interrogatori di Abu Ghraib. Dei 44 abusi verificabili, un terzo sono avvenuti durante veri e propri interrogatori. Inoltre, queste procedure di “routine” per gli interrogatori, “hanno contribuito ad un escalation della ‘disumanizzazione’ dei detenuti e hanno posto le condizioni perché avvenissero ulteriori seri abusi”.
Dopo aver giudicato sicura la dottrina standard dell’esercito in materia di interrogatori, il maggiore Fay è stato obbligato ad affrontare un’unica, centrale, scomoda domanda: da dove venivano quelle aberranti pratiche, al di fuori delle dottrine standard, che hanno portato alla tortura durante gli interrogatori di Abu Ghraib? Sparsi nel suo rapporto ci sono i punti, abilmente non connessi, che portano dalla Casa Bianca alle celle della prigione irachena: il presidente Bush ha dato al Segretario della Difesa ampi poteri sui prigionieri nel Novembre 2001; il Segretario Rumsfeld ha autorizzato dure “tecniche di contro-insurrezione” in Afghanistan e a Guantanamo nel Dicembre 2002; unità rinforzate dei servizi segreti militari hanno portato questi metodi in Iraq nel Luglio 2003; e il Generale Ricardo Sanchez ha autorizzato a Baghdad queste misure estreme per Abu Ghraib nel Settembre 2003.
Nella sua breve risposta a questa scomoda domanda, il rapporto del maggiore Fay, se letto attentamente, fa risalire l’origine di questi duri “metodi al di fuori delle dottrine standard” applicati ad Abu Ghraib, alla CIA. Nel suo rapporto vi sono le accuse contro il dileggiamento delle procedure militari da parte dei funzionari della CIA, che “hanno eroso nelle menti dei soldati e dei civili la necessità di seguire le regole dell’esercito.” Nello specifico, l’esercito “ha permesso alla CIA di ospitare ad Abu Ghraib ‘detenuti fantasma’ che non erano identificati né registrati”, incoraggiando quindi una violazione della “documentazione richiesta dalla Convenzione di Ginevra”. Inoltre, le interrogazioni dei detenuti della CIA “sono avvenute con diverse pratiche e procedure da cui era assente una qualunque visibilità, controllo o supervisione del dipartimento della difesa, e ciò ha creato la percezione che le tecniche e le pratiche della CIA fossero autorizzate e adeguate alle operazioni del Dipartimento della Difesa.” Esenti dal regolamento militare, i funzionari della CIA si sono mossi all’interno di Abu Ghraib circondati da un’ “aura” di corruzione e di metodi estremi che hanno “affascinato” alcuni funzionari dell’esercito. In sintesi, il maggiore Fay sembra dire che la CIA ha compromesso l’integrità e l’efficacia dell’esercito statunitense.
Se fosse andato oltre, il maggiore Fay potrebbe aver menzionato che il 519-esimo reparto dei servizi segreti militari, l’unità dell’esercito che ha steso i principi guida per gli interrogatori ad Abu Ghraib, era appena arrivato da Kabul dove aveva lavorato a stretto contatto con la CIA, apprendendo tecniche di tortura che avevano portato alla morte di almeno un prigioniero afgano. Se fosse andato ancora oltre, il generale potrebbe aver aggiunto che le tecniche di deprivazione sensoriale, le posizioni di stress, e lo shock provocato dai cani e dalla nudità che abbiamo visto in quelle foto di Abu Ghraib erano state carpite dalle pagine di vecchi manuali di tortura della CIA.
Prestigio americano
Questo non è, naturalmente, il primo dibattito americano sulla tortura di recente memoria. Dal 1970 al 1988, il Congresso ha provato senza successo, con quattro grandi indagini, ad esporre elementi di questo paradigma della tortura della CIA. Ma in ciascuna occasione l’opinione pubblica ha mostrato scarso interesse, e la pratica, mai pienamente riconosciuta, persiste all’interno della comunità dei servizi segreti.
Ora, in queste fotografie di Abu Ghraib, l’americano comune ha visto la realtà e i risultati delle tecniche di interrogazione che la CIA ha diffuso e praticato per quasi mezzo secolo. Il pubblico americano può unirsi alla comunità internazionale nel ripudio di una pratica che, più di ogni altra, rappresenta una negazione della democrazia: oppure, nella sua disperata ricerca di sicurezza, gli Stati Uniti possono continuare la loro tortura clandestina dei sospetti di terrorismo nella speranza di ottenere dei buoni servigi dall’intellegence senza pubblicità negativa.
Nella probabile eventualità che Washington adotti la seconda strategia, sarà una decisione che poggia su due false assunzioni: che la tortura è una pratica che può essere controllata e che le notizie che la riguardano possano essere contenute. Una volta che la tortura ha inizio, il suo utilizzo sembra diffondersi incontrollabilmente in una spirale verso il basso di paura e di sensazione di potere. Con la proliferazione delle tecniche fotografiche digitali, possiamo anticipare, per i prossimi cinque-dieci anni, ancora altre immagini agghiaccianti e bufere devastanti sul credito internazionale americano. La prossima volta, tuttavia, le preoccupazioni morali del pubblico americano e le scuse di Washington suoneranno ancora più a vuoto, producendo un danno ancora più grande al prestigio statunitense.
ALFRED W.McCOY*
Fonte:http://www.zmag.org/Italy
23.11.04
(1) strappado: tortura in cui una persona con le mani legate dietro la schiena veniva sollevata da terra e fatta cadere tramite una corda legata ai polsi.
(2) Nella tortura dell’acqua, la question de l’eau, veniva versata dell’acqua nella gola dell’accusato, insieme ad un panno morbido, in modo da causare soffocamento. Il panno veniva rapidamente rimosso così da lacerare gli organi interni.
(3) tortura in cui la vittima era totalmente immobilizzata tramite un’asta che bloccava collo, polsi e caviglie.
(4) Questa tortura infliggeva allo stesso tempo due tipi di tortura: quella psicologica e quella fisica. Rendeva ridicoli ed umiliava di fronte al pubblico, ma allo stesso tempo provocava un dolore tremendo poiché stringeva la testa e, spesso e volentieri, una pallina al suo interno entrava in bocca in modo tale da impedire di urlare.
Documento originale The Hidden History of CIA Torture: America’s Road to Abu Ghraib by
Traduzione di Garabombo
*è professore di storia all’Università del Winsconsin-Madison. E’ autore di “The Politics of Heroin, CIA Complicity in the Global Drug Trade” [La politica dell’eroina: la complicità della CIA nel mercato globale della droga], un’analisi delle alleanze della CIA con i signori della droga, e “Closer Than Brothers” [Più che fratelli] uno studio dell’impatto dei metodi di torture psicologica della CIA sull’esercito filippino. Pubblicherà una versione integrata di questo saggio in The New England Journal of Public Policy (Volume 19, No. 2, 2004).