LA STORIA DELLA DESTRA NEOCONSERVATRICE

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DI MAURIZIO SCIUTO
Nel corso degli anni ’80 e ’90 il declino dell’egemonia delle ideologie progressiste ha aperto la strada alla diffusione di una nuova destra neoconservatrice, che ha assunto un ruolo egemone nella cultura politica statunitense e ha cominciato a influenzare anche quella europea. (Alcune idee di questa corrente sono state divulgate in Italia dai libri più recenti della scrittrice Oriana Fallaci.) Le correnti neoconservatrici della politica americana (tra cui quella dei cosiddetti neocons, un gruppo di intellettuali molto vicini all’attuale presidente George W. Bush) hanno origini lontane, tanto che già negli anni ’60 se ne fece portavoce Barry Goldawater, avversario repubblicano di Lyndon Johnson nelle elezioni presidenziali del 1964. Ma la complessa galassia della nuova destra cominciò ad assumere un ruolo egemone solo negli anni ’70. Agli inizi di quel decennio la protesta contro la guerra in Vietnam e la diffusione tra i giovani di tendenze sempre più radicali e anticapitaliste spinsero un gruppo di grandi famiglie miliardarie conservatrici (Bradley, Mellon Scafe, Smith Richardson, Coors, Koch ecc.) a finanziare la promozione, a livello di élite e di massa, di una cultura e di un pensiero ultraliberista e tradizionalista. Da allora, quelle famiglie e altre grandi corporations hanno infuso attraverso le loro fondazioni culturali circa 3 miliardi di dollari nell’apparato educativo e mass-mediatico americano, hanno finanziato borse di studio, corsi universitari, inviti a professori stranieri, libri, giornali, settimanali, canali televisivi, stazioni radio, film. Il risultato di questo sforzo è stata la polemica senza tregua che gli intellettuali e i predicatori religiosi della nuova destra hanno condotto contro la cultura politica della sinistra liberal (egemone del Partito democratico) e di quella radical (neomarxisti, Black Power, femminismo radicale ecc.); ma anche contro il costoso assistenzialismo del Welfare state e contro i guasti morali (sovvertimento dei ruoli tradizionali, crisi della famiglia, diffusione delle droghe, “perversioni” sessuali, declino del patriottismo ecc.) provocati dai movimenti degli anni ’60. (Una rappresentazione ironica di questo scontro tra le “due americhe” si può cogliere nel bellissimo e divertente film di John Landis The Blues Brothers, del 1980).
Intellettuali e predicatori della nuova destra ebbero un ruolo fondamentale nella prima vittoria elettorale di Ronald Reagan (1980), in quanto le loro idee influenzarono profondamente il programma del futuro presidente e permisero alla propaganda repubblicana di far coagulare il consenso di un blocco di forze sociali molto eterogenee (dagli agricoltori impoveriti e tradizionalisti del Midwest alle grandi corporations dell’industria petrolifera). Da allora la presenza della nuova destra nei gangli della vita intellettuale del paese (televisioni, giornali a grande tiratura, università, think tanks ecc.¸ ma anche chiese e associazioni religiose) si è sempre più rafforzata e ha favorito le vittorie elettorali dei candidati repubblicani nelle elezioni del 1984 (Reagan), del 1988 (Bush senior), del 2000 (Bush junior) e soprattutto in quelle del 2004 (sempre Bush junior), in cui si è registrata una mobilitazione senza precedenti delle organizzazioni della destra neoconservatrice.. Nel lungo periodo il successo dell’offensiva della nuova destra statunitense è stato clamoroso, come ha notato di recente lo studioso della società americana Marco D’Eramo (autore di Il maiale e il grattacielo, Feltrinelli 1995): «Ancora nel 1964 le idee professate oggi da Gorge W. Bush furono massicciamente sconfessate dall’elettorato americano quando a brandirle era Barry Goldwater, sconfitto da Lyndon Johnson col 61 % dei voti. Sempre nel 1964 l’economista kennediano John Kenneth Galbraith scriveva che “oggi quasi tutti si definiscono liberal”. Quaranta anni dopo la parola liberal è diventata addirittura un’ingiuria e si dice che John Kerry abbia perso perché troppo liberal. Così in 40 anni quello che appariva all’opinione pubblica un insopportabile estremismo reazionario è diventato senso comune della maggioranza dei votanti, se non dei cittadini.»
È difficile fornire una rappresentazione chiara e coerente degli orientamenti della nuova destra statunitense, che in realtà è una costellazione di tendenze a volte molto diverse tra loro. Si possono comunque individuare tre idee-guida maggioritarie all’interno della galassia neoconservatrice: l’esaltazione dei valori religiosi tradizionali, il patriottismo e la celebrazione delle virtù della libera iniziativa privata. Parafrasando un vecchio motto della destra europea, si potrebbe dire che i tre cardini di questo pensiero siano “Dio, patria e mercato” (e la Bibbia, la bandiera a stelle e strisce e il portafoglio i suoi tre simboli).
Il primo elemento di questa originale miscela ideologica è rappresentato da una forte tendenza al fondamentalismo, cioè alla rivalutazione degli elementi più tradizionali della vita religiosa, in contrapposizione ai valori laici della cultura moderna. Presente soprattutto nell’ambito delle chiese protestanti, il fondamentalismo cristiano della destra neoconservatrice sottolinea l’importanza delle pratiche devozionali (sempre più spesso nei luoghi di lavoro si formano gruppi di preghiera) e cerca di affermare anche nella vita pubblica i valori dell’etica religiosa, appoggiando leggi che mettano al bando le pratiche omosessuali, l’aborto, l’eutanasia, l’adulterio, la ricerca sulle cellule staminali ecc. (A questo proposito vale pena ricordare che uno dei principali sostenitori di Reagan nel 1980 fu il telepredicatore e pastore battista Jerry Falwell, che nel 1979 aveva fondato il movimento della Moral Majority, antiaborista, antigay, antifemminista, creazionista e contrario agli accordi con l’Urss.) Omosessualità e aborto, in particolare, sono diventati due dei temi più importanti delle campagne elettorali degli ultimi venticinque anni, e sono sempre più spesso oggetto di proibizioni: una quindicina di stati USA oggi vieta la sodomia, mentre circa trenta stati hanno introdotto restrizioni alle leggi che autorizzano l’aborto. La polemica fondamentalista contro le degenerazioni della modernità si sta sempre più concentrando, sul piano culturale, anche sulla questione dell’evoluzionismo darwiniano, che è stato abolito dal curriculum scolastico delle scuole del Kansas (1999), ed era già stato presentato come “teoria controversa” dai regolamenti scolastici dell’Alabama, del New Mexico e del Nebraska. (Lo stato dell’Alabama impone agli autori dei libri di testo di introdurre il tema del darwinismo con questa formula: «Questo manuale discute l’evoluzionismo, una teoria controversa che alcuni scienziati presentano come una spiegazione scientifica per l’origine degli esseri viventi, come piante, animali, umani. Nessuno era presente quando la vita apparve per la prima volta sulla terra».) La battaglia del conservatorismo cristiano per la rivalutazione del creazionismo biblico (secondo cui la Terra e tutte le specie umane sono state create da Dio 6000 anni fa) ha avuto talmente successo che, secondo alcuni recenti sondaggi, oggi il 48 % degli americani crede nel creazionismo e solo il 28 % nell’evoluzione; e lo stesso Gorge W. Bush ha dichiarato (come già a suo tempo Ronald Reagan) di non essere ancora convinto della teoria dell’evoluzione. Ma il fondamentalismo implica anche una forte chiusura nei confronti delle altre fedi religiose. In passato, l’obiettivo delle correnti più reazionarie del conservatorismo cristiano erano stati gli ebrei, mentre oggi – specialmente dopo l’11 settembre – il nemico epocale è diventato l’Islam, “una religione perversa e malvagia” come ha affermato Franklin Graham (un predicatore evangelico che ha tenuto l’orazione introduttiva all’insediamento di Bush alla Casa bianca nel 2001). L’anti-islamismo – alimentato anche dalle dottrine strategiche dei neocons e dalle teorie dello Scontro di civiltà (titolo di un libro del politologo conservatore Samuel Huntington) – è ormai uno degli ingredienti più importanti del pensiero della nuova destra.
Il secondo aspetto fondamentale dell’ideologia neoconservatrice è un forte patriottismo, declinato non più secondo l’indirizzo isolazionista tipico del vecchio partito repubblicano (le guerre combattute dagli Usa nel Novecento, fino all’intervento in Vietnam, sono state decise tutte da presidenti democratici, in polemica, spesso, con l’opposizione repubblicana). Il nuovo patriottismo della destra neoconservatrice ha una forte venatura nazionalistica e militaristica, ed è caratterizzato da una certa tendenza all’unilateralismo (in polemica con l’Onu), dall’uso di categorie etico-religiose in politica estera (lotta tra il bene e il male) e da una preoccupazione ossessiva per le azioni preventive e per il potenziamento degli armamenti. Molto presente nella politica di Ronald Reagan, che decretò una straordinaria escalation della spesa militare per “prevenire” la minaccia dell’impero del male (l’URSS), questa ossessione torna all’epoca della guerra preventiva contro l’impero del terrore teorizzata da Bush dopo i fatti dell’11 settembre (ma già i suoi consiglieri neocons si orientavano prima di quella data in direzione di uno scontro epocale tra la civiltà giudaico-cristiana e quella islamica).
La terza componente del pensiero della destra neoconservatrice è l’adesione quasi fideistica al neoliberismo. Anche questo aspetto della offensiva neoconservatrice ha avuto successo: «Nel 1964 – scrive Marco D’Eramo – il 62 % degli americani riteneva che lo stato facesse cose giuste. Trenta anni dopo, nel 1994, questa percentuale si era ridotta al 19 %. Oggi la discussione non è tra “più stato” e “meno stato”, ma fra “meno stato” e “niente stato”. Ormai è diventato senso comune (e non solo negli Stai Uniti) che il “pubblico” sia sinonimo di inefficienza e che solo il privato sia “efficiente”, che la sanità, le pensioni e la scuola debbano essere nelle mani dei privati, che lo stato costituisca il problema, non la soluzione, e che il libero mercato sia la risposta a tutto.» Per la destra neoconservatrice il liberismo non è solo una ideologia economica, ma anche un sistema di valori etici radicato nella tradizione della civiltà americana. Il libero mercato è sinonimo di libertà, intraprendenza, moralità sociale e merito individuale, mentre l’intervento statale è sinonimo di assistenzialismo, parassitismo, incoraggiamento dell’immoralità e della delinquenza, appiattimento egualitario delle capacità e dei meriti individuali. Così la polemica neoliberista contro il Welfare è diventata uno schermo dietro il quale si sono sviluppate idee tipiche della tradizione della destra reazionaria: la polemica razzista e sessista contro le misure di Welfare (le cosiddette affirmative actions) volte a stabilire una “sciagurata” eguaglianza di status sociale tra neri e bianchi o tra maschi e femmine; la battaglia a favore di una scuola meritocratica, che separi gli alunni in base alle capacità e privilegi con corsi speciali gli alunni dotati di Q.I. (quoziente d’intelligenza) più elevati; l’esaltazione dell’autodifesa e quindi del diritto costituzionale al possesso di armi personali; lo stop alle politiche di prevenzione sociale del crimine e l’invocazione di misure repressive sempre più severe, i cui effetti ricadono in gran parte sugli afroamericani e sulle altre minoranze etniche più povere e quindi più esposte al rischio della delinquenza (negli ultimi vent’anni le carceri, la cui popolazione si è dilatata a dismisura, hanno assorbito percentuali sempre più alte delle popolazioni dei ghetti metropolitani); l’invocazione di misure sempre più dure contro l’immigrazione clandestina (che in buona parte penetra attraverso il confine, oggi sorvegliatissimo, con il Messico); la strenua difesa della pena di morte, sospesa dalla Corte suprema nel 1972 (in quanto incostituzionale), poi ancora una volta autorizzata dalla stessa Corte nel 1976 e applicata nuovamente (e in dosi sempre più massicce) a partire dal 1982 in Texas e in altri stati. Queste idee, negli ultimi trent’anni, sono state veicolate da libri come Liberi di scegliere dell’economista liberista Milton Friedman, Istruzione illiberale di D. O’Souza, Politica, mercati e scuole americane di J. Chubb e T. Moe, La tragedia della solidarietà americana di M. Olasky, Losing ground (“Arretrando”) di Charles Murray (in cui l’autore argomenta la necessità di abolire tutti i programmi sociali), La curva di Bell di Murray (dove si sostiene che l’intelligenza dipende dalla razza, e quindi i neri sono meno intelligenti dei bianchi).

(*) Professore di storia e filosofia

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