DI ALBERTO B. MARIANTONI*
Miron Renzaglia Blog
Le effettive ragioni dell’invio di contingenti militari europei in Libano
E’ sempre illusorio o azzardato fare dei raffronti storici, ma nel caso specifico, non posso impedirmi di effettuarlo, per la semplice ragione di essere stato direttamente testimone, a suo tempo, sia della Guerra dei Sei giorni (1967), sia della Guerra del Kippur (1973), sia dell’invasione israeliana del Libano nel 1982.
Se cerco mentalmente di comparare la capacità professionale e l’incontenibile strapotenza ed efficacia dell’esercito israeliano di allora, con l’apparentemente inspiegabile flop militare che le medesime forze armate hanno recentemente fatto in Libano, posso tranquillamente affermare che – nel caso di Israele – ci troviamo senz’altro confrontati ad una “svolta storica”.Tsahal (Tsva Haganah Le-Israel o “Forze di Difesa di Israele”), insomma, ha dimostrato, per la prima volta nella sua storia, di non essere più invincibile.
In altre parole, quello che, dal 1948 ad oggi, nessun esercito arabo era riuscito a fare, una milizia di partito, come l’Hezbollah libanese (o “Partito di Dio), è stata in condizione di compierlo, riuscendo – non solo a tenere militarmente testa a Tsahal e ad infliggergli pesanti ed inattese perdite, ma addirittura – a non farsi completamente sbaragliare, né tanto meno scompaginare e distruggere!
Che è successo, dunque, a Tsahal? E come mai?
Per cominciare, diciamo che l’esercito israeliano, per la prima volta, dalla data della sua fondazione (1948), si è visto costretto a scatenare una “guerra per conto terzi”: quella che gli Stati Uniti d’America volevano che aizzasse.
Conosciamo le difficoltà che le truppe statunitensi affrontano in Afghanistan dal 2001, e quelle che continuano a fronteggiare in Iraq, dal 2003. Sappiamo ugualmente che, negli USA, la coscrizione obbligatoria non esiste e che l’insieme dei contingenti militari che questi ultimi mantengono attualmente all’estero (in tutto, all’incirca 350.000/400.000 uomini disseminati tra l’Afghanistan, l’Iraq e le all’incirca 700 basi militari e logistiche del mondo, compresa l’Italia), sono tutte le truppe di cui, in questo momento, possono effettivamente disporre.
Per avere una qualunque speranza di vincere la guerra, sia in Afghanistan che in Iraq, gli USA debbono necessariamente e preventivamente neutralizzare l’Iran e la Siria: gli unici due Stati che – a loro dire – rifornirebbero militarmente i “terroristi” (che, in realtà, sono dei patrioti-resistenti) dei due rispettivi teatri di battaglia.
Iran e Siria, inoltre, sono gli unici “Stati-canaglia” del Vicino-Oriente che impediscono praticamente agli USA di potersi assicurare il controllo quasi-monopolistico degli attuali pozzi di petrolio, dall’Asia centrale ai Paesi arabi.
Per togliersi quei due Paesi dalle “scatole” – dopo aver inutilmente tentato, per anni, di destabilizzarli dall’interno (ricordiamo, in proposito, tra gli altri, i super-mediatizzati “movimenti studenteschi anti-khomeinisti” in Iran e “l’omicidio Hariri” in Libano, immediatamente e pretestuosamente attribuito alla Siria) – debbono inevitabilmente scatenare loro la guerra.
Per scatenare loro la guerra, però, gli USA hanno bisogno, sia del solito pretesto ufficiale che di cospicui contingenti militari, per poterli realmente battere ed, eventualmente, occupare.
Tuttavia, vista la carenza di personale militare di cui gli USA fatalmente soffrono, debbono ineluttabilmente affrontarli separatamente ed in tempi diversi.
Ecco, dunque, in sintesi, il piano statunitense, nei confronti della Siria:
1. gli Israeliani attaccano le milizie dell’Hezbollah, in Libano;
2. i Siriani intervengono (direttamente o indirettamente) per dare manforte all’Hezbollah;
3. noi (USA) interveniamo per “soccorrere” Israele, ed il “gioco” è fatto: “fuori uno”!
Una volta eliminata la Siria, il piano americano avrebbe dovuto funzionare secondo questo schema:
1. l’Iran è già sotto accusa per l’affare del pretestuoso e falsamente non autorizzato arricchimento dell’uranio (l’Iran – a differenza di Israele che già possiede illegalmente più di 300 testate nucleari e che nessuna AIEA del mondo ha mai potuto sottoporre al controllo! – ha firmato il “Trattato di non proliferazione nucleare”; situazione che gli concede il diritto di utilizzare l’energia nucleare per scopi civili e di rifornire le sue centrali con dell’uranio arricchito in proprio); ed è aggiuntivamente sotto accusa, per la sua “sfacciata” ed imperdonabile contestazione delle cifre e dei metodi ufficiali del preteso “olocausto” nazista.
2. l’ONU – da buon “lacché” degli USA – voterà, come previsto, delle sanzioni economiche contro l’Iran;
3. le sanzioni metteranno rapidamente in ginocchio l’Iran (gli embarghi USA contro il Giappone, nel 1940-1941, docent!) che sarà costretto a reagire (come furono costretti a fare i Giapponesi a Pearl Harbor, il 7 Dicembre del 1941);
4. reagendo, militarmente o non, contro le sanzioni imposte dalla “comunità internazionale” (sic!), noi, gli USA, potremo facilmente mettere fuori combattimento l’Iran, con l’appoggio di altri contingenti militari (quelli della NATO, ad esempio…), il mandato ONU ed il consenso unanime (o quasi) dell’opinione pubblica mondiale.
Quello che non ha funzionato nei piani statunitensi, però, sono stati alcuni dettagli… Dettagli che dimostrano che gli USA – come Israele del 2006 o la Germania del 1942 – non sono più quello che tutti credevano che potessero ancora continuare ad essere.
I dettagli, sono presto enumerati:
a. l’Hezbollah – lontano dall’essere quell’improvvisata e raccogliticcia (anche se efficace) milizia che gli Israeliani avevano dovuto affrontare e combattere nel corso della loro occupazione del Libano, tra il 1982 ed il 1997 – era armato di sofisticatissime armi anti-carro, anti-nave ed anti-aereo (sembra di provenienza russa) che le Intelligences statunitense ed israeliana, non avevano affatto previsto, né “fiutato”, né sospettato;
b. la Siria – su espresso e confidenziale “consiglio” di Mosca – ha preferito restare sul “chi vive”…;
c. l’esercito israeliano – che non aveva, in realtà, nessuna ragione plausibile o approvabile di scatenare quella guerra (l’affare dei due soldati israeliani fatti prigionieri dall’Hezbollah, per giunta in pieno territorio libanese, era uno volgare e gonfiato pretesto che anche l’ultimo dei lettori non esperti del Vicino-Oriente ha senz’altro intuito) – ha combattuto “svogliato”… in quanto non era affatto motivato; e quella non-motivazione era tanto più marcata che ognuno, all’interno delle strutture di Tsahal, sapeva benissimo di dovere andare a rischiare la sua pelle, semplicemente per un’opportunistica “Operazione Libano” che, in definitiva, altro non era che l’esecuzione di un “contratto mafioso” tra i neo-con del Governo di Washington e quello (ultra corrotto) di Tel-Aviv;
d. il “fronte interno” d’Israele – vista l’inattesa e comprensibile frantumazione in mille rivoli della sua opinione pubblica – non ha retto; anzi, in concomitanza con i primi “fiaschi” militari di Tsahal, ha quasi immediatamente iniziato a chiedere a gran voce le dimissioni in blocco, sia del Governo Olmert che dei Supremi vertici militari; potrei aggiungere che molti Israeliani, per sottolineare quel loro radicale dissenso, hanno incominciato vistosamente a strappare, dai parabrezza delle loro vetture, i patriottici stickers che normalmente hanno l’abitudine di esibire e che portano la scritta: Israel boteach bezahal, ezram umaghinam hu (“Israele confida in Tsahal suo aiuto e difensore” – che altro non è che il riadattamento, in chiave nazional-sionista, del Salmo 113 dell’Hallel di Pessach che afferma, Israel betach bahashem, ezram umaghinam hu o, se si preferisce, “Israele confida nel Signore, suo aiuto e difensore”);
e. l’opinione pubblica mondiale – di fronte alle gratuite, quanto inutili distruzioni (si parla di all’incirca 4 miliardi di danni inferti dall’aviazione e dall’artiglieria israeliane alle infrastrutture civili libanesi) che sono state operate da Tsahal in Libano – non ha giocato il “gioco” che i notori e prostrati pennivendoli al servizio di Washington e di Tel-Aviv speravano che giocasse; al contrario, al posto di schierarsi unanimemente dalla parte di Tel-Aviv che stava “sbarazzando il mondo dai terroristi dell’Hezbollah”, o si è disinteressata di quella guerra o ha addirittura iniziato a tifare per questi ultimi ed a comparare (per riflesso condizionato?) i selvaggi ed indiscriminati bombardamenti degli israeliani a quelli che avrebbero compiuto i nazisti (non quelli veri, naturalmente, ma quelli che negli ultimi 60 anni la medesima suddetta propaganda non ha mai cessato un attimo di descriverci!), nel corso della Seconda guerra mondiale.
Per quale motivo, allora, l’urgente invio, in Libano di contingenti militari europei, tra cui quello italiano?
Per interporsi tra i belligeranti e garantire il “cessate il fuoco”? Per assicurare la pace e la ricostruzione, in Libano? Per evitare che l’Hezbollah possa ancora minacciare, in futuro, l’esistenza dello Stato d’Israele che, “poverino”, come tutti sappiamo, non è affatto in grado difendersi da solo?
Niente affatto.
Semplicemente, per permettere agli Stati Uniti d’America di mettere in esecuzione, come previsto (anche se con nuovi schemi e nuovi espedienti), i loro bellicosi e preannunciati piani nei confronti della Siria e dell’Iran.
Insomma, come abbiamo visto, gli Stati Uniti, per le loro indicibili imprese, necessitano assolutamente di “carne da cannone”, E per poterla facilmente avere a portata di mano, senza per altro dovere sborsare un solo cent di dollaro (tanto pagano i “pantaloni” europei!), si sono “inventati” la cosiddetta “Forza di interposizione” dell’ONU (una nuova FINUL, per intenderci) da inviare in Libano. Una Forza che – come è stato espressamente già richiesto da Washington e da Tel-Aviv – dovrebbe soprattutto schierarsi sul confine tra il Libano e la Siria (per impedire gli eventuali rifornimenti militari di quest’ultima ai combattenti del “Partito di Dio” libanese) e disarmare (o collaborare attivamente al completo disarmo) delle milizie dell’Hezbollah.
Come è già stato sottolineato, sia dall’ONU che dai rispettivi Governi che parteciperanno a quella “missione”, la nuova “Forza di interposizione militare” disporrà di un mandato molto più ampio e preciso di quello che poteva vantare in passato, sia in Libano (fino a Giugno-Agosto di quest’anno) che in Bosnia (nel corso delle ultime Guerre balcaniche).
In chiaro, ciò vuole dire che quella Forza potrà sparare e difendersi, nonché contrattaccare. Diventare, cioè, una “Forza belligerante” a tutti gli effetti, in caso di bisogno!
Che cosa volevano gli Stati Uniti, dal 2003 (epoca della loro invasione dell’Iraq)?
Volevano che gli eserciti europei collaborassero alla loro “guerra infinita” contro il terrorismo, in Iraq ed altrove.
Questi ultimi, invece (eccetto l’Italia di Berlusconi e, per qualche mese, la Spagna di Aznar), coscienti delle sonore “fregature” che gli USA avevano già dato loro nel corso della Prima guerra del Golfo (1991) – non da ultime, quelle relative ad una serie di contratti che erano stati loro promessi per la ricostruzione del Quwait e che mai (soprattutto per la Francia) avevano visto il giorno! – avevano risposto “picche”. Ed avevano preferito osservare la “democratizzazione” (forzata) dell’Iraq, dagli schermi del loro televisore.
Nel caso del Libano, al contrario, gli Europei si sono fatti “fregare”… Come mai?
Secondo me, ancora una volta, con il solito “miraggio” dei contratti per la ricostruzione, in questo caso del Libano (è possibile che i diversi Governi europei abbiano accettato “obtorto collo” di partecipare a quella “missione” – anche se continuano fortemente ad avere il sospetto di potere di nuovo essere “fregati” dagli USA – in quanto sono economicamente con “l’acqua alla gola” ed un certo montante in miliardi, per la “ricostruzione del Libano”, potrebbe rappresentare una salutare “boccata d’ossigeno” per i loro Paesi). Oppure, a causa dei continui e costanti ricatti che gli USA ed Israele fanno regolarmente planare sulle teste dei loro fedeli maggiordomi, ufficialmente al comando (per conto terzi, naturalmente!) delle nostre Nazioni.
Ma quello che è più grave, è che la maggior parte dei Governi europei si sono fatti militarmente coinvolgere in una falsa “missione libanese”, pur sapendo (o sospettando fortemente) che quella “missione” altro non possa essere, in definitiva, che il diretto o indiretto coinvolgimento dell’Europa nell’iniziale progetto US-Israeliano per presenti e future guerre contro il “terrorismo”!
Al lettore sembrerà strano apprenderlo, ma gli appelli US-Israeliani per una rapida e massiccia costituzione della “missione militare” europea in Libano, mi hanno fatto improvvisamente ricordare gli appelli del IIIº Reich, nel 1942, per una generalizzata “crociata” europea contro il bolscevismo, in concomitanza con l’imprevista battuta d’arresto che il “rullo compressore” della Wehrmacht aveva avuto nel contesto della battaglia di Stalingrado.
Historia Magistra Vitae?
Macché! Ieri come oggi, i principali protagonisti di quelle due distinte e diverse guerre, confrontati con simili ed indigeribili insuccessi campali, sembrano comportarsi allo stesso modo: continuare ad insistere nell’errore militare, piuttosto che scegliere la strada di un’onorevole e salvifica ritirata strategica.
Nel caso dei Tedeschi, sappiamo come andò a finire… In quello degli US-Israel, è sufficiente “rimettere l’orologio” e… aspettare!
Alberto B. Mariantoni
Fonte: http://www.mirorenzaglia.com
Link: http://www.mirorenzaglia.com/index.php?itemid=98
29.08.06
*L’Autore è nato a Rieti il 7 Febbraio del 1947. E’ specializzato in Economia Politica, Islamologia e Religioni del Medio Oriente. Politologo, scrittore e giornalista, è stato per più di vent’anni Corrispondente permanente presso le Nazioni Unite di Ginevra e per diciotto anni sul tamburino di «Panorama». Ha collaborato con le più prestigiose testate nazionali ed europee, come «Le Journal de Genève» e «Radio Vaticana». Ha effettuato inchieste e reportages in zone di guerra soprattutto in area mediorientale. Ha scritto: «Gli occhi bendati sul Golfo» (ed. Jaca Book, Milano 1991) e «Le non-dit du conflit israélo-arabe» (ed. Pygmalion, Paris, 1992). Dal 1994 al 2005, è stato Presidente della Camera di Commercio Italo-Palestinese. (m.r.)