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La Redazione

 

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LA SPIRALE DI MORTE DELL’AUSTERITA’ SPINGE PORTO RICO VERSO UNO STORICO DEFAULT

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A cura di Davide
Il 4 Agosto 2015
87 Views

DI AMBROSE EVANS PRITCHARD

telegraph.co.uk

Redazione: Porto Rico, la ‘Grecia americana’ cresciuta in casa, è ora intrappolato in un circolo vizioso. La contrazione dell’economia e l’esodo dei lavoratori spingono alle stelle il rapporto debito/Pil. Nessuno conosce con esattezza le procedure da attuare per questo fallimento. Se gli hedge-funds dovessero reclamare la loro ‘libbra di carne’, potrebbero gettare a terra l’economia dell’isola.

Porto Rico [1] ha innescato il più grande default municipale [sic] nella storia degli Stati Uniti, e rischia un’annosa ed amara guerra legale con i creditori. La “spirale di morte” dell’austerità è quasi del tutto simile a quella della Grecia.

L’isola, facente parte del Commonwealth [2], ha finito i soldi Lunedì scorso, dopo un ultimo disperato tentativo di restare a galla, mancando il termine ultimo per pagare 58 milioni di dollari – versandone, in effetti, solo 628.000.

Tutto questo comporta il radicale default di gran parte dei suoi debiti, che ammontano a 72 miliardi di dollari, pari al 100% del suo Pil, e a più di cinque volte il rapporto debito/Pil della California o del Texas.

Il Commonwealth si trova ora in una specie di limbo legale, davanti ad un gruppo ben organizzato di hedge funds che ha acquistato i titoli del debito portoricano, ed è determinato a trarne il massimo vantaggio facendo ricorso ai Tribunali, anche se questo comporta lo svuotamento di gran parte del sistema d’istruzione e dei servizi sociali dell’isola.

Porto Rico non è coperto dal “Chapter Nine”, Codice della Legge Fallimentare degli Stati Uniti [3], e quindi non può ricorrere a quella “ristrutturazione controllata del debito”, che ha aiutato la città di Detroit a rimettersi in piedi, dopo il default del 2013.

Per uno scherzo del “Diritto” l’isola non gode della “protezione parziale”, analogamente a tutti gli altri Stati pienamente americani. Non può far conto, allo stesso tempo, sul sostegno del Fondo Monetario Internazionale, perché non è un paese sovrano.

“Nessuno conosce con esattezza le procedure da attuare per questo fallimento. Potrebbe facilmente trasformarsi in un parapiglia generalizzato”, ha dichiarato Desmond Lachman, ex Capo-Divisione del FMI ed ora occupato presso l’American Enterprise Institute.

“Se gli hedge-funds dovessero reclamare la loro ‘libbra di carne’, potrebbero gettare a terra l’economia dell’isola. Quanto più avanzeranno i carri armati dell’economia, tanto minori saranno gli incassi fiscali, e quindi ancor più si dovrà stringere [la morsa fiscale]. Tutto ciò è pazzesco”, egli ha detto.

Ed ha aggiunto: “Porto Rico è in una situazione simile a quella della Grecia. Questo è ciò che accade quando si chiedono troppi aggiustamenti fiscali in situazioni di cambio fisso, tipiche delle Unioni Monetarie. Il suo PIL è diminuito dell’1% annuo, per ciascuno degli ultimi dieci anni”.

Un gruppo di 34 hedge-funds composto, tra gli altri, da “Fir Tree Partners” e da “Aurelius Capital”, ha reclutato un gruppo di ex-funzionari del FMI per sostenere la tesi che Porto Rico sia perfettamente in grado di ripagare i debiti, se tenesse a bada la spesa pubblica.

Gli hedge-funds sostengono, ad esempio, che l’isola “spendeva decisamente troppo” per l’istruzione, nonostante le iscrizioni fossero crollate di un quarto, lasciando negli ultimi dieci anni una quantità di debiti pari al 39% del Pil. L’isola, in effetti, ha poi chiuso più di 100 scuole.

Il Governatore di Porto Rico, Alejandro Garcia Padillo, ha dichiarato che una drastica austerità non farebbe che perpetuare il “circolo vizioso” dell’isola, perché l’avvizzimento dell’economia porterebbe all’esodo di massa delle persone in età lavorativa. La popolazione è crollata del 12%, negli ultimi dieci anni.

“Non si tratta di politica. Si tratta di matematica. Dobbiamo far crescere l’economia. In caso contrario ci troveremmo all’interno di una spirale di morte”, egli ha detto.

Anche Porto Rico ha reclutato un proprio campione, proveniente dall’FMI. Si tratta dell’ex Vice-Direttore Anne Kroeger. La sua relazione chiede implicitamente un taglio del debito pari al 35%, [quello che resta è] più o meno il prezzo corrente del debito, nelle negoziazioni sul mercato secondario, anche se ci sono molti tipi di obbligazioni. Altri dicono, invece, che sarà necessaria una riduzione del debito vicina al 50%.

La Sig.ra Kroeger ha detto che: “Non vi è alcun precedente negli Stati Uniti. Nessuno Stato americano ha dovuto ristrutturare il suo debito, a memoria d’uomo. Qualsiasi tentativo di soluzione dovrà affrontare delle sfide legali senza precedenti”.

Ed ha aggiunto che sarebbe controproducente, per i creditori, spingere troppo in avanti le loro richieste, considerando la vasta lacuna fiscale che si è venuta a creare nel corso del tempo: “Ci sono dei limiti a quanto le spese possono essere tagliate o le tasse aumentate. Bisogna essere consapevoli del colpo che si darebbe alla crescita a breve-termine, se fosse imposta una più nitida contrazione fiscale: se le spese scendessero in modo significativo, le entrate fiscali diminuirebbero di conseguenza”.

Diverse “proposte di legge” vengono ora sottoposte al Congresso degli Stati Uniti, per concedere a Portorico la protezione del “Chapter Nine” ed indebolire di conseguenza la mano dei creditori. I candidati presidenziali Hillary Clinton e Jeb Bush hanno entrambi chiesto dei cambiamenti legali, fin troppo consapevoli che questa saga è diventata una questione nevralgica per gli elettori ispanici – che sono una componente elettorale determinante.

Tuttavia, i creditori sostengono che i portoricani sono degli irresponsabili, che vivono oltre i loro mezzi e che potrebbero facilmente pagare se stringessero la cinghia. Un gran numero di americani, inoltre, hanno acquistato il debito dell’isola, perché gli interessi erano esentasse.

Il parallelo con la Grecia è impressionante, anche se non può essere spinto troppo lontano. Il Nobel per l’economia Paul Krugman sostiene, in effetti, che la situazione di Porto Rico potrebbe essere attutita attraverso degli idonei cuscinetti fiscali, con l’Unione Federale [gli Stati Uniti] a farsi carico del pagamento delle pensioni e dell’assistenza medica, evitando in questo modo il crollo dei redditi che abbiamo visto in Grecia.

Negli anni del boom Porto Rico ha permesso, chiaramente, che si potessero creare le condizioni per una crisi del debito, quando il marciume sottostante [al boom] era nascosto alla vista ed i creditori prestavano il loro denaro senza pensarci due volte. Le operazioni bancarie sembravano godere della garanzia implicita dello Stato, ovvero degli Stati Uniti, che in realtà non è mai esistita.

Ma l’isola è anche stata una vittima della globalizzazione, o dell'”effetto Cina”, che ha eroso le economie di medio livello, caratterizzate dai salari relativamente alti e dalla bassa produttività [al confronto]. Porto Rico, comunque, è stato in grado di competere a lungo contro questo assalto asiatico, in ragione di uno speciale trattamento fiscale, scaduto però nel 2006.

Il “rapporto Kroeger” sostiene che l’isola debba essere esentata dal salario minimo, obbligatorio negli Stati Uniti, per ripristinarne la competitività. Nei fatti, una richiesta di svalutazione interna – un esperimento perseguito con risultati variabili in Grecia, Portogallo, Lettonia e Irlanda.

Per il resto del mondo Porto Rico sta diventando un banco di prova. Per vedere se gli hedge-funds ed i creditori finanziari possano o meno legittimamente dettare le loro condizioni agli stati sub-sovrani [nota n. 1], oppure se è più importante l’interesse sociale, che passa attraverso la limitazione dei loro potere legale.

Ambrose Evans-Pritchard

Fonte: www.telegraph.co.uk/

Link: http://www.telegraph.co.uk/finance/economics/11781249/Puerto-Rico-triggers-historic-default-as-austerity-spiral-deepens.html

4.08.2015

Note del Traduttore:

Tutte quelle comprese fra parentesi quadra [ … ], ed inoltre:

[1] Porto Rico è è un territorio associato ma non incorporato agli Stati Uniti d’America. Si trova in bilico fra il suo attuale status di “membro del Commonwealth”, e la possibilità di diventare a tutti gli effetti uno stato federato statunitense. E’ dotato di una propria autonomia di governo, ma non è né completamente indipendente né uno Stato Federato degli “Stati Uniti d’America”. I sostenitori del Commonwealth insistono sul fatto che Porto Rico sia uno Stato volontariamente associato agli Stati Uniti, attraverso una convenzione di diritto internazionale. Al contrario, secondo un rapporto redatto da un’apposita task-force presidenziale, Porto Rico è un territorio soggetto ai pieni poteri del Congresso Statunitense, seppur dotato della facoltà di dotarsi di una propria “Costituzione interna”, per la mera amministrazione degli affari locali. Gli abitanti di Porto Rico posseggono la cittadinanza statunitense dal 1917. Per saperne di più: https://it.wikipedia.org/wiki/Porto_Rico

[2] Il Commonwealth delle Nazioni (Commonwealth Britannico o, semplicemente, Commonwealth), è un’organizzazione intergovernativa di 54 Stati membri indipendenti e tutti, a parte il Mozambico ed il Ruanda, facenti parte precedentemente dell’Impero Britannico, del quale è una sorta di sviluppo su base volontaria. Per saperne di più: https://it.wikipedia.org/wiki/Commonwealth_delle_nazioni.

[3] Equivalente grosso modo alla nostra “Amministrazione Controllata”. Per saperne di più: https://en.wikipedia.org/wiki/Chapter_9,_Title_11,_United_States_Code

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