Di Alessandro Fanetti per ComeDonChisciotte.org
La data del 24 febbraio 2022 rimarrà per sempre nei libri di storia come quella del definitivo e chiaro inizio dello scontro frontale fra mondo unipolare e mondo multipolare, anche se ciò che era accaduto in Siria solamente pochi anni fa lasciava già presagire dove si sarebbe andati a cadere.
Inizio dello scontro frontale, è sempre bene sottolineare, che lascia aperte le strade della vittoria all’una o all’altra parte.
Battaglia che durerà anni.
È infatti in corso questo decisivo scontro per la creazione di un mondo multipolare, che non si esaurirà certamente con la fine delle ostilità militari in Ucraina e non ha un esito scontato: passeranno anni prima che una delle due parti, “unipolaristi e multipolaristi”, potrà realmente dire di aver trionfato sull’altra.
Dirlo al di là della propaganda che anche (e per certi versi soprattutto) in questi giorni viene usata a piene mani.
Passeranno anni per il semplice motivo che nel mondo di casi aperti ce ne sono fin troppi. Solo per citarne alcuni, infatti, basti pensare a Taiwan, alla Georgia, alla instabile situazione Armenia – Azerbaigian, alla sempre “bollente” America Latina, all’Artico, etc.
Ma tornando ai nostri giorni e a ciò che sostanzialmente monopolizza il dibattito, dopo quasi due mesi di ostilità in Ucraina, a che punto siamo?
La situazione può essere divisa in 2 vie: quella della diplomazia e quella delle ostilità militari.
Dal punto di vista diplomatico, è possibile affermare che i nodi che erano già ben chiari e presenti anche prima del 24 febbraio non sono stati assolutamente sciolti.
Nonostante l’impegno a mio avviso molto positivo e sincero della Turchia (per ovvi vantaggi che avrebbe), con il Presidente Recep Tayyip Erdoğan che si è speso (e si sta spendendo) in prima persona, le trattative stentano a decollare.
Ciò fa presuppore che se la Russia negozia “liberamente e sovranamente”, la controparte ucraina ha invece degli “uccellini” che cercano di indirizzarla verso posizioni certamente contrarie agli interessi suoi e del suo popolo. Non si spiega altrimenti la posizione rigidissima sul Donbass in primis, così come gli elogi trionfanti ad ogni offesa che l’occidente rivolge a Putin. L’ultima uscita di Biden sul genocidio operato dai russi in Ucraina, contestata finanche dall’ineffabile Letta in Italia (ma anche da Macron in Francia), ha visto Zelens’kyj prodigarsi in elogi smielati al Presidente USA: “Parole vere di un leader vero”.
Il passaggio alla parola genocidio è funzionale solamente a far passare il Presidente russo come uno con il quale è impossibile negoziare, un novello Hitler (con la risposta freddissima riservata dalla Knesset a Zelens’kyj solamente qualche giorno fa, quando il Presidente ucraino provò a lanciare l’esca del genocidio, paragonando l’attuale situazione a quella degli ebrei nella Seconda Guerra Mondiale) che va rovesciato e abbattuto con tutti i mezzi.
Gli unici a guadagnare da questa situazione sono gli USA (con Biden che ha fatto davvero un colpo grosso dopo la figuraccia rimediata con l’ignominiosa fuga dall’Afghanistan) i quali con un colpo solo hanno raggiunto vari obiettivi:
1) Rilanciare il ruolo della NATO a guida USA, non solo nell’area EURO-ATLANTICA ma cercando anche di espandersi verso il Pacifico (ricordiamoci sempre che il nemico numero 1 degli USA è la Repubblica Popolare Cinese).
2) Dividere, almeno per un bel lasso di tempo, la Russia dall’Unione Europea e dal suo motore più forte (la Germania). Un’Eurasia unita, o almeno la nascita della GERUSSIA, è visto come il diavolo in persona da Washington e gli Stati Uniti hanno sempre fatto di tutto per non far concretizzare tale prospettiva.
3) Trarre vantaggi economici significativi, in primis attraverso la vendita del gas per “compensare” quello russo.
A mio avviso il negoziato vero e il “cedimento” di qualcosa da entrambe le parti è l’unica via possibile per far terminare questa esplosiva situazione.
Il prolungamento delle ostilità, invece, non fa altro che promuovere ancora più sofferenze alla popolazione civile (come in tutte le guerre) e rischia di far precipitare ancora di più la situazione.
Precipitare la situazione verso un conflitto bellico di ben altre proporzioni, finanche nucleari.
In questo contesto, vediamo l’assoluta inadeguatezza dell’Unione Europea, sostanzialmente incapace di esprimere qualcosa di unitario, a parte l’invio di armi per fomentare il conflitto.
L’unico obiettivo unitario raggiunto (a parte che per la scelta ungherese) e che sarebbe stato meglio non si fosse raggiunto mai.
Dal punto di vista militare, è più che probabile che i piani iniziali del Cremlino non siano andati come “dovuto”.
L’assenza prolungata dalle scene di uno dei più stretti collaboratori di Putin, il “falco” Ministro della Difesa Šojgu (forse per infarto?), insieme al ritiro dei militari russi da zone ucraine faticosamente conquistate ma più distanti dal sud-est del Paese e il cambio del comando delle operazioni militari (da pochi giorni affidate all’espertissimo e rispettato Generale Dvornikov), non lasciano tanto spazio a dubbi.
I piani di oggi sono quelli specificati chiaramente anche dallo stesso Putin anche al Cosmodromo di Vostochny pochi giorni fa: “Le forze armate russe raggiungeranno i loro obiettivi di protezione del popolo del Donbass”.
Obiettivo che, c’è da giurarci, la Russia farà di tutto per raggiungere.
Un grande territorio, probabilmente indipendente e non direttamente annesso alla Russia (almeno inizialmente) che prenda tutto l’Est e che vada a ricongiungersi almeno fino alla Crimea.
Con l’incognita Odessa, teatro di qualche bombardamento ma finora non toccata fortemente dalle ostilità.
A mio avviso, la data spartiacque è il 9 maggio, ricorrenza sentitissima in Russia e che vede una grande parata militare a Mosca per la celebrazione della Vittoria nella Grande Guerra Patriottica (Seconda Guerra Mondiale).
Una vittoria ottenuta grazie al sacrificio di milioni di uomini e donne sovietici, sia inquadrati nell’Armata Rossa che civili, e che bisognerebbe ricordare anche tutti noi (come diceva il grande Monicelli, senza l’Armata Rossa probabilmente ancora oggi avremmo parlato tutti tedesco). Ma questa è un’altra storia che potrà essere trattata in altri scritti.
Tornando all’oggi, la data del 9 maggio è fondamentale perché la Russia ha fino a questo momento per raggiungere i propri obiettivi minimi, dopodiché se si riterrà soddisfatta potrebbe “cantare vittoria” quel giorno e fermare l’offensiva (magari limitandosi a rafforzare i “nuovi confini”).
Se però per quel giorno almeno il Donbass e Mariupol’ (dove magari si svolgerebbe la parata principale) non saranno liberati e collegati fino alla Crimea, credo allora che Putin possa anche decidere di proseguire l’offensiva e magari impegnarsi fino in fondo per prendere anche Odessa e ricongiungere tutto il “nuovo territorio russo” fino alla Transnistria. Facendo dell’Ucraina un territorio “continentale”, fortemente ridimensionato e senza sbocco al mare.
Un’eventualità che significherebbe altri lunghi momenti bellici e senza avere almeno un orizzonte di speranza di fine delle ostilità.
Non esiste, infatti, un’altra data così significativa per il popolo e l’apparato militare russo come quella del 9 maggio.
In conclusione, è da sottolineare che in questa guerra si scontrano due visioni di mondo diverse, due progetti differenti che si fronteggiano e che hanno spinto tutti gli altri Paesi a mostrare da che parte essi stiano.
I voti alle Nazioni Unite hanno mostrato proprio lo scontro in atto fra la difesa dell’unipolarismo a guida USA da parte della quasi totalità dell’Occidente e molte altre zone del mondo che invece provano a sollevare la testa e a mostrarsi più favorevoli alla nascita di un mondo multipolare.
Questa è la vera sfida del Nuovo Millennio.
Di Alessandro Fanetti per ComeDonChisciotte.org
Alessandro Fanetti, studioso di geopolitica e relazioni internazionali, autore del libro Russia: alla ricerca della potenza perduta (Edizioni Eiffel, 2021).
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16.04.2022
Pubblicato da Jacopo Brogi per ComeDonChisciotte.org