DI ANTONIO DE MARTINI
corrieredellacollera.com
La signora Busseina Chaabane, portavoce del governo siriano ha parlato alla stampa di un piano per seminare la discordia tra i siriani. “L’obbiettivo è colpire l’unità del paese perché questo resiste e si oppone a Israele”. La signora ha poi rincarato la dose accusando i media di “ raccontare solo verità parziali e non tutta la verità”. Questa è, però, anche la prima parziale ammissione siriana che qualcosa sta succedendo. A Deraa i media parlano di cento morti. Probabilmente saranno trenta.
I morti di Latakia sono quasi certamente da addebitare a cecchini dell’opposizione, perché è una zona Alaoutita come lo è il regime e pertanto ogni persona di buon senso non può che nutrire dubbi sul fatto che gli alaoutiti sparino ai correligionari o che questi non capiscano che alla caduta del regime avranno problemi anche ad aprire un chiosco di granite.
E’ più verosimile che servissero un po’ di morti delocalizzati rispetto alla solita Deraa per dare respiro nazionale alla operazione.
Alla manovalanza contribuiscono certamente i fratelli mussulmani ( “già alleati democratici e progressisti” in Egitto) ansiosi di vendicarsi della strage di Hama del 1982 fatta da Assad padre, che rase al suolo la città di dodicimila abitanti e tra le più antiche dell’area.
Nel caso della Libia, ricorderemo come Obama in persona annunziò che gli USA non avrebbero attaccato. Nel caso della Siria questa dichiarazione l’ha fatta la segretaria di Stato Clinton, per evidenti ragioni di perduta credibilità del Presidente. Ma con effetti nulli, data la duplicità mostrata verso Mubarak e Ben Alì. Se hanno fregato dei vecchi alleati, nessuno pensa che vorranno essere leali con il nemico più detestato. Delle dichiarazioni dell’ambasciatore USA Robert Ford, nessun cenno.
Una destabilizzazione dell’area giordana e siriana, non può non riguardare Israele che con re Abdallah II perderebbe l’unico alleato “sicuro” rimasto dopo la dipartita di Mubarak. Che Israele sia al corrente di tutto, ormai non può essere dubbio, visto che dopo un minimo tentennamento iniziale e ufficioso, ha taciuto e continua a tacere evitando accuratamente di farsi coinvolgere, anche solo a parole, come fece nel 1991 a richiesta di Bush padre, incassando stoicamente una gragnuola di missili Irakeni a medio raggio, senza un lamento.
Se Israele entra in ballo, il mondo arabo reagisce compattandosi. Se la Siria cade o cede, Hamas e Hezbollah avrebbero le ore contate lontane come sono dall’Iran. Questo sarebbe un indubbio vantaggio politico e strategico per Benjamin Netanyahu e per Israele, che varrebbe ogni silenzio.
Ma se la Siria venisse attaccata, i suoi satelliti si scatenerebbero per difendere la loro linea di rifornimento, non certo in una battaglia navale con gli USA. Attaccherebbero Israele all’interno e destabilizzerebbero sia l’Egitto che l’alleanza coi fratelli mussulmani pazientemente tessuta dagli inglesi. Inoltre la probabilità di attentati in occidente aumenterebbe esponenzialmente.
Nel 91 la situazione era chiara: l’Irak aveva assalito il Kuwait e c’era una coalizione ben guidata, ampia (partecipò anche la Siria di Assad padre con un battaglione), chiara e non rissosa.
Oggi il diritto internazionale è, paradossalmente dalla parte dei vari dittatori che si vedono assaliti in casa e c’ é mezzo mondo che non ne vuole sapere di usare la forza. I ribelli, appoggiati dall’aeronautica alleata, non parlano più di libertà, ma di petrolio.
La Siria crea una problematica aggiuntiva: dopo l’eventuale sostituzione della setta alaouita al potere, ci sarà giocoforza un regime maggioritario ( 80%) sunnita, che prima o poi cercherà di aiutare i “fratelli sunniti” irakeni defenestrati dagli sciiti – che in Irak sono il 70% – con l’appoggio degli americani. Gli USA si sentono così sicuri dei loro alleati sunniti nell’area? Bloccherebbero la solidarietà sunnita sul nascere?
Un secondo paese destabilizzabile in pochi minuti se la Siria venisse attaccata, sarebbe il vicino Libano dove la TV di Hezbollah, Al Manar (il faro) ha fino ad oggi ignorato tutte le notizie dell’“unrest” siriano ed enfatizzato quelle di Bahrain (dove i rivoltosi sono sciiti come loro e filo iraniani). Una forma di coinvolgimento libanese è già evidenziata dal fatto che i rivoltosi hanno dato alle fiamme la sede della compagnia telefonica di proprietà di Mikati (il premier libanese designato) e del cugino di Assad. Altro coinvolgimento: voci raccolte a Beirut dicono che la repressione a Deraa è stata affidata ad elementi dell’ Hezbollah libanese, per evitare disobbedienze spiacevoli. Evidentemente i miliziani Hezbollah, se ci sono andati, sono filati sotto il naso degli italiani del nostro contingente che sorvegliano il confine con la Siria….
Ma il dubbio più grande che plana in tutto il Mondo arabo e specialmente nei suk di Damasco e di Aleppo è: si limiteranno gli USA alla lezione impartita a Gheddafi o vorranno dare una “mazziata” anche ad Assad?
E cosa garantisce ai sauditi che gli americani non decidano di risolvere il problema una volta per tutte aiutando anche chi vuole far saltare la dinastia Wahabita-saudita, magari rimettendo come custode della Mecca il discendente di Maometto Abdallah II, discendente anche di quel Faisal che aiutò gli inglesi nella prima guerra mondiale ( Lawrence, remember?) e che si vide togliere il trono dai wahabiti nel 1928?
Con un ragionamento tutto levantino, i suk siriani suggeriscono che defenestrata la dinastia, gli USA non avrebbero difficoltà a impadronirsi della lampada di Aladino costituita dai ricavi di 36 anni di royalties petrolifere gonfiate dalle crisi petrolifere ricorrenti che possiamo stimare (anche grazie agli interessi sugli investimenti) in un milione di miliardi di dollari. Di che rifarsi degli ultimi esborsi della crisi.
Tra meno di un’ora è annunziato un discorso di Bashar Assad al popolo. Bashar dal momento in cui successe al padre ha cercato di innovare e democratizzare, bloccato in questo dal partito Baas e minacciato da destra dallo zio (esiliato in Svizzera dal fratello) che ha sottolineato ogni gesto di “debolezza” proponendosi indirettamente per la successione.
Avant’ieri Bashar Assad ha fatto sequestrare il giornale di un cugino che esortava alla resistenza contro i ribelli con toni barricaderi. Potrebbe serbare sorprese.
Intanto il momento è scelto bene: la Siria stava aumentando il PIL significativamente da anni, attirava investimenti stranieri oltre ai capitali del vicino Irak e il regime stava liberalizzandosi in maniera riluttante, ma costante. Bashar, non voleva governare e molti ritengono che potrebbe riuscire con un discorso ben calibrato ad ottenere un’apertura di credito popolare, a meno che la rivolta non sia eterodiretta e ormai inarrestabile.
Prova ne sia che l’intervista TV data a un giornalista inglese e che ho messo in onda su questo blog due settimane fa ( “la Siria questa sconosciuta”), è stata tolta da You tube tre ore dopo che l’avevo messa on line.
Antonio De Martini
Fonte: http://corrieredellacollera.com/
Link: http://corrieredellacollera.com/2011/03/27/la-siria-vuole-dire-tutti-gli-equilibri-del-levante-di-antonio-de-martini/
28.03.2011