LA SINISTRA SMARRITA NELLA PROVETTA SELVAGGIA

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Intervista a Pietro Barcellona*

DI PIERLUIGI FORNARI

Il figlio in provetta, una tappa dell’emancipazione del proletariato? «Grande balla», parola di un «comunista convinto», Pietro Barcellona. Un uomo da sempre di sinistra anche se da qualche anno ha deciso di non fare più politica. Laico, «ma non antireligioso per principio, perché il tema della trascendenza dovrebbe interessare chiunque». A Pannella e compagni che gridano alla penalizzazione dei centri di ricerca nazionali e all’ingiustizia sociale perché i ricchi, a differenza dei poveri, potrebbero andare all’estero a fare quello che è vietato in Italia, il docente di Filosofia del diritto alla facoltà di giurisprudenza di Catania, da uomo di sinistra, risponde così: «È un’ipocrisia. Figuriamoci se il mondo proletario sta aspettando la inseminazione artificiale per emanciparsi…È una battaglia sbagliata che sta seguendo una moda, cioè pensare che la tecnica possa risolvere i problemi profondi della vita umana».Il filosofo, che nel suo cursus honorum ha annoverato la presidenza di una prestigiosa istituzione del Pci come il «Centro iniziative e studi per la riforma dello Stato» (Crs) guidato anche da Pietro Ingrao, mette in guardia contro la provetta selvaggia: «Il patrimonio genetico – argomenta – è un bene che appartiene alla collettività storica nella quale si è formato. Come debbono essere beni condivisi l’ambiente, le piazze delle città, aspetti della vita economico sociale, così ci sono questioni che riguardano la cultura e la antropologia che non possono essere a disposizione di una libertà senza limiti».

Lei ha affermato che è in gioco un modello antropologico. Cosa intende?

«Caratteristica degli uomini è che non sono animali, ma non si sa bene cosa sono. Questo essere problema a stessi ha dato vita alle diverse forme di civiltà, secondo le risposte che si davano a questo interrogativo. Proprio tale risposta costituisce lo statuto antropologico di una civiltà».

E il nostro statuto antropologico?

«Quello in cui sono cresciuto e vorrei continuare a vivere per gli anni che mi restano. In esso il patrimonio che riguarda il futuro delle generazioni non è disponibile da parte del singolo».

Eppure il fatto di avere un figlio ad ogni costo lo si considera un’espressione di libertà…

«Io non ho una visione individualistica, per cui si trasforma in diritto qualsiasi cosa possa essere oggetto di desiderio. Per principio penso che ci sono limiti costituiti dal fatto che c’è un bene comune, ma non dato una volta per tutte, costituito proprio dallo stratificarsi delle esperienze umane in uno statuto antropologico».

Ma il nostro da cosa è specificamente caratterizzato?

«Lo statuto antropologico nel quale io sono cresciuto è quello secondo cui i bambini nascono da una relazione affettiva tra due figure fondamentali, la figura paterna e la figura materna. Freud che certamente non era un sostenitore della Chiesa cattolica, riteneva che il complesso di Edipo, ad esempio, fosse uno dei motori delle continue trasformazioni creative che gli uomini fanno della loro esistenza. Questo complesso si struttura attraverso una relazione affettiva con le figure fondamentali, che non contano soltanto per la loro individualità fisica, ma anche per il patrimonio culturale che trasmettono».

Lei ha detto che potremo arrivare alla gestazione degli uomini nelle vacche o in laboratorio…

«Se noi stacchiamo il fatto procreativo dalla relazione affettiva e sessuale si può ipotizzare un futuro in cui la produzione degli esseri umani avviene totalmente attraverso le macchine. Una volta combinato tecnicamente l’ovocita e lo sperma, si procederà a costruire artificialmente degli esseri umani. La scienza potrà arrivare a questo. Il problema non è impedirlo. La ricerca deve fare i suoi percorsi per capire quello che può della vita. Ma l’uomo non deve consentire che tutto ciò che è tecnicamente fattibile diventi lecito».

A suo avviso ci sono rischi di pratiche eugenetiche?

«Sono enormi. Inoltre considerare un’espressione di libertà la richiesta di un figlio programmato è in sé contraddittorio. I sostenitori di tale libertà dimenticano che essa è molto legata al caso, ogni forma di pianificazione è il contrario della libertà. Se cominciamo a pianificare i figli biondi, alti, di bell’aspetto, eliminiamo il fattore che consente la libertà. Se il caso non c’è più, se tutto è pianificato, non c’è neppure la libertà. Come uomo che proviene dalla sinistra sono stupefatto…».

Di cosa?

«Sono veramente stupefatto di come Pannella possa essere giocato a destra e a sinistra quasi fosse un jolly, sottovalutando il fatto che è un seminatore di illusorie libertà astratte che dissolvono ogni idea di legame comunitario, di responsabilità collettiva, anche di etica».

C’è dunque un aspetto etico da non sottovalutare?

«Non amo le morali precettistiche, ma mi sento eticamente responsabile nei confronti dei miei tre figli e dei miei tre nipoti ai quali cerco di passare il testimone con un rapporto personale e affettivo, i discorsi, perfino i giochi. Come si fa ad immaginare che i figli possano nascere in modo così astratto, al di fuori di legami affettivi, soltanto perché c’è un desiderio di una donna o di un uomo. Io sono un grande sostenitore dei diritti della donna, ma qui non è problema di essere contro le donne, perché questo è un diritto che negherei agli uomini come alle donne».
Qualcuno obietta che un figlio può nascere anche da un adulterio…
«Non è affatto la stessa cosa, anche se il figlio è adulterino è nato da una relazione affettiva. C’è stata comunque una compromissione totale delle persone».

La trasgressione antropologica della provetta selvaggia è più grave?

«C’è il tentativo dell’uomo di realizzare un vecchio sogno delirante di onnipotenza, quello cioè di autogenerarsi, di nascere dal nulla. Di negare, cioè, la prima vera dipendenza che fa di ciascuno di noi un essere nato da una coppia di genitori. Che siano di fatto o conviventi, non mi interessa. Quello che mi interessa è che il bambino nasca da una relazione d’amore tra un uomo ed una donna. È importante anche che la donna, per averlo avuto nel grembo per nove mesi, ha determinato una relazione intrapsichica con questo essere che sta per nascere che comincia ad attrezzarlo ad entrare nel mondo. Io non riesco a immaginare una forma di accesso al mondo che non sia mediato dal rapporto con la madre».

La sua è un’opzione filosofica?

«È una visione antropologica che riprende le acquisizioni della migliore psicanalisi. Uno degli elementi del “principio di realtà” è che la coppia vive il rapporto sessuale tra sessi diversi come un limite all’onnipotenza. Ciascuno di noi, in altri termini, sa di non potersi riprodurre da solo, non può avere il dominio sulla procreazione. Un grande psicanalista francese Green ha scritto che la differenza sessuale da un lato è la prova della nostra mortalità, perché siamo destinati a finire, e dall’altro il riconoscimento della realtà che cioè solo attraverso il rapporto con l’altro sesso si producono altri esseri umani. Questo aspetto non viene mai discusso, eppure è un aspetto laico, non necessariamente legato ad una visione sacrale della vita. O se si tratta di sacralità è una sacralità molto laica».

«Le confesso che non ne ho trovati molti. La sinistra si è smarrita per una ragione molto semplice: perché ha abbandonato ogni idea di bene comune. Prima, seppure nella forma perversa dello Stato totalitario, sottoponeva l’idea della libertà individuale a qualche limite. Crollata l’adesione a questa forma di Stato, è rimasto solo un atteggiamento libertario».

Con che prospettiva?

«Secondo me una sinistra libertaria non ha molto futuro. La sinistra è nata storicamente come un’eresia del cristianesimo, come una visione del bene comune. Questa eresia è stata portata a conseguenze nefaste, ma non era figlia del liberalismo. Era figlia di un’altra visione».

Eppure alcune femministe di sinistra all’inizio si erano mostrate contrarie a lasciare campo libero alla provetta.

«Io ho lavorato molto con il movimento femminista, eppure constato che alcune sono divenute vittime dello spirito del tempo».

Qualche voce femminile non si è levata contro la provetta selvaggia?

«Su un libro curato dalla psicanalista Lorena Preta, una della relatrici – quasi tutte donne – racconta cose inaudite. Il 70% dei casi di inseminazione non ha successo, e il fallimento di queste pratiche ha effetti traumatici sulle donne, assai più gravi della mancanza di un figlio. Spesso veri e propri casi di psicosi. E inoltre la pratica delle tecniche di procreazione assistita si protrae per anni, perché non è che si ha successo al primo tentativo. Quindi non è affatto una passeggiata in carrozza. Al contrario è un tecnica che dà alla donna spesso una sensazione di deprivazione del corpo, che viene considerato più nella sua oggettività materiale, che nella sua concretezza carnale e anche spirituale. Moltissime donne subiscono questa pratica come un trauma profondo della propria femminilità perché hanno la sensazione di essere trattate come fossero messe in fila in una catena di montaggio».

Un esempio?

«La serie di test che devono subire prima di accedere alle tecniche. Trattate in qualche caso anche con una certa volgarità: magari con l’infermiera che procede all’inseminazione usando per l’embrione l’epiteto di “frittatina”. Insomma tali procedure sono applicate in contesti in cui la disumanizzazione è veramente impressionante. Sicuramente dietro questa cosa c’è un grande business, di cui non si parla mai».

Ma non avere un figlio è una sofferenza…

«Lo capisco. Anch’io ho una figlia che desidererebbe un figlio, ma non ce l’ha. Eppure non ricorrerebbe mai a pratiche di questo tipo».

È cattolica?

«No, buddista. Non ricorre all’inseminazione artificiale perché pensa che i figli nascono da una relazione sessuale di due corpi. E conta moltissimo come questa cosa avviene. E il modo in cui un bimbo sta nell’utero materno per nove mesi, è decisivo per la sua vita futura».

E pensare che il far west della provetta permetteva l’utero in affitto

«È ciò che avviene negli Usa con grande tranquillità, ma è una pura perversione. L’utero viene considerato come un contenitore meccanico qualsiasi che può essere un frigorifero, una cella a temperatura fissa. Diviene invece irrilevante il fatto che sia proprio la effettiva madre a tenerlo dentro la pancia. Mi sembro così banali le cose che dico, che sono stupefatto del fatto che non si sia stato una discussione vera. Per questo vedo con favore il referendum, è l’occasione per parlare di tutti questi problemi. Ritengono sbagliato non sfruttare questa occasione».

E infatti ne stiamo parlando e in modo assai approfondito e molto capillare

«Intanto, bisognerebbe spostare uno dei temi della discussione: questo non è uno scontro tra laici e cattolici, è una questione che riguarda la visione dell’uomo che ciascuno di noi ha, sulla base delle sue esperienze, e sul convincimento che si è fatto del futuro di questa specie. È una questione che va oltre i confini delle confessioni, è principalmente una questione di rapporto con le nuove generazioni».

Pierluigi Fornari
Fonte:www.impegnoreferendum.it/
Link:http://www.impegnoreferendum.it/Articoli/Interviste/20050226.htm
26.02.05

L’articolo è comparso inizialmente sul quotidiano Avvenire con il titolo «La sinistra sbaglia causa, parola di comunista». Qui si è preferito un titolo più aderente alle parole dell’autore.

*Pietro Barcellona dal 1979 al 1983 è stato deputato del Pci. Membro del Consiglio superiore della magistratura dal ’76 al ’79, ha presieduto anche il «Centro iniziative e studi per la riforma dello Stato» (Crs), organismo guidato nel ’75 da Pietro Ingrao. Attualmente Barcellona insegna Filosofia del diritto alla facoltà di Giurisprudenza di Catania, dov’è nato nel 1936. Tra i suoi libri il recentissimo «Il suicidio dell’Europa» (2005, edizioni Dedalo), «La strategia dell’anima», «Quale politica per il terzo millennio?», «Alzata con pugno», «Il ritorno del legame sociale», «Politica e passioni». Nell’Università etnea dirige il Centro F. Braudel per gli studi sull’area euro-mediterranea, ed è coordinatore del dottorato di ricerca su «Profili della cittadinanza nella costruzione dell’Europa».

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