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La Redazione

 

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LA RUSSIA STA INFRANGENDO IL MONOPOLIO DEL PREZZO DEL PETROLIO AMERICANO

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A cura di Davide
Il 19 Gennaio 2016
125 Views
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DI F. WILLIAM ENGDAHL

journal-neo.org

La fine del “petroldollaro” significherà la fine simultanea della capacità degli Stati Uniti di imporre l’egemonia globale.

La Russia ha appena intrapreso passi significativi che infrangeranno l’attuale monopolio del prezzo del petrolio di Wall Street, almeno per una parte ingente del mercato mondiale del petrolio. La mossa fa parte della strategia di lungo termine di dissociare l’economia russa dal dollaro americano, a tutt’oggi tallone d’Achille dell’economia russa e, in modo speciale, proprio la sua significativa esportazione di petrolio.

A novembre inoltrato il Ministro dell’Energia russo ha annunciato che si sarebbe cominciato a mettere alla prova dei mercati un nuovo parametro di riferimento per il petrolio russo. Mentre per molti questo suonerebbe come una cosa da niente, in realtà è di portata enorme. Se avrà successo, e non c’è ragione perché non lo abbia, l’accordo connesso al parametro di riferimento per i futures relativi al petrolio greggio russo, negoziato secondo tassi di cambio russi, fisserà il prezzo del petrolio in rubli e non più in dollari americani. Ciò è parte di una de-dollarizzazione, mossa che Russia, Cina e un numero crescente di altri Paesi hanno intrapreso senza tanti strepiti.

Lo scenario di un prezzo del parametro di riferimento del petrolio è al centro del metodo usato dalle più grandi banche di Wall Street, in modo tale da controllare i prezzi del petrolio mondiale. Il petrolio è la materia prima più diffusa al mondo, in termini di dollaro. Oggi il prezzo del petrolio greggio russo è considerato in riferimento a ciò che è chiamato prezzo al Brent. Il problema è che il campo del Brent è in ribasso notevole, insieme agli altri campi petroliferi più importanti del Mare del Nord, il che significa che Wall Street può usare un parametro di riferimento pressoché nullo per fare leva sul controllo di volumi di petrolio di gran lunga più significativi. L’altro problema è che l’accordo del Brent è controllato essenzialmente da Wall Street e dalle manipolazioni dei derivati di banche come Goldman Sachs, Morgan Stanley, JP MorganChase e Citibank.

La fine del “petroldollaro”

La vendita del petrolio, denominata in dollari, è essenziale per il supporto dato al dollaro americano. Mantenendo la richiesta di dollari da parte delle banche centrali mondiali per le loro riserve di valuta, in modo tale da dare supporto al commercio estero di Paesi come Cina, Giappone o Germania, è essenziale, a sua volta, che il dollaro americano rimanga la principale valuta di riserva al mondo. Lo status di valuta di riserva principale è uno dei due pilastri dell’egemonia americana sin dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Il secondo pilastro è la supremazia militare mondiale.

Guerre americane finanziate con i dollari degli altri

Poiché tutte le altre nazioni hanno bisogno di acquisire dollari per comprare le importazioni di petrolio e della maggior parte delle altre materie prime, un Paese come Russia o Cina di solito investe i dollari in eccedenza derivati dal commercio che le sue compagnie guadagnano sotto forma di bond o di titoli simili del governo americano. L’altro unico candidato di una certa importanza, l’euro, è considerato più rischioso sin dalla crisi greca del 2010.

Il ruolo di riserva principale rivestito dal dollaro americano sin dall’agosto 1971, quando il dollaro ha infranto il corrispettivo in oro, ha permesso essenzialmente al Governo americano di gestire deficit di bilancio in apparenza illimitati, senza dovere preoccuparsi dell’incremento dei tassi d’interesse, che è come avere un credito permanente scoperto presso la propria banca.

Ciò ha permesso effettivamente a Washington di creare un record di 18.6 trilioni di debito federale senza grandi preoccupazioni. Oggi il rapporto del debito governativo americano, rispetto al prodotto interno lordo, si attesta al 111%. Nel 2001 quando George W. Bush ha preso l’incarico e prima che siano stati spesi trilioni nella “Guerra al Terrore” afghana e irachena, il debito americano rispetto al prodotto interno lordo si attestava alla metà, ossia al 55%. Il modo di dire superficiale di Washington è che il “debito non conta”, così come la supposizione che il mondo – Russia, Cina, Giappone, India, Germania – comprerà sempre il debito americano con i propri dollari in eccedenza, derivati dal commercio. La capacità di Washington di mantenere il ruolo di valuta di riserva principale, una priorità strategica per Washington e Wall Street, è allacciata in modo vitale al modo in cui sono determinati i prezzi del petrolio mondiale.

Nel periodo verso la fine degli anni ’80 i prezzi del petrolio mondiale erano determinati grandemente dal reale approvvigionamento quotidiano e dalla richiesta. Era sfera di competenza dei compratori e degli acquirenti del petrolio. Allora Goldman Sachs ha deciso di comprare negli anni ‘80 la piccola intermediazione per la materia prima J.Aron, presso Wall Street. Avevano messo gli occhi sulla mutazione del commercio del petrolio sui mercati mondiali.

Era l’avvento del “petrolio di carta”, il petrolio commerciato in futures, contratti indipendenti dalla consegna di greggio fisico, più facile da manipolare da parte delle grandi banche sulla base di dicerie e furberie del mercato dei derivati, in quanto una manciata di banche di Wall Street dominava i commerci dei futures del petrolio e ne era a conoscenza solo chi deteneva posizioni, un ruolo conveniente di membro insider, menzionato raramente per policy aziendale. Era l’inizio della trasformazione del commercio del petrolio in un casinò dove Goldman Sachs, Morgan Stanley, JP MorganChase e alcuni altri colossi bancari di Wall Street gestivano i tavoli da gioco.

Successivamente all’incremento del prezzo del petrolio dell’OPEC di circa il 400% avvenuto nel 1973, nel giro di pochi mesi successivi alla guerra dello Yom Kippur dell’ottobre 1973, il Tesoro americano ha inviato un emissario di alto livello a Riyadh, Arabia Saudita. Nel 1975 l’Assistente Segretario al Tesoro americano, Jack F. Bennett, è stato inviato in Arabia Saudita per assicurare un accordo con la monarchia che prevedeva che il petrolio saudita e tutto quello dell’OPEC fosse commerciato solamente in dollari americani, non in Yen giapponesi o in Marchi tedeschi o in qualsiasi altra valuta. Bennett ha poi assunto un ruolo prestigioso presso Exxon. I Sauditi hanno ottenuto ragguardevoli garanzie militari e attrezzatura in cambio e, da quel momento, nonostante sforzi notevoli dei Paesi importatori, il petrolio oggigiorno è venduto sui mercati mondiali in dollari e il prezzo è fissato da Wall Street tramite il controllo dei derivati o scambi di futures come l’Intercontinental Exchange o ICE a Londra, la Borsa delle materie prime NYMEX a New York, o il Dubai Mercantile Exchange che fissa il riferimento dei prezzi del petrolio greggio arabo. Tutti sono di proprietà di un gruppo intrecciato di banche di Wall Street, Goldman Sachs, JP MorganChase Citigroup e altri. A quel tempo il Segretario di Stato Henry Kissinger, a quanto riferito, ha dichiarato, “Se si controlla il petrolio, si controllano nazioni intere.” Il petrolio è stato al centro del Sistema del Dollaro dal 1945.

L’importanza del parametro di riferimento russo

Oggigiorno i prezzi per le esportazioni di petrolio russo sono fissati secondo il prezzo del Brent in vigore, così come è commerciato a Londra e a New York. Ciò è destinato a cambiare probabilmente in modo molto drastico con l’avvio del parametro di riferimento commerciale russo. Si negozierà il nuovo accordo per il petrolio greggio russo in rubli, non in dollari, sulla International Mercantile Exchange di San Pietroburgo (SPIMEX).

L’accordo per il parametro di riferimento del Brent è usato attualmente per fissare il prezzo non solo del petrolio greggio russo. È usato per stabilire il prezzo di più di due terzi di tutto il petrolio commerciato a livello internazionale. Il problema è che la produzione della miscela del Brent nel Mare del Nord sta diminuendo al punto tale che oggigiorno solamente 1 milione di barili di miscela Brent, fissa il prezzo del 67% di tutto il petrolio internazionale commerciato. Una volta riconosciuto, l’accordo in rubli russi potrebbe intaccare in maniera più significativa la richiesta di dollari derivati dal petrolio.

La Russia è il più grande produttore di petrolio al mondo così che, per usare un eufemismo, è significativa la creazione di un parametro di riferimento del petrolio russo indipendente dal dollaro. Nel 2013 la Russia ha prodotto 10.5 milioni di barili al giorno, leggermente di più dell’Arabia Saudita. Poiché in Russia è usato principalmente il gas naturale, non meno del 75% del petrolio può essere esportato. L’Europa è di gran lunga il principale cliente per il petrolio russo, comprando 3.5 milioni di barili al giorno, ossia l’80% delle esportazioni di petrolio russo. La Miscela degli Urali, un composto di varietà di petrolio russo, è la qualità principale di petrolio russo che viene esportato. I principali clienti europei sono Germania, Paesi Bassi e Polonia. Mettendo in prospettiva la mossa russa relativa al parametro di riferimento, gli altri grandi fornitori di petrolio greggio all’Europa – l’Arabia Saudita (890.000 barili al giorno), la Nigeria (810.000 barili al giorno), il Kazakhstan (580.000 barili al giorno) e la Libia (560.000 barili al giorno) – restano indietro rispetto alla Russia. Tanto quanto la produzione nazionale di petrolio greggio in Europa che è in rapida diminuzione. La produzione di petrolio proveniente dall’Europa è appena scesa al di sotto della quota del 2013 di 3 milioni di barili al giorno, seguendo i ribassi fissi nel Mare del Nord, alla base del parametro di riferimento del Brent.

Porre fine all’egemonia del dollaro in vigore per gli Stati Uniti

La mossa russa di fissare il prezzo in rubli, rapportandolo al nuovo parametro di riferimento del petrolio russo presso la International Mercantile Exchange di San Pietroburgo, per le sue grandi esportazioni di petrolio ai mercati mondiali, in modo particolare all’Europa occidentale e in modo crescente alla Cina e all’Asia, per mezzo della conduttura ESPO e altri percorsi, non è affatto l’unica mossa per ridurre la dipendenza degli Stati dal dollaro per il petrolio. Ben presto nel corso del prossimo anno la Cina, secondo più grande importatore di petrolio al mondo, pianificherà l’avvio del suo proprio accordo sul parametro di riferimento del petrolio. Così come quello russo, il parametro di riferimento cinese non sarà denominato in dollari ma in Yuan cinesi. Sarà negoziato presso la International Energy Exchange di Shanghai.

Un passo alla volta, Russia, Cina e altre economie emergenti stanno prendendo le misure per diminuire la loro dipendenza dal dollaro americano, in modo da attuare la procedura di “de-dollarizzazione”. Il petrolio è la materia prima commerciata su più vasta scala al mondo e il prezzo è pressoché fissato in dollari. Se tutto ciò avesse fine, la capacità del complesso industriale militare americano di muovere guerre senza fine si troverebbe in un grosso guaio.

Forse ciò aprirebbe le porte a idee più pacifiche su come spendere i dollari del contribuente americano, nella ricostruzione dell’infrastruttura economica di base degli Stati Uniti, deteriorata in modo orrendo. L’American Society of Civil Engeneers ha valutato nel 2013 la necessità negli Stati Uniti di un investimento per l’infrastruttura di base che ammonta a 3.6 trilioni di dollari, nei prossimi cinque anni. Viene riportato che un ponte su 9 in America, più di 70.000 in tutto il Paese, è in condizione carente. Quasi un terzo delle strade più importanti negli Stati Uniti è in condizione mediocre. Solamente 2 dei 14 porti più importanti che si trovano sulla costa orientale saranno in grado di accogliere le navi cargo di grande stazza, le quali passeranno ben presto per il Canale di Panama ampliato di recente. Ci sono più di 14.000 miglia di binari ad alta velocità in funzione in tutto il mondo, ma non ve ne sono negli Stati Uniti.

Quel genere di spesa che riguarda l’infrastruttura di base sarebbe una fonte, di gran lunga più benefica dal punto di vista economico, di vero lavoro e di vere entrate erariali per gli Stati Uniti, più delle guerre senza fine di John McCain. L’investimento per l’infrastruttura, come ho osservato in articoli precedenti, ha un effetto moltiplicatore nel creare nuovi mercati. L’infrastruttura crea efficienze economiche ed entrate erariali, nella proporzione di 11 a 1 per ogni dollaro investito, mentre l’economia diviene più efficiente.

Un declino drammatico del ruolo del dollaro come valuta di riserva mondiale, se accoppiato a una ridefinizione nazionale secondo lo stile russo nell’ambito della ricostruzione dell’economia nazionale americana e, piuttosto che esternalizzare tutto, si potrebbe percorrere una strada più importante, in modo da trovare un nuovo equilibrio per un mondo che va pazzo per la guerra. La de-dollarizzazione, in modo paradossale, negando a Washington la capacità di finanziare guerre future con l’’investimento nel debito del Tesoro americano partendo dal debito cinese, russo e di altri acquirenti di bond stranieri, potrebbe dare un contributo prezioso per un’autentica pace mondiale. Non sarebbe bello, tanto per cambiare?

F. William Engdahl

Fonte: http://journal-neo.org

Link: http://journal-neo.org/2016/01/09/russia-breaking-wall-st-oil-price-monopoly/

8.01.2016

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di NICKAL88

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