DI FEDERICO BORDONARO
Asia Times
All’inizio del mese di Agosto, quando Israele ha esteso la sua offensiva da terra contro Hezbollah nel Libano del Sud, molti analisti dell’intelligence militare israeliana misero in guardia sul fatto che la milizia sciita aveva alcune tra le più sofisticate tecnologie anti-carro del mondo.
Immediatamente Israele e i media internazionali cominciarono a pubblicare articoli che puntavano il dito contro la Russia, ritenuta la maggiore fornitrice di questi sofisticati equipaggiamenti militari, sebbene Mosca, secondo la maggior parte degli esperti, abbia fornito armi alla Siria e all’Iran, i quali li hanno fatti arrivare di contrabbando a Hezbollah.
In particolare il 10 agosto, sia il ministro israeliano della Sicurezza Pubblica Avi Ditcher che il ministro della Difesa Amir Peretz hanno affermato che la guerriglia Hezbollah avrebbe fatto uso di granate con propulsione a razzo Vampirs RPG-29 di costruzione sovietica, con testata tandem HEAT (High Explosive Anti-Tank), che si sono dimostrate efficaci contro i carri armati Merkeva israeliani.
Altre fonti militari hanno inoltre sostenuto che Hezbollah si sia procurato il sistema missilistico anticarro Metis-M di progettazione Russa, i missili guidati anticarro Sagger AT-3, Spigot AT-4 e anche i Kornet AT-14 di fattura russa, sempre forniti da Damasco e adatti a distruggere gli elicotteri a bassa quota. [1]
Un portavoce del ministro degli Esteri di Mosca ha così prontamente riferito che la Russia ha onorato i suoi obblighi internazionali e non ha fornito moderne tecnologie anticarro a Hezbollah, risposta questa che è parsa convincente a pochi in Israele.
Mentre Israele riflette sulle difficoltà tattiche incontrate durante i 32 giorni di conflitto, ci sono due importanti questioni politiche e strategiche che devono essere prese in considerazione. La prima è di certo quella del supporto diplomatico e del rifornimento militare della Russia agli attori del Medio Oriente, statali e non statali (Iran, Hezbollah, Hamas), che per Washington sono i peggiori nemici del suo progetto per un “Nuovo Medio Oriente” e per la sicurezza di Israele.
La seconda questione, tuttavia, è quella della strategia generale della Russia. Non riuscire a comprendere il quadro generale impedisce agli osservatori di valutare in modo esatto le mosse controverse di Mosca, in tal modo mettendo a rischio la possibilità di un “Grand Bargain” [grande patto] positivo tra la Russia e gli Stati Uniti.
[Soldati russi con le granate Vampires RPG-29 che Israele afferma siano state usate anche da Hezbollah]
Il ritorno della Russia sul palcoscenico internazionale
Uno dei fattori salienti nella politica mondiale di questi giorni è il ritorno in campo della Russia come attore influente. Questo è il risultato di una vigorosa riorganizzazione del potere domestico da parte del presidente Vladimir Putin.
Negli anni ’90, dopo il collasso dell’Unione Sovietica, la politica estera russa rifletteva molto la fragilità interna del paese. Potenti gruppi aziendali (più tardi battezzati “oligarchie” e combattuti senza tregua dall’amministrazione Putin) dominavano la vita politica, mentre forze centrifughe facevano vacillare la Federazione Russa.
Come conseguenza, la politica estera russa aveva come primario obiettivo quello di coltivare buone relazioni economiche con gli Stati Uniti e con l’Europa, cercando in questo modo di mantenere o aumentare l’influenza russa nello scacchiere internazionale. I risultati furono sconcertanti. Al risentimento contro le oligarchie si unì l’umiliazione (tra i cittadini, ma anche tra molti potenti protagonisti politici e militari) dato che la NATO continuò ad espandersi verso Est, nonostante le promesse contrarie fatte al riguardo dall’allora capo di stato americano George H. W. Bush al presidente sovietico Gorbaciov nel 1990.
Tale politica americana ebbe un forte impatto sulla psicologia dell’élite russa. Mentre Washington promuoveva l’espansione verso Est dell’architettura di sicurezza Euro-atlantica, ufficialmente in maniera amichevole, in realtà si comportava da egemone sicuro di sé.
A Mosca la sensazione dei più era che la Russia venisse “invitata” ad aderire ad una vasta alleanza di sicurezza russo-occidentale, ma come membro debole e inferiore, perciò praticamente forzata a scegliere la collaborazione con la superpotenza. Questo sentimento avrebbe raggiunto l’apice qualche anno più tardi, quando la Russia capì che l’espansione della NATO non aveva praticamente confini e che perfino il fulcro storico della Russia, l’Ucraina, vi era compresa.
Perciò, gli anni del governo di BorisYeltsin, caratterizzati da una politica accomodante e dal dominio del business aziendale, lasciarono la Russia con una diffusa sensazione di inaccettabile inferiorità.
La strategia politica di Putin imboccò la strada opposta, strada che da molti in occidente è considerata come duramente e brutalmente realistica. Per essere forte e aumentare la sua sicurezza, la Russia doveva ristabilire all’interno del paese la supremazia assoluta della politica sul business, a scapito dei cosiddetti oligarchi. Doveva ristabilire un forte potere centralizzato e usare le sue carte vincenti (energia fossile e tecnologia militare) a fini sia politici che economici.
Il presidente sapeva, nel momento in cui cominciò il suo mandato nel 2000, che le riserve russe di energia fossile avrebbero aumentato il peso politico del paese, poiché la presunta preminenza dei consumatori sui produttori (convinzione diffusa a metà degli anni ’90) si era dimostrata sfacciatamente sbagliata.
Sapeva altresì che la tecnologia militare russa, retaggio della guerra fredda, sarebbe stata in grado di cambiare gli equilibri di potere tra gli attori regionali nelle aree geopolitiche chiave.
Per dirla in modo semplice, Putin era convinto che per parlare in modo convincente agli Stati Uniti e al resto dell’Occidente, la politica dell’accomodamento senza fine non era necessaria. Provocare disordini tattici e sfruttare il peso politico di esportazioni militari e di risorse erano una via migliore.
La posizione rigida della Russia nei confronti di Ucraina, Bielorussia, Moldavia e Georgia, nella vasta zona dell’ex area sovietica che va dall’Europa nordorientale al Caucaso,altro non è che l’altra faccia della medaglia: la politica estera di Mosca è in disaccordo con la strategia generale di Washington, basata sulla promozione di cambi di regime che promuovano élite favorevoli all’Occidente e l’espansione della comunità di sicurezza euro-atlantica.
L’incapacità dell’amministrazione del presidente americano George W. Bush nel coinvolgere efficacemente la Russia nelle politiche di sicurezza globale ha solo spinto ulteriormente Putin nella sua determinazione a restaurare il potere della Russia e la sua influenza seguendo la linea dura, spesso schierandosi con la Cina piuttosto che con gli USA, ponendo praticamente fine alla drammatica rottura cino-sovietica che durava dal 1962.
Perciò, coltivare buone relazioni con i nemici regionali degli Stati Uniti nell’area geopolitica più delicata del mondo, il Medio Oriente, appare in linea con il nuovo corso della politica russa. Infatti, se si torna a considerare la politica di Mosca in Medio Oriente ai tempi della Guerra Fredda, la strategia di Putin sembra familiare, ma con alcune interessanti nuove caratteristiche, come le migliori relazioni con Teheran. Questo ci porta alla seconda questione: lo scopo e la portata delle relazioni strategiche e diplomatiche di Mosca con Damasco, Teheran, e attori non statali nella regione.
Corteggiare gli “stati canaglia”?
La maggioranza schiacciante degli osservatori e degli analisti americani, britannici e israeliani mostra irritazione nel commentare le relazioni di Mosca con i cosiddetti “stati canaglia”. Fatta salva la Corea del Nord che è un caso geopolitico e diplomatico specifico, le buone relazioni della Russia con l’Iran e la Siria (ma anche, fino al 2003, con l’Iraq di Saddam Hussein) hanno esasperato Washington e i suoi più vicini alleati.
La comunità dell’intelligence israeliana ha ripetutamente accusato la Russia di aver pericolosamente supportato i nemici mortali di Gerusalemme. In primo luogo, Mosca ha istituito una complessa politica anti-terrorismo – che assomiglia sotto alcuni aspetti alla dura posizione americana contro i gruppi terroristici – che comprende tolleranza zero e totale delegittimazione degli islamisti caucasici in Cecenia e Dagestan, ma allo stesso tempo ha rifiutato di mettere, alla maniera di Washington, Hezbollah e Hamas sulla lista nera.
In un modo che ricorda i tempi della Guerra Fredda, Mosca sembra differenziare i gruppi radicali – accusati di essere delle mere organizzazioni terroristiche e che il mondo civilizzato deve farsi carico di annientare – dai movimenti di liberazione nazionale che possono far ricorso al terrorismo – che servono ad aiutare la Russia a ottenere i suoi scopi politici nelle zone d’interesse.
Mentre alcuni analisti pensano che sia possibile rintracciare la storia di un supporto diretto e a lungo termine della Russia a Hezbollah, la posizione ufficiale di Israele [2] è che fornendo equipaggiamenti militari avanzati alla Siria e all’Iran, Mosca rinforza indirettamente le potenzialità di Hezbollah.
Nel Febbraio del 2005, per esempio, l’amministrazione del Primo Ministro israeliano Ariel Sharon tentò attivamente di evitare che venisse firmato un patto da 70 milioni di dollari tra la Russia e la Siria. Il contratto prevedeva la vendita di 20 9K38 (SA-18 secondo la terminologia della NATO), missili portatili terra-aria con guida a infrarossi di fattura sovietica.
Il supporto militare russo a Damasco è accompagnato dal supporto diplomatico, e vi sono ragioni per credere che tale posizione serva alla Russia per raggiungere l’obiettivo di mettere una barriera all’aggressiva politica di Washington nel Medioriente in due modi: il primo e più palese, contrastando l’offensiva diplomatica americana contro il regime del presidente siriano Bashar al-Assad; il secondo, avvicinando la Siria e ponendo le basi per una stabile presenza militare russa nella regione.
Nonostante la smentita ufficiale della Russia, nel mese di giugno il quotidiano russo “Kommersant” ha riportato la decisione di Mosca di stabilire basi navali nei porti siriani di Tartus e Latakia. Secondo le fonti, Mosca avrebbe proceduto con l’installazione di un sistema di difesa aereo con missili balistici S-300PMU-2.
Il 15 Agosto, il quotidiano russo “Mosnews” ha riportato la notizia che Israele avrebbe “trovato la prova” dell’uso da parte di Hezbollah nel combattere l’esercito israeliano di armi russe fornite da Siria e Iran : “In un giardino vicino ad un incrocio usato come avamposto da Hezbollah, sono stati trovati otto razzi anticarro Kornet che, a detta del Generale di Brigata Mickey Edelstein, comandante delle truppe che hanno preso Ghandouriye [vicino a Tiro], sono ‘i migliori al mondo’ .
Scritte su ogni cassa sotto il numero della commessa c’erano le parole:”Cliente: Ministero della Difesa siriano. Fornitore: KBO, Tula, Russia.” Edlestein ha detto: “Se vi dicono che la Siria non ne sapeva niente, date un’occhiata. Questa è l’evidenza. Una prova, non chiacchiere.”
Prospettive
La Russia ha senza dubbio dimostrato di essere in grado di far cambiare gli equilibri militari in designati contesti regionali. Per esempio, e quasi senza che ciò venga notato dai media occidentali, Mosca sta aggiungendo significativi affari di armi ai suoi progetti di cooperazione energetica con l’Algeria, in un modo che potrebbe cambiare drammaticamente l’equilibrio regionale nell’Africa del Nord (che – non dimentichiamolo – è inclusa da Washington nel “Grande Medio Oriente”).
Ma dedurre da ciò che Mosca sia strutturalmente ostile all’occidente sarebbe un grave errore. Al contrario, il duro messaggio della Russia è un appello per un rinnovato inizio delle relazioni di sicurezza russo-occidentali su scala globale.
Perciò, gli Stati Uniti e i loro alleati occidentali dovrebbero riconsiderare i legami strategici con Mosca. Pensare che sia possibile allargare la NATO e l’Unione Europea seguendo un’agenda esclusivamente occidentale, ignorando le preoccupazioni di sicurezza della Russia, servirà solamente a spingere Putin e i suoi seguaci verso una strategia di politica estera più ostile, al di là del linguaggio diplomatico e delle posizioni ufficiali, con disastrose conseguenze per la stabilità globale.
Note:
[1] Andrew McGregor, Hezbollah’s creative use of anti-tank weapons [L’uso creativo da parte di Hezbollah delle armi anticarro n.d.t.], Terrorism Focus, the Jamestown Foundation, 15 Agosto.
[2] See, for instance, Dangerous liaisons: Covert ‘love affair’ between Russia and Hezbollah, [legami pericolosi: la ‘storia d’amore’ segreta tra Russia ed Hezbollah n.d.t.] Axis Global Challenges Research.
Federico Bordonaro è un analista anziano di Power and Interest News Report (www.pinr.com).
Federico Bordonaro
Fonte: http://www.atimes.com
Link: http://www.atimes.com/atimes/Central_Asia/HH30Ag01.html
30.08.2006
Traduzione per www.comedonchisciotte.org di STELLA FUCCENECCO