DI MAURIZIO MOLINARI
inviato a CUARA (Venezuela)
Quando l’elicottero della Guardia de Honor atterra sul campo sportivo di Cuara, nello Stato di Lara a quattro ore di auto dalla capitale Caracas, Hugo Chavez scende con indosso una sfavillante camicia blu, uno dei colori della bandiera nazionale, ed al seguito la pattuglia di fedelissimi collaboratori che vivono attaccati a lui formando il cuore della tribù politica che guida il Venezuela. Protetto da soldati e soldatesse della Guardia Nazionale – che indossano le nuove divise verdi «made in China» – il 51enne leader arrivato al potere nel 1998 ha scelto Cuara come set televisivo della settimanale trasmissione «Alò Presidente» perché è qui che una dozzina di dottori cubani hanno edificato la missione «Barrio Adentro» ovvero un centro medico e diagnostico dove i residenti possono sottoporsi gratis a qualsiasi tipo di visite. «Alò Presidente» oltre ad essere una trasmissione in diretta è un happening politico: centinaia di fedelissimi si assiepano attorno all’edificio basso in mattoni della missione, ritmando il nome del leader sulle note del cantante rivoluzionario Ali Primera, gridando «Hasta la Victoria Siempre» e indossando magliette e cappellini rossi – il colore del movimento chavista – con frasi del tipo «Analfabetismo sconfitto» o immagini sovrapposte di Che Guevara, Chavez e degli eroi della lotta anticoloniale latinoamericana Simon Bolivar e Francisco de Miranda. Per sei ore e mezza Chavez parla quasi ininterrottamente spostandosi da una sala all’altra della missione attraverso tre differenti set. Per consentire ai fan di arrivare fino alla fine i soldati distribuiscono centinaia di bottigliette d’acqua minerale, panini con carne e formaggio e succhi di frutta a volontà. Le poche soste di Chavez nella maratona oratoria, una versione mediatico-satellitare del discorsi politici fiume di Fidel Castro e del colonello Muammar Gheddafi, offrono l’occasione per un botta e risposta che alza il velo sull’identità di un leader che sfida a viso aperto l’influenza di Washington in America Latina ed è in arrivo domenica a Roma per una visita di lavoro durante la quale vedrà il presidente Carlo Azeglio Ciampi e il capo del governo Silvio Berlusconi.
Quali sono i pilastri del modello di società chavista?
«Il pilastro è l’etica del socialismo perché è il capitalismo che distrugge i diritti della maggioranza. Dopo la dissoluzione dell’Urss c’è stato il tentativo di imporre un po’ ovunque il neoliberismo ma la risposta ai nostri problemi, alla necessità di libertà ed eguaglianza viene dal socialismo che rende attuale l’utopia di Simon Bolivar ed è al tempo stesso cristiano».
Cosa c’entra il cristianesimo con il socialismo?
«Il cristianesimo è la chiave della rivoluzione. Un documento del Concilio Vaticano II che ho avuto modo di studiare e leggere afferma che la proprietà privata deve tenere conto delle necessità sociali. Ciò significa che essere cristiani significa essere contro le speculazioni, per lo sviluppo agricolo ed a favore della cooperazione sociale. Il cristianesimo armonizza la proprietà privata con la necessità di convivere perché vuole impedire che vengano arrecati danni intollerabili. Armonizzare il bene comune non significa distruggere la proprietà privata ma tutelare i deboli ovvero la maggioranza».
Quanto conta il patto di alleanza siglato con Cuba?
«Cuba e Venezuela lavorano assieme per realizzare l’alternativa bolivariana in tutta l’America Latina. I medici e i docenti cubani sono soldati senza armi che curano ed insegnano a milioni di persone. Dio parla con la matematica e missioni come questa di Cuara lo dimostrano. Grazie ai cubani in Venezuela c’è più sicurezza».
Che opinione ha di Castro?
«Per il comandante Fidel Castro provo una riconoscenza eterna ed infinita. Lo sforzo che Cuba sta facendo in Venezuela è monumentale. Passeranno i decenni, i secoli, ed i medici cubani saranno sempre qui a curare i nipoti dei nostri nipoti, per sempre».
Chi è il suo eroe?
«Che Guevara. E’ lui il comandante della nostra alba. E’ un’icona, un pensatore, un protagonista argentino, cubano e latinoamericano, esempio costante per la nostra goventù. I suoi scritti economici aiutano a reagire al neoliberismo. Il suo tempo è il nostro tempo perché, come diceva Josè Martì, “il sacerdozio è la medicina”. Il sacerdozio del Che è la medicina contro coloro che vogliono imporci il pensiero unico, il capitalismo ed il neoliberismo. Nessuno deve farsi manipolare. Sarà la gioventù a dare forza inaudita alla nostra rivoluzione».
Alcuni gruppi di opposizione la accusano di opprimere le libertà civili. Cosa risponde?
«So bene che c’è chi afferma che sono un tiranno. Affermino ciò che vogliono. La tirannia non è la mia ma di coloro che vogliono negare educazione e tutela della salute alla maggioranza della popolazione. Costoro affermano che anche a Cuba c’è una tirannia ma in realtà ciò che c’è a Cuba è una rivoluzione che garantisce lavoro, educazione e salute. A Cuba come in Venezuela è in atto un processo di liberazione».
Lei afferma di battersi a favore delle classi meno abbienti ma secondo il più recente rapporto dell’Onu sullo sviluppo umano in realtà la povertà in Venezuela è aumentata negli ultimi tempi. Non crede che questi dati sollevano qualche dubbio sulla validità delle sue politiche?
«Penso invece che sono frutto di mancanza di conoscenza. Quanto afferma il rapporto delle
Nazioni Unite sullo sviluppo umano è falso. Si tratta di cifre relative al 2003 che non tengono conto di quanto è poi avvenuto da noi nel 2004 e 2005 ed inoltre è stato usato un metodo sbagliato nel calcolo della ricchezza. E’ come se si tentasse di misurare con metodi molto tradizionali il vento portato da un grande uragano. La rivoluzione è un evento eccezionale».
Con Washington lei è da tempo ai ferri corti perché l”amministrazione americana non condivide il suo patto con Cuba e la accusa inoltre di aiutare movimenti di guerriglia in Colombia e Bolivia. Cosa c’è dietro il braccio di ferro con George W. Bush?
«C’è quello che mi ha scritto un cittadino nordamericano per lettera: Bush dimentica gli aiuti agli afroamericani vittime dell’uragano Katrina mentre bombarda gli iracheni. A San Pablo hanno chiuso una biblioteca, all’Università di Berkeley mancano penne, quaderni e libri per gli studenti ispanici. Sono pronto ad aiutare per porre rimedio a queste mancanze. Manderò ciò che serve agli abitanti di San Pablo rimasti senza libri ed agli studenti dell’Università che tanto ruolo ebbe nella mobilitazione liberal e pacifista degli anni Sessanta. Darò ogni appoggio ed ogni aiuto ai poveri degli Stati Uniti. Soprattutto a quelli che vivono in grandi metropoli come New York e Chicago. Possono contare su Chavez».
Qual è la prossima tappa della rivoluzione chavista?
«La lotta al latifondo. La proprietà privata non è sacra, deve armonizzarsi con le necessità pubbliche. E’ la Bibbia che lo afferma. Il latifondo è un gigantesco inganno ai danni del popolo venezuelano. Un pugno di persone possiedono enormi quantità di territorio che non producono nulla, non sono adoperate in alcuna maniera, oziano. Bisogna trasformare il modo di produzione. Servono delle cooperative a cui saranno affidate le terre inutilizzate, affinché possano produrre. Le espropriazioni saranno indennizzate».
Non teme di innescare un terremoto economico?
«Anche negli Stati Uniti la Corte Suprema si è espressa di recente in favore delle espropriazioni di proprietà inutilizzate. Solo che in quel caso le espropriazioni possono essere fatte a vantaggio di altri privati mentre in Venezuela la motivazione è l’interesse pubblico. Si tratta di un passaggio importante verso un nuovo modello economico post-capitalista teso a soddisfare i bisogni della collettività e basato sulla necessità di raggiungere la piena sovranità alimentare grazie allo sviluppo di ogni tipo di agricoltura strappando terre ai troppi latifondi esistenti».
Prima di lasciare Cuara Chevez consegna ai fan in delirio la promessa di «aumentare gli stipendi ai medici», ennesima decisione resa possibile dall’aumento del prezzo del greggio che ha fatto decollare le riserve in valuta pregiata del quinto esportatore mondiale di olio nero.
Il «petropopulismo» si regge appunto sulle entrate per le vendite di petrolio – l’80 per cento delle quali vanno verso gli Stati Uniti – la cui gestione trasforma Chavez in un protagonista degli equilibri globali. Ma a chi gliene chiede conto lui risponde così: «I veri squilibri del Pianeta sono quelli evidenziati dalle immani devastazioni che continuano ad abbattersi sull’umanità, dagli uragani ai terremoti, è come se la natura si stesse dando la propria risposta al capitalismo selvaggio». Proclami ed ideologia a parte in realtà Chavez gestisce il petrolio in maniera assai concreta, come dimostra la recente decisione di spostare tutte le proprie riserve in valuta – stimate attorno a 20 miliardi di dollari – dagli Stati Uniti alla Svizzera. Trasformando i dollari in euro.
Maurizio Molinari
www.lastampa.it
11.10.05
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