LA RIVOLUZIONE CINESE PER TUTTI E PER NESSUNO (PARTE SECONDA)

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DI FRANCESCO SISCI
Asia Times

Il governo cinese, nonostante sia consapevole del problema posto dalla crescita del coefficiente Gini [1], crede di avere ancora molto tempo per reagire. Una delle ragioni principali è il contesto culturale della povertà cinese: in Cina la povertà è sinonimo di vergogna (a differenza di molte altre società con molti poveri, come l’India, dove la condizione di povertà non rappresenta per il povero un motivo di vergogna): in Cina, la gente povera si nasconde, o gli viene detto di farlo, gli sembra di “perdere la faccia” a causa della propria condizione. Questa situazione può avere due effetti: dal lato positivo, essa dà gli stimoli per poterne uscire, una spinta di intraprendenza. Dal lato negativo, essa può generare il rancore per essere lasciato nella povertà, il che può condurre a proteste, rivolte, ed anche una spinta per un cambiamento rivoluzionario (ovviamente gli effetti delle rivoluzioni non sono sempre negativi).
C’è una percezione molto diffusa che le manifestazioni siano proprio il primo passo di un percorso che porta inesorabilmente alle rivolte ed infine alle rivoluzioni. Tuttavia questo è fuorviante, poiché c’è una profonda differenza di tipo qualitativo fra le proteste e le rivoluzioni. Una rivoluzione richiede molto di più di una semplice esigenza di cambiamento; essa richiede una direzione, verso cui indirizzare il cambiamento. Ed è proprio qui – nella direzione del cambiamento – che troviamo molta confusione, sia dentro che fuori dalla Cina.

Molti occidentali vorrebbero vedere una rivoluzione per la democrazia. Ma la democrazia in sé è un procedimento; non possiede nessuna ricetta su quale tipo di governo possa nascere da tali procedimenti – ci possono essere liberali e conservatori, fondamentalisti e secolaristi, democratici e repubblicani. Una delle ideologie che sta guadagnando terreno fra i nulla-tenenti cinesi è una forma di neo-Maoismo. Ma le sue prospettive sembrano piuttosto deboli; del resto i maoisti hanno governato la Cina per circa 30 anni lasciandosi dietro molte cicatrici di fallimento. I cinesi poveri stanno cercando qualcosa di nuovo, e molti altri culti stanno avendo la meglio rispetto ai neo-Maoisti, proprio come nel caso dei recenti culti del genere di Falungong, o gruppi pseudo-cristiani, come i Taipings di vecchia data.

Inoltre si stanno facendo strada organizzazioni simili alla Triade, che hanno preso il controllo delle elezioni in molti villaggi attraverso un misto di intimidazione e di corruzione, e spesso gestiscono l’organizzazione dei “lavoratori instabili” giunti nelle città cinesi per fare dei lavori manuali. Si dispone di pochissime ricerche sociali sull’impatto del neo-Maoismo, dei culti o delle triadi, ma un campione di domande a lavoratori comuni in Bejing dimostra che gli immigrati hanno molta più familiarità con queste forme che con le democrazie occidentali. Qualcuno potrebbe utilizzare questo fatto per sostenere che se si verificasse una rivoluzione in Cina, sarebbe una rivoluzione religiosa, o un colpo di stato di triadi. Non è per niente improbabile, dato che molte dinastie, inclusa la corrente dinastia “comunista”, hanno avuto caratteristiche simili al culto.

L’impressione complessiva è che i cinesi sono stufi delle rivoluzioni, avendone avute diverse nei passati 160 anni. Ciò è dovuto in gran parte ai visibili progressi nella vita quotidiana, malgrado le differenze sociali. Non importa cosa stia succedendo in termini relativi, in termini assoluti la vita sta migliorando. Solo 15 anni fa, le mense della scuola di Beijing fornivano una dieta con poche proteine. Ciò non è più vero. Inoltre c’è più mobilità sociale oggi, rispetto ai secoli passati; più possibilità di mandare i propri figli alle università, o di intraprendere un’attività commerciale. Ultimamente, non c’è niente che rassomigli la netta divisione della “lotta di classe” dei cliché marxisti: i poveri non sono schierati contro i ricchi; la classe proletaria non è al comando della società; gli operai sono attualmente in opposizione ai contadini che migrano verso le città; infine per quanto riguarda gli intellettuali, tutto ciò che vogliono è ottenere un posto fisso o occuparsi di affari.

Nei processi di modernizzazione, urbanizzazione, e commercializzazione della Cina, si percepisce spesso il senso che tutti siano contro tutti – raramente una situazione matura per la rivoluzione, ma sicuramente una in cui viene costantemente chiesto al governo centrale di mediare fra diversi costituenti: i ricchi contro i poveri, la classe media contro tutti, il centro contro le province, i distretti contro le autorità provinciali. Tutti questi conflitti perpetui richiedono un intervento maggiore del governo centrale, non meno di uno o due decenni fa. In questi giorni tutto è diventato più chiaro: i capi di partito avevano tutto, mentre il resto della popolazione stava fuori al freddo. I capi si sono sentiti isolati, quindi a volte assediati. La divisione sociale è stata molto chiara: coloro che non detenevano il potere – studenti, lavoratori e contadini – potrebbero potenzialmente unirsi tutti contro i detentori del potere – i funzionari.

La situazione oggi è molto più oscura. Oggi ci sono persone con potere e senza soldi, persone con i soldi e senza potere; e persone con entrambi, i corrotti. Ci sono i ricchi, la classe media, i poveri delle città ed i poveri delle campagne (una tipologia diversa di poveri con altre ambizioni). Ci sono studenti, funzionari, imprenditori…Nell’insieme la società si sta facendo sempre più complessa; sebbene ciò rende sempre più difficile al governo il compito di mantenere l’equilibrio, dall’altro ciò crea un vasto spazio per l’azione riequilibrante, uno spazio che non esisteva fino a 20 anni fa. Allora il governo doveva solo esercitare il proprio potere, non poteva intervenire con azioni riequilibranti fra gli interessi di classe, che erano stati livellati artificialmente.

La sempre più grande diversità della società ha reso oggettivamente più difficile ogni tentativo di cominciare una rivoluzione. Quale gruppo tenterebbe di mobilitare un aspirante rivoluzionario? I contadini o i lavoratori? Tentare di mobilitarli entrambi sarebbe pressoché impossibile, dal momento che le differenze di interesse sono troppo profonde. E’ vero che alcuni intellettuali hanno giocato con l’idea di organizzare un movimento di contadini, alcuni hanno anche viaggiato verso i villaggi per mobilitare i contadini, mentre alcuni contadini si sono spostati verso le città per cercare l’appoggio degli intellettuali. Di fatto questo tipo di attività è andata avanti per anni, ma sostanzialmente non è mai stato concretizzato niente, e certamente non solo a causa della presunta onnipresenza dell’apparato di sicurezza cinese. E’ perché le condizioni necessarie per una rivoluzione non c’erano ancora, e non ci sono tuttora.

Inoltre, il fattore GINI, sventolato pubblicamente, suggerisce qualcos’altro: le differenze sociali oggi sono una forma di trasparenza sociale; mentre durante Mao le differenze erano più forti, ma venivano nascoste. Durante il periodo maoista, un piccolo gruppo di funzionari, sistematicamente reclutati, a cominciare dal Grande Helmsman in persona, a cui era garantito la posizione numero uno nella gerarchia, gli venivano accordate chiare differenze del “dayu”, che diventò un termine tecnico indicante le differenze di privilegi garantiti. A parte il denaro, la differenza era minima, ma durante il periodo del Partito Comunista ortodosso, il denaro in ogni caso non aveva potere d’acquisto. Tutti i capi dei vertici possedevano una villa con servi e cuochi in ogni provincia della Cina. Queste restavano aperte ed attive 12 mesi all’anno, anche se i loro proprietari non le visitavano. I ministri possedevano vaste terre con conducenti alle dipendenze, i direttori generali possedevano automobili e telefono – mentre la gente comune moriva di fame. Questi privilegi erano accentuati da un senso di mistero: nessuno poteva scrutinare le vite dei capi, che vivevano letteralmente dietro dei muri chiusi. Le auto che ancora oggi sfrecciano per le strade di Beijing con le finestre scure sono un lascito del passato, quando i capi dei vertici sventolavano grandi “bandiere rosse” attraversando ad alta velocità la deserta Changanjie, la strada principale di Beijing. Queste differenze erano abissali rispetto alle differenze odierne.

Ma erano nascoste, mentre oggi sono sotto gli occhi di tutti. In genere, persone che per molti anni hanno vissuto con lo stesso tenore, oggi sono economicamente distanti, mentre uno possiede ancora una bicicletta, un altro possiede una BMW. Parte integrante dell’idea di società armonica è che la gente si deve rassegnare a queste differenze, che in gran parte derivano dalla corruzione, ma anche causa della diversa acutezza per gli affari dei diversi individui.

Sembra che il governo continui a credere di possedere il controllo, a pensare che i cambiamenti sociali possano dare al regime molte possibilità di intervento, e che una certa trasparenza possa migliorare la capacità di controllo del governo. Con queste condizioni, se il governo preme per la liberalizzazione e si muove verso la democratizzazione, esso guadagnerà sempre più influenza e consenso – non meno. In altre parole, potremmo vedere la futura Cina sempre più trasparente e liberale, muoversi verso la democratizzazione, e ancor più il partito Comunista potrebbe rivestire un ruolo accresciuto di potere ed influenza. Agli occhi di certi osservatori questo è un paradosso – a meno che non pensiamo più al partito comunista come “comunista”.

D’altro canto, c’è forse un altro aspetto da prendere in considerazione. Storicamente, i maggiori colpi al potere del Partito non provenivano da qualche opposizione esterna, ma da dentro lo stesso Partito. L’ultimo Zhao Ziyang, oggi celebrato come il semidio della liberalizzazione, era un segretario di partito, mentre il suo assistente era Bao Tong, capo dei dissidenti. Anche nel caso del Falun Gong, i membri che nel 1999 hanno organizzato la manifestazione davanti lo Zhongnanhai che ha spaventato il governo che ha reagito con una violenta repressione, erano ufficiali supremi di partito, incluso un generale dell’aviazione in pensione, condannato in seguito a 13 anni di prigione.

La situazione non è cambiata da allora. Il partito controlla tutto, e non c’è alcuna organizzazione sociale, neanche una religione o gruppo triade capace di sfidarlo. I gruppi triade potrebbero essere forti ed avere delle solide connessioni con alcuni ufficiali e con agenti della polizia, tuttavia la loro portata non va mai oltre i limiti della loro provincia, e spesso è limitata alla propria città. Anche la Chiesa Cattolica, che ha resistito per decenni alla repressione comunista rimanendo unita e fedele al papa, ed è bene organizzata, non riesce ad influenzare la popolazione al di là dei propri credenti. Oltretutto questi gruppi sono in competizione fra di loro; sicuramente i cattolici sono in opposizione alle triadi, e triadi diverse competono fra loro, come succede fra i culti nelle campagne.

Anche se il partito non fosse in grado di mantenere sotto stretto controllo ciascuna di queste organizzazioni, cosa che per alcune buone o cattive ragioni ci tiene a fare, sarebbe in ogni caso arduo per ciascuna di queste organizzazioni riuscire a prevalere sia sul partito che sulle altre organizzazioni. In realtà, la maggior parte di questi gruppi sono più che contenti di convivere con il partito senza sfidarlo apertamente, per svariate ragioni. Questa situazione lascia isolati milioni di contestatori. L’unica possibilità per un possibile scompiglio del partito politico maggiore deriva da una seria lotta di potere interna al partito che balzi agli occhi di tutti, proprio come accadde in occasione dell’incidente di Tiananmen., o fino ad un certo punto con la repressione di Falun Gong.

Potrà un tale conflitto di potere interno esplodere a breve?
Nessuna voce esterna può dirlo. Fino ad ora, la lezione che il partito ha appreso da Tiananmen e dall’esperienza del colpo di stato sovietico contro Gorbachev nel 1991, è che, se i conflitti interni escono allo scoperto, tutti i membri del partito possono perdere, mentre forze esterne potrebbero entrare in scena e farsi strada. Fino ad un certo punto, la consapevolezza di questo fatto ha svuotato i maggiori conflitti di potere con la scomparsa della potente fazione Yang Shangkun nel 1992; ha digerito l’arresto del potente Chen Xitong, capo di partito di Beijing nel 1995; e reso possibile al presidente Qiao Shi del Congresso Nazionale (National People’s Congress) di lasciare il potere nel 1997, aprendo così la strada a Jiang Zemin.

Anche durante il crack-down ddel Falun Gong, quando molti alti ufficiali in pensione solidarizzarono con l’organizzazione, il partito ha riunito tutte le proprie forze ed ha riportato tutto in linea, evitando scontri di massa o diretti. Il partito ha appreso molto da tutti questi eventi; potrebbe anche aver imparato che la vera minaccia potrebbe provenire dai suoi ranghi, non tanto da milioni di persone per le strade delle città cinesi.

Note:

* Il ”coefficiente Gini” è un sistema inventato dallo studioso italiano Corrado Gini per misurare il grado di eguaglianza di una societa’

* Francesco Sisci, con casa a Bijing, è l’editore del quotidiano La Stampa in Asia.

Francesco Scisi
22.10.05
Fonte: www.atimes.com/a
Link: http://www.atimes.com/atimes/China_Business/GJ21Cb01.html

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di CYLOBA

VEDI ANCHE: LA CINA SI DIRIGE VERSO UN “ALLARME ROSSO” SOCIALE? (PARTE PRIMA)

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