DI ARIEL E ULISES NOYOLA RODRIGUEZ
rebelion.org
Gli USA godono di un sistema finanziario con una maggiore elasticità dinnanzi alle turbolenze dell’economia mondiale. La banca statunitense riproduce la sua posizione in cima alla piramide dei sistemi finanziari nazionali concentrando e centralizzando capitali attraverso il binomio dollaro – Wall Street, che rappresenta un meccanismo di dominazione finanziaria.
Intanto, la Federal Reserve (Fed) statunitense ha espanso la sua base monetaria (denaro depositato in banche e in circolazione nell’economia reale) di un 400%; la Banca Centrale Europea (BCE) soltanto di un 150%. La BCE prova a non pregiudicare la posizione dell’Euro come moneta di riserva. I programmi che ha lanciato includono la “sterilizzazione di liquidità” che la Fed non ha previsto, ovvero, il denaro che la BCE usa per comprare titoli finanziari lo recupera ritirandolo dalla propria base monetaria.
Ciò ha permesso alla banca statunitense di riprendersi più rapidamente rispetto al sistema finanziario europeo. Tra il 2007 e il 2013, il valore delle azioni delle 10 maggiori banche americane è aumentato di 2 biliardi (2000 miliardi, ndt) 850 mila 623 dollari, secondo la Federal Deposit Insurance Corporation; viceversa, le banche di maggiori dimensioni dell’Unione Europea, a giugno 2013, possedevano in azioni 660 milioni di euro in meno rispetto al 2009, secondo la BCE. Il sistema finanziario europeo, essendo di natura bipolare – con banche molto forti come Deutsche Bank, Commerzbank, BNP Paribas da un lato; e, dall’altro lato, con banche molto deboli nella periferia -, aumenta il rischio locale legato a possibili shocks finanziari. Ad esempio, la banca italiana Unicredit, durante il quarto trimestre del 2013, ha subito perdite per 14 mila milioni di euro.
Affinché si mantenga la “fiducia” nella valuta, la troika europea (FMI, BCE e Commissione Europea) fa rispettare il Patto di Stabilità, che obbliga gli Stati membri della UEM a non superare il limite del 3% del deficit fiscale e del 60% di debito pubblico in relazione al Prodotto Interno Lordo (PIL). Ad ogni modo, l’applicazione di politiche di austerità ha portato al fatto che attualmente 11 Paesi non rispettino il suddetto Patto (Austria, Belgio, Cipro, Slovenia, Spagna, Francia, Finlandia, Grecia, Irlanda, Italia e Olanda). Viceversa, il debito pubblico di Washington (16.7 bilioni di dollari, oltre il 100% del PIL) si sostiene attraverso il dollaro, che agisce come rifugio privilegiato degli short-term capitals (capitali attraverso i quali si vuole ottenere un plusvalore in meno di un anno, ndt) del resto del mondo. De facto, il rischio di default statunitense scompare.
Dall’altro lato, la UEM sprofonda in un contesto economico segnato dalla deflazione. L’inflazione, a partire da ottobre 2013, si trova sotto l’1%: meno di metà dell’obiettivo fissato dalla BCE, che è il 2%. A gennaio 2014 è stata dello 0.80% ed è scesa allo 0.70% a febbraio. Ciò ha messo in allerta Mario Draghi, presidente della BCE, che ha dichiarato che è possibile che la politica monetaria sia più espansiva e includa misure non convenzionali (Financial Times, 2 marzo 2014), possibilmente in stile Fed, anche se applicate in maniera selettiva in base ai Paesi. In maniera complementare, dopo aver ridotto il Tasso Ufficiale di Riferimento dallo 0.50 allo 0.25% a novembre 2013, membri del Consiglio della BCE non scartano la possibilità di stabilire tassi negativi nei depositi bancari per ribaltare la tendenza depressiva dell’economia (The Wall Street Journal, 25 marzo 2014). Il recente appoggio ad un’eventuale espansione monetaria (Quantitative Easing) europea da parte di Jens Weidmann, presidente della Bundesbank, nel momento in cui si cambi l’articolo 123 della BCE, che proibisce finanziare direttamente gli Stati della UEM, evidenzia l’angustia di Berlino dinnanzi all’incancrenirsi della crisi (Reuters, 25 marzo 2014). Ed è il minimo. L’aggregato monetario M3 della BCE sotto zero; la contrazione del credito privato del 2.3% nel 2013, la maggiore caduta in due decenni; il record della disoccupazione al 12%; e il cambio di 1.4 euro per dollaro, minaccia il dinamismo delle esportazioni tedesche, dipendente in gran parte dal mercato interno europeo. L’Institute for Economic Research (in tedesco IFO) che misura il livello di fiducia delle imprese tedesche, è caduto a 110.7 punti in marzo, la prima caduta dopo una crescita durata cinque mesi consecutivi (Daily Forex, 25 marzo 2014).
Per concludere, la questione di fondo risiede nel fatto che la crisi della periferia europea ha sortito un effetto boomerang per l’euro e Berlino: tra il 2011 e il 2013 la quantità di euro nelle riserve delle banche centrali è scesa dal 25.1 al 24.2%. Nel 2007 la Germania è caduta da terza a quarta economia nel ranking mondiale. Invece, l’egemonia del dollaro è rimasta intatta, conservando il 64% del totale (della valuta nelle riserve delle banche centrali, ndt). Così, gli USA mantengono la supremazia economica globale.
Ariel Noyola Rodríguez y Ulises Noyola Rodríguez
Fonte: www.rebelion.org
Link: http://www.rebelion.org/noticia.php?id=183346&titular=la-rivalidad-euro-d%F3lar-
16.04.2104
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di R.D.V. (https://twitter.com/eldirettore)