LA RICE E IL NUOVO PARADIGMA NERO

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DI ERIN AUBRY KAPLAN

Il mese della celebrazione della storia del popolo nero è sopra di noi e sembra già che pesi una tonnellata.
Non ho mai compreso completamente il concetto di relegare al mese di febbraio – che come ogni comico nero sottolinea è il mese più corto dell’anno – perché sembra sempre che valga meno un omaggio di una segregazione, un sostituto perenne per l’incorporazione della storia nera dentro la più vasta narrativa americana esposta nei testi scolastici, nei quotidiani e cose simili.
Tuttavia l’ultimo decennio di storia nera è stato così discutibile, a doppio taglio e così sempre più alieno a ciò che ho sempre pensato in merito al progresso razziale e sociale, che sarei quasi disposto a saltare l’argomento per il 2005. E lo farei per un motivo in particolare: Condoleeza Rice.Per anni, la mia rabbia per la Rice è stata latente. Con il suo sorrisetto stretto, il suo sguardo serpentino e la sua pettinatura immutabile e senza speranza, è stata la sosia nera di Bush, sebbene dotata di migliori capacità dialettiche. Inizialmente ho pensato che lei fosse il progresso sul fronte dell’immagine pubblica, diversamente dal suo capo, lei non faceva ricorso alle omelie da chiesa, a grossolane emotività e alla cattiva grammatica.
Ma certamente avrei sperato che ci fosse un po’ di empatia fraterna, qualche traccia di educazione del sud, di croci bruciate e di segregazione che praticamente tutti noi condividiamo, ma che non mostriamo necessariamente in politica. Più il tempo passava più diminuiva la mia fiducia, ma comunque ho continuato a nutrire speranze — una delle migliori e al contempo peggiori caratteristiche dei neri è la disponibilità a nutrire ottimismo anche senza alcuna base di fatto.
Chiamatemi pazzo.

Ho finalmente raggiunto la saggezza. La Rice che di recente è la più papabile al ruolo di segretario di stato, mi ha fatto bollire dalla rabbia. Ora mi sento libero di chiamarla come ciò che è: una ideologa ermetica e una opportunista che nutre tanto sentimento per i neri quanto per gli americani in genere, cioè niente.
Ciò fa della Rice “il modello Bush”, ma il suo modellarsi deriva in parte dal fatto che, con molta gioia segreta dei suoi compagni neoconservatori, rappresenta anche parte di ciò che è impazzito nel progresso dei neri negli ultimi dieci anni e particolarmente negli ultimi quattro anni.
Tanto per cominciare, la Rice è un pezzo da novanta di storia scritta non dai neri, ma da bianchi cinici come Bush che hanno finito per cucire un paradigma razziale a proprio piacimento per poi chiamarlo democrazia al lavoro e libertà per tutti.
Questa non è una cosa nuova, naturalmente; Poppy Bush ha orchestrato la stessa cosa dieci anni prima quando nominò Clarence Thomas alla Corte Suprema.

Fin quando i neri mireranno a rompere la struttura del potere bianco che ancora governa questo paese, i loro interessi saranno subordinati alla mercè di qualcun altro, ciò significa che più in alto arriva un nero, più occorre che si allinei con il potere e non con la gente.
Ma Condoleezza Rice ci mostra quando possa essere sgradevole questo principio costruito sul colore. Dal suo trespolo di consigliere della sicurezza nazionale e ora di segretaria di stato, finisce per andare in giro per la guerra in Iraq, le riconoscono un ruolo da protagonista nella “Grande Bugia” che ha portato alla guerra, mentre non ammettendo di mentire a se stessa e non soffrendo per le conseguenze, ha finito con l’intensificare l’isolamento dell’America nel mondo e quindi con il mettere a repentaglio non solo noi ma anche l’intero pianeta.
Finisce per ignorare la situazione dei neri — compresi tutti quei soldati di colore che sono morti ammazzati o sono tornati dalla guerra mutilati — e vende se stessa come una nera di successo senza aver mai raccontato dettagli cruenti.

Non solo la Rice continua con il nuovo paradigma nero (che è anche obsoleto — donna nera compagna di un uomo bianco, facoltoso ma incompetente, che fa fatica ad allacciarsi le scarpe ), ma lo sostiene e ne diventa complice senza alcun rimorso di coscienza.
Lei incarna i peggiori istinti della nuova classe nera medio-alta che, come intuì W.E.B. Dubois nel lontano 1950, avrebbe rappresentato il contentino offerto dai bianchi, non la salvezza dei neri. Lui fu così depresso di ciò che vedeva accadere che decise di passare gli ultimi anni della sua vita in Africa.
Ci sono altri neri come la Rice, che non solo sono riluttanti verso la giustizia razziale ma lavorano attivamente contro di questa, e che non hanno la libertà e gli spazi che a lei sono stati dati. E in questi tempi di Dio-e-patria, la Rice sta facendo più di quanto atteso mostrando se stessa come aggressiva e super-patriottica come sono stati tutti i neri, sebbene la sua idea di patriottismo – cieca fedeltà corporativa che mira ad avere ricompense come promozioni ed ulteriore fedeltà — è esattamente a 180 gradi rispetto a ciò che M. L. King intendeva quando parlava di amare l’America abbastanza per contrastarla in tutti i modi come durante l’opposizione alla guerra in Vietnam. Non ho mai sentito la Rice parlare di King, un compagno nativo del profondo sud, ma tuttavia trovo la cosa positiva. Il NAACP [National Association for the Advancement of Colored People, Associazione nazionale per il progresso della gente di colore] ha avuto un certo cattivo gusto a dare alla Rice un premio per il raggiungimento dell’obiettivo qualche anno fa – sulla base della stessa folle speranza che anch’io nutrivo per lei – e la stampa nera acclamò oltre la sua toga e niente più. Per i giornali che ancora scrivono ed esaltano i progressi e gli onori di ogni genere, questo silenzio fu come una sottolineatura. Tra tutti i neri di statura nazionale solo Clarence Thomas ha avuto un trattamento simile: se non possiamo dire niente di carino allora non diciamo niente.

Un’altra cosa che disprezzo della Rice è come abbia dato discredito all’assistenza alle vittime dei pregiudizi, per altro già alle corde. La sua nomina è tuttofare di Bush, ma molte persone vogliono ammirarla perché preferiscono vedere una donna, decisa e colta, che si impegna fino al massimo della forza consentita dal suo carattere e dalle sue qualità. La Rice non è ancora qualificata per essere segretaria di stato, non perché lei sia nera, ma perché non ha esperienza, perché è tanto partigiana al punto di sminuire il ruolo e la sua funzione, un fallimento colossale come diplomatica e – ultimo ma non meno importante – ha un certo curriculum che dice che lei ha mentito su e/o coperto gli affari sporchi della politica estera che hanno preceduto l’11 settembre.
A prescindere dal fatto che ha macchiato l’opera di assistenza contro le vittime dei pregiudizi, la Rice inoltre ha messo in dubbio la credenza popolare, e piuttosto utile, che la gente nera rappresenti la compassione della nazione, gente nera che come vittima di generazioni di violenza e di politica pubblica apertamente ipocrita, è finita con il dotarsi di un radar capta cavolate profondamente sviluppato.

Ebbene la Rice è la cavolata del momento cui dobbiamo guardarci, così come da altri negri che, come si dice, stanno facendo la storia – il militare Colin Powell, che ha utilizzato documenti e mappe vecchi e ridicoli quando si recò a perorare la guerra all’Iraq in tutto il mondo e all’ONU; suo figlio e tra breve capo della ex-FCC [Federal Communications Commission, Commissione Federale per le Comunicazioni], Michael Powell, la cui grande visione era quella di rendere sempre più grandi i media e al contempo renderli meno responsabili; il commentatore conservatore Armstrong Williams, che percepì il sussidio di disoccupazione dal Partito Repubblicano e il peggior tipo di imbroglio sociale.
I neri hanno tra loro truffatori e imbroglioni, ma la Rice e i suoi compagni sono truffatori di altro calibro e di un’altra classe, creature al soldo dello stesso sistema e degli stessi circoli sociali che restano tremendamente indifferenti ai neri.
Rispetto alla Rice, uomini carcerati come Al Sharpton e Jesse Jackson sono esempi di virtù, per quanto loro abbiano smaneggiato non hanno mai perso di vista la loro base.

Politicamente, la Rice non è appartenuta ad altri se non a Bush — ricordate il lapsus freudiano della scorsa estate quando durante un’intervista fece riferimento a W come “mio marito”, anzichè come “il presidente”?
Alcuni di noi rimasero convinti che comunque, metaforicamente non c’era differenza.
Tutto questo è esattamente quello che non dovrebbe essere. Il mio miglior suggerimento ai neri ed al resto del paese è di prendere un periodo sabbatico dal raduno di febbraio, pensare a dove i neri sono realmente, disintossicarsi spegnendo la televisione o rileggendo Du Bois, Baldwin, Carter G., Woodsom, Malcolm X e Dick Gregory (che per primo ridicolizzò la parola “nigger” [negro] in un’autobiografia acuta ma poco apprezzata ).
Esaminare la tanto decantata storia nera e capire che Condoleezza Rice è per tutto ciò che ha fatto una brutta ferita che ha bisogno di rimarginarsi. Probabilmente da ora al prossimo anno – in ogni modo possibile – la prospettiva del nostro movimento dovrà essere riparata al punto da raggiungere qualcos’altro, qualcos’altro da cui ricominciare.

Erin Aubry Kaplan

Fonte:http://www.alternet.org/rights/21162/
3.02.05

Traduzione per Comedonchisciotte.net a cura di Mazinga Z.

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