DI GIOVANNI DI MARTINO
Mirorenzaglia.org
L’attrice – presentatrice Sabrina Ferilli, nata a Fiano Romano, irriconoscibile nelle sue prime apparizioni televisive di vent’anni fa (quando era tifosa della Lazio), è un’icona dell’Italia di Berlusconi e Veltroni, proprio come Sofia Loren lo era nell’Italia di Longo e Fanfani. Pluripremiata per le sue interpretazioni di commessa, cassiera e avvocatessa, rappresenta in tutto e per tutto l’italiana media. Nel 2001 ha anche fatto la madrina per il terzo scudetto della Roma (della quale ora è tifosissima), e spesso è ospite televisiva in programmi nei quali si parla un po’ di tutto. E proprio un po’ di tutto lei parla, a cominciare dalla politica, nel cui humus è cresciuta, essendo stato suo padre un dirigente del PCI (come dimenticare nel 1996 l’indignazione di Sabrina, valletta di Baudo al Festival, quando ritenne inaccettabile che l’albergo di lusso che la ospitava esibisse un quadro dipinto niente meno che da Romano Mussolini, ossia dall’unico membro di quella famiglia a non essersi mai interessato un giorno solo alla politica?).Ad una trasmissione di qualche anno fa, Sabrina affermava essere il suo film preferito La grande guerra, di Monicelli, anzi “La grande guera“, come dice lei (con la dizione di Alberto Sordi, che però, artisticamente parlando, era su un altro pianeta). Sabrina raccontava che le era piaciuta in particolare la scena finale, “quando l’ufficiale delle SS” (sic) fa fucilare Gassman e Sordi. L’Italia del XXI secolo, quella delle miniserie televisive con Sabrina Ferilli, è anche e soprattutto quella che mette le SS al servizio di Francesco Giuseppe. E da questa considerazione possiamo iniziare a trattare brevemente di un saggio storico, estremamente innovativo e chiaro, con il quale il filosofo Costanzo Preve affronta il Novecento.
Il Novecento, spiega Preve, va rivisto e riletto affinchè non venga più considerato come il secolo delle aberrazioni criminali dei totalitarismi, ma come il secolo dei tentativi (in sostanza falliti) di dominio della politica sull’economia (comunismo storico, fascismo, socialdemocrazia scandinava, populismi sudamericani e movimenti di liberazione nazionali del terzo mondo). Il novecento dunque va liberato definitivamente (anche al fine di capire il secolo attuale) dalla visione che di esso danno oggi quelli che Preve chiama gli “intellettuali Maginot”, ossia quelli che cercano di combattere la attuale quarta guerra mondiale con le cartine della seconda.
Come punti di partenza cronologici del del proprio saggio Preve prende la Comune di Parigi del 1871 e la Grande Depressione di fine ottocento. Nel 1871, dopo Sedan, l’annessione dell’Alsazia e della Lorena al nascituro reich tedesco accentua irrevocabilmente la rivalità franco – tedesca, creando un precedente (quello del vincitore che infierisce) che si rimanifesterà puntuale nella guerra del 1914 – 18 e in quella del 1939 – 41, ossia nel suicidio vero e proprio dall’Europa, i cui effetti impediscono ancor oggi la formazione di quell’asse Parigi – Berlino – Mosca dal quale potrebbe derivare la salvezza per il vecchio continente.
La Grande Depressione è a torto scambiata dai protomarxisti come l’inizio della crisi del capitalismo incapace di creare nuove forze produttive, mentre si tratta invece di un momento ciclico e fisiologico di transizione da una fase all’altra del capitalismo stesso. Oltre a tale effetto essa produce altri tre elementi essenziali per capire il novecento: la decompressione economico – sociale causata dalla sovrappopolazione agricola, l’economicizzazione del conflitto di classe e infine la così detta nazionalizzazione delle masse (da cui nasce un grande ceto medio di massa ed un grande proletariato di fabbrica).
Preve rinnova integralmente (ed opportunamente ad avviso di chi scrive) il novecento, introducendo due essenziali elementi di novità rispetto alla manualistica consueta: la riperiodizzazione di due guerre già riconosciute dagli storici come tali (le prime due guerre mondiali) e la trattazione come vere e proprie guerre mondiali dei conflitti “freddi” USA – URSS (1948 – 1991) e USA – Resto del Mondo (1991 – chissàquando).
La Prima Guerra Mondiale (1914 – 1918 per la Francia, 1915 – 1918 per l’Italia, 1914 – 1917 per la Russia, 1911 – 1919 per l’Impero Ottomano ecc.) è considerata dall’autore come una grande mattanza liberale, dai cui effetti di lungo periodo (tra cui la stessa Seconda Guerra Mondiale) l’Europa non si è ancora oggi ripresa. Una mattanza non originata dallo sparo del serbo di Gavrilo Princip all’erede al trono d’Austria, ma dalla corsa navale tra Germania ed Inghilterra, dalla ferita aperta dell’Alsazia e della Lorena tra Germania e Francia e dalle mire espansionistiche di tutti verso i territori dell’Impero Ottomano. Alla spartizione di quest’ultimo intende partecipare anche l’Italia, la cui entrata in guerra avviene rocambolescamente con una inversione delle alleanze (rectius: tradimento), decisa con un colpo di stato del governo (e del re) con consultazione il parlamento a cose fatte. Fatte da parte le fittizie motivazioni irredentiste italiane, appiccicate per nascondere le mire nei Balcani e nel Mediterraneo, Preve non dà spazio alle motivazioni degli interventisti italiani di sinistra, quelli che appoggiano l’idea corridoniana di una guerra come la possibile scintilla per nuove rivoluzioni in tutta Europa (previsione irrilevante nel contesto del conflitto, ma del tutto fondata). E provocatoriamente auspica ex post l’arrivo degli austriaci a Milano e a Bologna per il solo gusto di vedere punite come meritano la casta poltica e quella militare, i cui componenti (Salandra, Sonnino, Boselli, Orlando, Cadorna e Diaz) sono oggi purtroppo tutti intestatari di una via o di una piazza.
Opportnamente Preve sottolinea (come già aveva fatto in altre pubblicazioni) come nella Prima Guerra Mondiale abbia vinto la parte peggiore, e questo è un altro fatto del quale per troppo tempo si sono pagate le conseguenze. La parte peggiore è quella che infierisce sull’avversario, smembrando due imperi multinazionali (l’austroungarico e l’ottomano), definiti “benemeriti” in quanto al loro interno vivevano in pace identità differenti, ciascuna senza rinunciare alle proprie tradizioni ed alla propria cultura. La balcanizzazione, concetto oggi tornato di moda dopo le aggressioni americane alla Serbia, iniziano nel 1919 (ossia ottan’anni prima del bombardamento di Belgrado di cui l’Italia di è resa vergognosamente complice), e non riguardano solo i Balcani, ma l’intera Europa centrale dei nuovi stati nazionali artificiali (come la Cecoslovacchia).
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Ma la Prima Guerra Mondiale è anche il conflitto in cui, oltre all’Europa, si suicida l’Inghilterra, che chiamando in soccorso gli Stati Uniti (determinanti per la vittoria contro la Germania guglielmina) inizia una lenta e indolore abdicazione alla propria egemonia imperialista – corsara.
Al termine della Seconda Guerra Mondiale, infatti, gli Stati Uniti sono padroni di mezza Europa e conquisteranno l’altra mezza al termine della Terza. Tali fasi sono accompagnate dalla riconversione (rispettivamente nel 1945 e nel 1991) del 80-90% delle classi dirigenti fasciste e comuniste al capitalismo democratico antifascista e anticomunista di marca statunitense.
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Preve riperiodizza la Seconda Guerra Mondiale dividendola in tre differenti guerre che, cronologicamente e materialmente si sono incontrate: la guerra della Germania contro gli anglo – francesi (1939 – 1940), come guerra europea tradizionale (alla cui origine ci sono sempre ragioni simili all’Alsazia ed alla Lorena); la guerra del fronte orientale (1941 – 1945) come guerra ideologica tra il fascismo ed il comunismo (che Hitler vede – al pari del capitalismo – solo come una variante del complotto ebraico di dominio mondiale); e la guerra degli Stati Uniti per mettere saldamente le tende in Europa e in Asia orientale (1942 – 1945).
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Hitler e Mussolini comprendono che l’alleanza tra USA e URSS non può durare per una serie infinita di ragioni, ma si sbagliano quando pensano che ciò accada prima della fine della guerra, con annesse residue speranze di rovesciamento dei fronti in favore dell’Asse. La Terza Guerra Mondiale (così detta “guerra fredda” per il semplice fatto che non si è combattuto più di tanto in Europa), può iniziare solo dopo la fine della Seconda. Anche perchè, spiega Preve, al termine della Seconda si ha il processo di demonizzazione degli sconfitti con processi per crimini che gli stessi vincitori in egual misura hanno commesso. Riconoscere tale circostanza (obiettivamente dimostrata, peraltro) non significa che Preve faccia il tifo retroattivo per Hitler (cosa spiegata chiaramente nel testo), ma significa che Preve ha capito il modo in cui è stata ricavata la formula che oggi consente agli Stati Uniti di far credere ai lettori dei giornaletti gratuiti distribuiti nelle stazioni della metropolitana che l’ateo e socialista Saddam Hussein aveva una bomba atomica che avrebbe utilizzato contro l’Europa in nome del fondamentalismo islamico, ed è stato un bene aver attaccato l’Iraq ed averne bombardato le città con bombe al fosforo bianco.
Tali esatti discorsi restano dominio di pochi, perché per molto meno (più precisamente per avere scritto un articolo sulla rivista Diorama letterario, il peccato originale) Preve è diventato un comunista che una sera, tornando a casa a cavallo, è caduto per via di una folgorazione (esattamente come il traditore Saulo di Tarso) nella quale gli è apparso niente meno che un concittadino di D’Alema e Buttiglione, Achille Starace, incavolato nero (scusate il gioco di parole) a causa dell’assenza del distintivo sul bavero della sua giacca. E da quel momento Preve è un fascista. Cosicchè, sui muri inermi della centralissima via Garibaldi a Torino, sono anche comparsi (e di tanto in tanto continuano a comparire) manifestini che lo segnalano – tra gli altri – come un pericoloso fascista, mobilitazioni (farsesche) per non farlo parlare, e in rete si è arrivati anche alla vergognosa mistificazione dei suoi scritti, con citazioni di estratti ritoccate a dovere (per fortuna tempestivamente scoperte e denunciate). Poi Preve resta un allievo non pentito di Marx (parole sue), del quale fornisce anche un interessante e originale inquadramento filosofico a metà tra l’idealismo e i materialismo (intendendo in senso metaforico gli utilizzi del termine “materia” negli scritti di Marx), e i suoi scritti sono chiari e reperibili, pure in rete. Ma gli autori di tali mistificazioni, questo è certo, di Preve non hanno mai letto una riga.
Cosa c’entra questo intermezzo con il libro La Quarta Guerra Mondiale? C’entra tantissimo, perchè La Quarta Guerra Mondiale è un libro che tutti dovrebbero leggere, mentre paga l’isolamento in cui Preve è confinato: l’isolamento eremitico della lotta tra fascismo ed antifascismo ad opera degli “intellettuali Maginot”, lotta alla quale lui è del tutto estraneo e disinteressato. Ma il risultato è quello della logica degli opposti estremismi: il sistema si rafforza, e quasi nessuno legge i libri di Preve.
La Terza Guerra Mondiale termina con il rovesciamento della così detta teoria della convergenza: i due sistemi rivali non si avvicinano a poco a poco, ma uno dei due, il vincitore, il capitalista, si radicalizza e vince proprio grazie alla propria radicalizzazione. Per capire la vittoria degli Stati Uniti e la loro marcia sul mondo è necessario, secondo Preve, capire il loro capitalismo, assoluto in quando tendente alla conquista assoluta dl mondo, ma nel contempo flessibile e rivoluzionario. Senza più classi sociali, e dunque pericolosissimo, perchè difficile da individuare. Preve mette in luce giustamente come negli Stati Uniti ci siano da sempre una borghesia ed un proletariato, una destra ed una sinistra, un grosso apparato sindacale, ma come tutto ciò sia stato, nel tempo (ed oggi ancora di più) irrilevante.
La Terza Guerra Mondiale termina senza sconfitti militari, in quanto gli sconfitti sono implosi. L’URSS, infatti, secondo Preve, è scomparsa per il combinarsi di tre fattori: la conversione al capitalismo dei nuovi ceti medi (burocrati corrotti compresi), l’introduzione ingente di capitali stranieri e l’apatia consolidata della classe operaia/proletaria, ormai solo più formalmente base sociale di riferimento del sistema. A tali fattori chi scrive ne aggiungerebbe un quarto, altrettanto importante: l’essere riusciti Regan e Bush padre a far credere all’incapace Gorbaciov (futuro premio Nobel per la pace, nonché “colomba bianca” della cinematografia hollywoodiana, e nel contempo formale responsabile degli eccessi russi in Afghanistan, ma sono dettagli) di avere lo scudo spaziale, in modo che l’URSS sottraesse ulteriormente soldi al sociale per implementare la ricerca militare (il tutto ad accordi di disarmo conclusi e bilateralmente non rispettati). Ma se ci si sofferma sulla prima causa dell’implosione, ossia la riconversione dei nuovi ceti medi si nota che in realtà la l’URSS crolla a causa di un lento e maestoso processo sociale e strutturale di dissolvimento progressivo. E questo, avverte genialmente Preve, è spiegabile alla luce di Marx (che esce dalla porta con la sconfitta di un sistema formalmente a lui ispirato, ma ritorna dalla finestra come il fornitore della chiave per interpretare tutto). E la Russia post sovietica si riconverte proprio al capitalismo assoluto made in USA, non al capitalismo europeo, quello con la borghesia ed il proletariato, che è un modello destinato a scomparire, se non già scomparso.
Gli Stati Uniti, attori protagonisti della Quarta Guerra mondiale in corso, sono secondo Preve un nuovo tipo di impero: messianico, geopolitico e culturale. Messianico (per quanto si tratti di un messianesimo quasi del tutto privo di secolarizzazione) in quanto sono loro a detta dell’ex presidente Clinton “l’unico paese indispensabile al mondo“. Geopolitico in quanto rinuncia ad un controllo capillare e formale dei propri feudi, ma si limita a disseminare il pianeta di basi militari in appoggio alla protezione dei propri traffici, nonché dei separatisti di turno (secondo la logica del divide et impera). Culturale perchè in grado di radicare nei propri sudditi una forma di linguaggio e di pensiero delle quali non ci si riesce tanto facilmente a liberare, come per esempio che gli USA, rispetto a Saddam, Milosevic, Chavez, Castro…, sono il male minore, quindi va bene tutto così: tutto ciò ci porta a non ritenere meno pericolosi quelli che dovrebbero essere gli alleati nel cammino da compiere. Preve indica la via eurasiatista – poliversale – federale come via di uscita, avvertendo che la Quarta Guerra Mondiale è la prima guerra culturale e geopolitica (anziché nazionalistico – ideologica) spiegabile con le categorie di Habermas della grammatica delle forme di vita e della colonizzazione della vita quotidiana del suddito consumatore. Capire questo passaggio è il primo indispensabile passo per arrivare alla vittoria.
Giovanni Di Martino
Fonte: www.mirorenzaglia.org
Link: http://www.mirorenzaglia.org/?p=2641
15.09.08
Costanzo Preve “La quarta guerra mondiale”
(Con una postfazione di Massimo Janigro, Gli USA sono un impero?)
Parma 2008, pp. 192, € 20,00