LA PRESIDENTE TIRA LE ORECCHIE DI WASHINGTON

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DI ANTONIO LUIZ M. C. COSTA
www.cartacapital.com.br

Postato e tradotto da azul

Riassumendo, la presidente Dilma ha tirato le orecchie di Washington tanto quanto era possibile senza causare una crisi diplomatica. Ancora più che il sostegno esplicito allo Stato Palestinese e alla sua ammissione nelle Nazioni Unite – “lamento non poter salutare, da questa tribuna, l’ingresso pieno della Palestina nell’ONU, è arrivato il momento di averla qui rappresentata” – è stata evidente la condanna esplicita alle guerre promosse dagli Stati Uniti in Medio Oriente.

“Il mondo soffre, oggi, le dolorose conseguenze di interventi che aggravano i conflitti, rendendo possibile l’infiltrazione del terrorismo dove esso non esisteva; inaugurando nuovi cicli di violenza; moltiplicando i numeri delle vittime civili. Molto si parla sulla responsabilità di proteggere, poco si parla sulla responsabilità nel proteggere”. Il plurale si riferisce tanto a Bush junior in Iraq, quanto a Barack Obama in Libia, egualmente irresponsabili. Per quanto riguarda la politica economica, i paesi ricchi hanno ricevuto critiche più o meno dello stesso tenore: “Questa crisi è troppo seria perché sia amministrata solo da pochi paesi…Non è per mancanza di risorse finanziarie che i leader dei paesi sviluppati ancora non hanno incontrato una soluzione per la crisi. E permettetemi di dire, per mancanza di risorse politiche e di chiarezza di idee”. Sono i Brics che mandano il G7 a fare i compiti di casa.

Il riferimento ai 18 anni di negoziati senza risultato per la riforma del Consiglio di Sicurezza è stata un’altra discreta frustata ai paesi del Nord. Ma non ne esageriamo l’importanza, come invece fanno alcune analisi superficiali che, senza avere conoscenza del contesto, interpretano ogni presa di posizione del Brasile come se questo fosse l’obbiettivo massimo, o unico, della sua politica estera.

Nell’insieme, il discorso ha riaffermato l’essenza della politica estera degli anni di Lula e Celso Amorim (NdT: ex ministro degli esteri del governo Lula), forse con una forma un poco più incisiva. Si può anche notare meno enfasi alla lotta contro la povertà (senza comunque tralasciare di menzionarla) e un discorso più esplicito in relazione ai diritti umani, ma dal punto di vista di “una presidente di un paese emergente” e come ha detto in chiusura di discorso , di “donna che ha sofferto tortura e carcere”. Ha condannato “le repressioni brutali”, ma senza avallare gli “interventi che hanno aggravato i conflitti” e “senza togliere ai cittadini la conduzione del processo”.

Il discorso di Barack Obama, che ha seguito quello di Dilma, è stato in comparazione insignificante e provinciale, diretto più all’elettorato USA e ad Israele che al mondo, senza il minor timore di esporre contraddizioni ovvie per tutto il resto del pianeta, come la condanna delle “tirannie” mentre si mantiene saldamente allineato a regimi repressivi come quelli dell’Arabia Saudita, Yemen, e Bahrein. “E’ stata sotterrata l’idea che il cambiamento verrà soltanto con la violenza”, ha dichiarato, e questo nello stesso tempo in cui conduce tre guerre simultanee.

Ha avuto, poi, il suo momento più ipocrita nel dire “celebriamo il coraggio del presidente della Colombia che volontariamente ha lasciato il governo”, dopo che Álvaro Uribe aveva corrotto dei parlamentari per rendere possibile la sua prima rielezione, avendo poi desistito dalla seconda solo quando la Corte Costituzionale del suo paese la dichiarò illegale.

Obama, senza ricordare il suo discorso di un anno fa nel quale disse di aspettare che la Palestina stesse presente come membro integrante già in questa Assemblea, ha insistito che essa deve negoziare e chiedere permesso ad Israele per raggiungere la sua indipendenza – come se gli USA avessero chiesto permesso agli inglesi.

Dilma, a sua volta, ha detto che “solo una Palestina libera e sovrana potrà rispondere alle legittime aspirazioni di Israele ad una pace con i vicini”. Un altro esempio di come questa apertura dell’Assemblea Generale nel 2011 ha esposto la crepa crescente trai i paesi emergenti in ascesa e il gruppo dei paesi sviluppati che lotta per preservare privilegi e relazioni di potere che sono già divenute anacronistiche, come se niente fosse cambiato nel mondo dopo il 1948.

Antonio Luiz M.C.Costa è redattore esteri di Carta Capital e scrive anche di scienza e fantascienza. Articolo pubblicato originalmente su Carta Capital.

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Fonte: Presidenta puxou as orelhas dos EUA

22.09.2011

Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da AZUL

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