DI RICK ROZOFF
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I ministri della difesa di tutte le 28 nazioni della NATO e un numero ignoto di colleghi dei paesi esterni all’alleanza si sono riuniti ad Istanbul, in Turchia, il 4 Febbraio scorso per due giorni di incontri durante i quali hanno parlato della guerra in Afghanistan, del ritiro delle truppe dal Kosovo, con lo scopo di trasferire il controllo delle operazioni di sicurezza all’esercito in embrione della provincia di scissione (le Forze Armate del Kosovo) e degli “sforzi di trasformazione richiesti per condurre al meglio l’intera gamma di missioni concordate dalla NATO”. [1]
Istanbul è stata il luogo preposto al summit della NATO del 2004 nel quale si è deciso circa la più importante espansione della sua sessantennale storia – sette nuove nazioni dell’est Europa – e il rafforzamento delle sue coalizioni militari con tredici paesi del Medio Oriente e dell’Africa sotto l’Iniziativa di Istanbul per la Cooperazione [ICI, Istanbul Cooperation Initiative, ndt].
Erano presenti anche il Presidente della Commissione Militare, Ammiraglio Giampaolo Di Paola, il Comandante Supremo delle Forze Alleate Europee, Ammiraglio James Stavridis e il più alto comandante delle truppe statunitensi e della NATO in Afghanistan – che presto supereranno le 150.000 unità – ovvero il Generale Stanley McChrystal, così come L’Alto Rappresentante dell’Unione Europea per la Politica Estera e di Sicurezza Comune Catherine Ashton e l’Alto Rappresentante delle Nazioni Unite per l’Afghanistan Kai Eide, insieme ai ministri della difesa e dell’interno afgani.
Gli incontri hanno avuto luogo una settimana dopo la Conferenza Internazionale sull’Afghanistan tenutasi a Londra, che a sua volta si era svolta il giorno successivo alla chiusura delle due giornate di meeting tra il Consiglio Militare della NATO con i Comandanti alla Difesa dei 28 stati membri e altri 35 da quelle che sono stati definite “Nazioni che Contribuiscono con Truppe”; presumibilmente paesi che collaborano con la NATO collocando le proprie truppe nel teatro di guerra afghano. In tutto, i comandanti militari di 63 paesi.
Lo statunitense McChrystal era presente, come anche il Comandante in Capo delle Forze Armate Israeliane, il Tenente Generale Gabi Ashkenazi e il Capo delle Forze Armate Pachistane, il Generale Ashfaq Parvez Kayani. Il sito web dell’alleanza aveva anticipato che “i vari incontri si concentreranno sui progressi fatti nelle operazioni in corso e sul ‘Nuovo concetto strategico’ della NATO”. [2] Il fatto che 35 tra le più alte cariche militari di paesi esterni alla NATO fossero presenti alle discussioni sui piani per l’escalation di quella che è già la più imponente guerra nel mondo è comprensibile, dal momento che le loro forze sono coinvolte nelle operazioni come parte di una coalizione militare di oltre 50 nazioni sotto il comando della NATO.
Il fatto che alla stessa conferenza si sia discusso della nuova dottrina militare globale per il XXI secolo – l’ex segretario di stato statunitense Madeleine Albright ha tenuto un discorso su questo argomento – solleva la questione di quanti dei 35 capi militari dei paesi esterni alla NATO possano aver partecipato proprio per essere coinvolti in quella fase della discussione. Il fatto che un’alta percentuale dei più alti vertici militari del mondo abbiano preso parte ad un evento di due giorni durante il quale si deliberava sia sulla guerra nel Sud Asiatico che sull’espansione delle attività militari oltre l’area Europeo-Atlantica (quando sono state già condotte operazioni in quattro continenti) conferma che la guerra afghana serve a più di uno scopo per l’occidente. È il laboratorio per rafforzare i legami militari con le nazioni di tutti i continenti abitati, e per costruire il nucleo, le basi per un potenziale esercito mondiale.
La conferenza di Londra sull’Afghanistan, presentata all’occidente come l’analogo benigno di un evento pensato per lo sviluppo economico, o per pianificare aiuti umanitari – il sito web lo descrive come “la comunità internazionale si incontra per raccogliere le risorse militari e civili per le strategie militari in Afghanistan” [3] – è stata preceduta da due giorni di incontri tra i massimi comandanti militari di circa un terzo delle nazioni mondiali presso la sede centrale della NATO, e seguita questa settimana da due giornate di incontri tra la NATO e i capi della difesa alleati. Per la maggior parte si trattava delle stesse persone – il capo alle politiche estere dell’Unione Europea, la Baronessa Ashton, e Eide, delle Nazioni Unite (che in precedenza aveva ricoperto incarichi analoghi in Bosnia e Kosovo, ed è stato ambasciatore della Norvegia dal 2002 al 2006) – hanno presenziato sia alla conferenza di Londra che alla riunione dei ministri della difesa della NATO tenutasi ad Istanbul.
(Il predecessore della Ashton, Javier Solana, è stato Segretario Generale della NATO dal 1995 al 1999, prima di diventare Alto Rappresentante dell’Unione Europea per la Politica Estera e di Sicurezza Comune – titolo lievemente modificato dal Trattato di Lisbona – dal 1999 al dicembre 2009, ottenendo la transizione senza soluzione di continuità.)
In segno di reciprocità, la conferenza di Londra è stata presieduta dal Segretario Generale della NATO Anders Fogh Rasmussen, il quale ha detto, tra le altre cose, che “con più di 85.000 truppe provenienti da 44 nazioni schierate in Afghanistan, e con oltre 39.000 ulteriori unità in arrivo nelle settimane e nei mesi a venire, l’International Security Assistance Force [Forze di Assistenza e Sicurezza Internazionali, ndt] della NATO rimane la priorità principale”. [4]
Se fossero servite ulteriori prove al fatto che le Nazioni Unite siano al servizio della NATO e non viceversa, che l’Unione Europea sia il valletto civile della NATO, e che tutti e tre siano subordinati agli Stati Uniti, gli incontri dell’ultima settimana e l’elenco delle personalità presenti dovrebbe essere sufficienti.
La catena di comando inizia a Washington, e gli ordini che vengono strillati da lì arrivano fino a Bruxelles e New York City.
Le due organizzazioni con base nella capitale del Belgio, l'”alleanza militare di stati democratici di Europa e Nord America” (così si auto-definisce la NATO), e “il superstato militare europeo” (questa l’opposizione dei partiti irlandesi ai possibili effetti dei trattati di Nizza e Lisbona), sono affetti da ecolalia politica, ripetono in modo pappagallesco le posizioni statunitensi sui conflitti armati che potenzialmente possono allargarsi al resto del mondo – Afghanistan, Iraq, Georgia-Russia, Georgia-Abcasia, Georgia-Sud Ossezia, Russia-Ucraina, Kosovo, Bosnia, Somalia, Yemen, Colombia, Birmania, Sudan, Ciad, la Repubblica dell’Africa Centrale, Nord Corea, Zimbabwe, Israele-Libano, Libano-Siria, Israele-Palestina, Macedonia, Costa d’Avorio, Gibuti-Eritrea, Transnistria, e tutte quelle che ancora devono venire – con una lealtà davvero impressionante, in quest’epoca altrimenti così ricca di contrasti.
Condanne, invettive e minacce diffuse dal segretario di stato degli Stati Uniti e dall’ambasciatore alle Nazioni Unite potrebbero essere presentate in triplice copia.
I membri permanenti del Consiglio di Sicurezza russi e cinesi possono sporadicamente – molto sporadicamente – bloccare le azioni ostili occidentali contro terze parti indifese delle Nazioni Unite, ma Washington vince sempre a mani basse con il suo mandato, e con l’ultima parola nella selezione degli incarichi con cui integrare le forze armate, statunitensi e della NATO, da inviare nelle nazioni assoggettate.
Per fare un esempio recente, durante il secondo giorno degli incontri della commissione militare della NATO a Bruxelles, e il giorno prima della conferenza sull’Afghanistan a Londra, si è tenuta, sempre a Londra, anche una conferenza “internazionale” sullo Yemen, che “il Primo Ministro britannico Gordon Brown ha richiesto… in risposta al fallito attacco su un aereo di linea per Detroit avvenuto il 25 Dicembre”. [5]
Vale la pena di ripeterlo. Il timore degli Stati Uniti di una presunta nazione nigeriana addestrata in Yemen ha portato i capi di stato del Regno Unito a convocare rappresentanti del G8 (Gran Bretagna, Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Russia and Stati Uniti), il Consiglio di Cooperazione del Golfo (Bahrain, Kuwait, Oman, Qatar, L’Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti), l’Egitto, la Giordania – ma non la Lega Araba – la Turchia e l’Unione Europea, le Nazioni Unite, la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale “per sostenere la lotta dello Yemen contro Al-Qaida…”. [6] Presto 50.000 truppe NATO non-americane verranno fatte impantanare in Afghanistan perché la coalizione ha invocato l’articolo 5 del provvedimento collettivo per la difesa del 2001… per lottare contro Al-Qaida.
Il sempre servile Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, ha conferito legittimità a questa farsa americana e britannica, come ha fatto alla conferenza afghana del giorno successivo, durante la quale ha pronunciato un discorso, in presenza di 28 ministri degli esteri membri della NATO e dozzine di altri non membri, ma dell’International Security Assistance Force.
Lo Yemen ha affiancato l’ex Jugoslavia, l’Afghanistan e l’Iraq come target per le opere di “assistenza e stabilizzazione” occidentali. La NATO condurrà altre sessioni di pianificazione a cui parteciperanno molti vertici militari, ministri della difesa e degli esteri, e non solo per la guerra in Afghanistan.
Il suo nuovo “concetto strategico” non conosce confini geografici.
Rick Rozoff
Fonte: www.globalresearch.ca
Link: http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=17428
05.01.2010
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ELISA NICHELLI
[1] NATO, 3 Febbraio 2010 http://www.nato.int/cps/en/SID-07E5106A-22C87D27/natolive/news_61170.htm
[2] NATO, 25 Gennaio 2010 http://www.nato.int/ims/news/2010/n100126e.html
[3] Afghanistan: La Conferenza di Londra http://afghanistan.hmg.gov.uk/en/conference
[4] http://www.nato.int/cps/en/natolive/opinions_61101.htm
[5] Deutsche Presse-Agentur, 28 Gennaio 2010
[6] Reuters, 27 Gennaio 2010