DI JOHN FEFFER
Due piaghe uguali – ISIS e Ebola – germogliano sempre tra le crepe di un sistema che sta crollando.
Ci sono, naturalmente, molte differenze tra una pestilenza come l’Ebola e un movimento come l’ IS. Ma entrambi sono il risultato della lacerazione di un sistema. Sono come il pus di una infezione.
Nel suo romanzo- La peste – Albert Camus descrisse come arrivò la morte in uno squallido porto francese in Algeria.
In Africa occidentale, la peste si chiama Ebola, è una febbre terribile che finisce con una emorragia incontrollabile. Il tasso di mortalità, se la malattia non fosse curata, sarebbe come quello della peste bubbonica. Ma grazie alla versione moderna della Morte Nera, le cure fanno scendere il tasso di mortalità fino al 15 %. Ma Ebola resiste alle cure, non ci sono vaccini per questa febbre emorragica, anche se ci sono notizie promettenti dal Canada, ma i pochi trattamenti medici che hanno avuto un esito positivo restano ancora ad un livello altamente sperimentale. Medici e funzionari decidono le quarantene e sperano che la malattia si estingua la sola. Con le compagnie aeree che hanno sospeso i servizi per le regioni infette, aumentano gli ostacoli per far pervenire medicine e forniture mediche, così la malattia continua imperversare.
Finora Ebola ha provocato circa 1500 morti, una cosa terribile naturalmente, ma queste cifre impallidiscono se confrontate con quanti sono i bambini che muoiono, in Africa, a causa della diarrea. Secondo un rapporto del 2010, 2,000 bambini africani muoiono ogni giorno per una malattia che potrebbe essere prevenuta con delle cure per le quali basterebbero quattro soldi : acqua potabile e igiene. Ma la diarrea non è una malattia trasmissibile per contagio come si può trasmettere la peste o l’Ebola. Negli Stati Uniti non ci sarebbe nessuno a preoccuparsi se un vertice di leader africani dichiarasse di voler rimpatriare tutti i pazienti affetti dalla diarrea, nessuno si preoccuperebbe di una eventuale epidemia di diarrea negli States. Ebola oggi monopolizza i titoli dei giornali, perché quello che cattura l’attenzione è la paura (insieme con le solite immagini coloniali di africani sporchi e irresponsabili).
Il panico è, ovviamente, più acuto nelle zone più colpite dal virus Ebola. Consideriamo il caso di Kandeh Kamara, un coraggioso ragazzo di 21 anni, che si offrì volontario per aiutare a combattere la malattia in Sierra Leone. hanno subito detto di lui che era diventato una specie di “monatto” uno che toccava i cadaveri infetti e che dava loro sepoltura. “Per fare il lavoro che fanno i “burial boys – i monatti” sono stati espulsi dalle loro comunità per paura che si portino a casa il VIRUS”, scrivono Adam Nossiter e Ben Solomon in un pezzo terrificante su The New York Times, dove parlano di compiti ingrati. Kandeh Kamara all’inizio lavorava gratis, tanto che presto ha dovuto cominciare a chiedere l’elemosina per strada per poter mangiare qualcosa. adesso gli danno sei dollari al giorno e con questi spera di riuscire ad affittare un appartamentino, anche se chi affitta spesso si rifiuta di trattare con i monatti.
Ebola è una cattiva notizia, ma non ha generato lo stesso tipo di rabbia che ha generato quell’altra piaga che contemporaneamente è in rapidissima espansione, lo Stato islamico (IS). La recente decapitazione del giornalista americano James Foley ha fatto rabbrividire gli osservatori americani per l’oltraggio subito.
Non è certamente la prima decapitazione fatta dall’IS, una banda specializzata nell’ infliggere barbare punizioni –decapitazioni – crocifissioni – amputazioni…. Ma proprio come è successo con l’ Ebola, l’IS è diventato un problema reale per gli americani solo quando ha infettato anche persone “come noi” – i due missionari americani in Liberia – solo allora gli Stati Uniti sono stati pronti a reagire: quando sì è cominciato ad ammazzare i non-musulmani, prima gli Yazidi sequestrati e poi il giornalista rapito.
L’ IS si è diffuso rapidamente, come il panico generale che ha accompagnato la sua corsa alla conquista del territorio. C’è stato chi ha visto come inevitabili le analogie con il Nazismo , ma anche chi non si è spinto fino a fare riferimenti diretti a Hitler, ha usato un linguaggio, a dir poco, manicheo per descrivere la sfida dell’IS.
“Abbiamo potuto vedere il male negli occhi che si intravedevano tra le fessure del passamontagna dell’ assassino di Foley,” scrive David Ignatius in un commento sul Washington Post intitolato La Nuova Guerra contro il Male. “Ma fermare questo male sarà un compito davvero difficile.”
Gli assassini dell’IS sono quelli con le mani e la faccia sporca, come la loro ideologia maligna, ma comunque ho esitato molto prima di usare parole come bene e male. Questo tipo di terminologia moralista presume che loro, i tagliatori di teste siano una forza satanica che può essere esorcizzata solo da una qualsiasi sorta di acqua santa dispensata dalle nostre forze angeliche – quelle che si muovono con gli attacchi aerei, con gli stivali dei soldati, con le armi e i consulenti militari dati ai nemici-peshmerga curdi, con tutti gli sforzi fatti per dissuadere tanti giovani arrabbiati dal prendere il primo volo con destinazione Mosul.
Noi, dall’altra parte, siamo i buoni. Non saremmo mai capaci di decapitare nessuno. Quelli che ammazziamo noi “si meritano” la nostra punizione (solo per sbaglio ci può andare di mezzo qualche innocente , solo se inavvertitamente si trova dove non doveva essere). E le vittime civili delle nostre offensive militari – perché NOI siamo per definizione buoni – sono semplicemente degli errori. Dopo tutto, noi non andiamo a vantarci in pubblico per l’uccisione dei civili afghani provocati dagli attacchi dei nostri droni (45 attacchi nel 2013 ) o per la morte di oltre 400 bambini a Gaza.
Ma le nostre dichiarazioni di innocenzsa sono una magra consolazione per le famiglie delle vittime.
A che punto gli errori diventano tanti da diventare veramente espressione del male? Per lo meno, questi errori ci basteranno per impedirci di continuare ad indossare il mantello (bianco) del bene? Ma, naturalmente, il problema vero non sono solo gli errori ma le scelte di politica che, per esempio, mettono Washington alla stessa stregua dei dittatori e degli altri politici-assassini che agiscono in politica. Il disgusto degli USA per l’ IS potrebbe essere già stato superato se avessero preso le opportune azioni di intelligence condiviso con il regime di Damasco, ma l’amministrazione Obama ha sempre rifiutato qualsiasi negoziato.
Camus fece una accurata scelta delle parole per definire chi si rifiuta di chiamare il male con il suo nome. “I nostri concittadini erano come tutti gli altri, rinchiusi in se stessi; in altre parole erano umanisti: non volevano credere che quella fosse la peste per davvero” – ha scritto su La Peste- “Una pestilenza non è cosa fatta a misura d’uomo, per questo continuiamo a ripeterci che la peste sia un semplice spauracchio che vive nella nostra mente, un brutto sogno che dovrà passare presto. Ma il sogno si ripete e si passa da un brutto sogno ad un altro brutto sogno e intanto sono gli uomini che passano e gli umanisti sono i primi ad andarsene, perché non hanno voluto capire che avrebbero dovuto prendere qualche precauzione. “
Gli umanisti forse non credono nella peste. “in genere non ho mai creduto nel male,” confessa Richard Cohen questa settimana su una colonna del Washington Post, dove dichiara che con l’ IS è “ritornato il male”. Questa volta un umanista liberale, Cohen, dopo tanto tempo è ritornato ad essere un falco liberale.
Io ancora mi considero un umanista. Ma il mio tipo di umanesimo vede pestilenza ovunque. Anzi, tendo a vedere la peste non solo negli atti della persone, ma anche nelle strutture entro cui la peste si radica e si diffonde. Ed è qui che le due piaghe – Ebola e IS – si intersecano ed è qui, in un sistema immunitario è debole, che prosperano meglio.
Se vogliamo parlare di infrastrutture mediche, l’Africa ha sicuramente un sistema immunitario compromesso. Il continente è stato duramente colpito dal HIV-AIDS (il 70 % di malati di AIDS vivono in Africa), dal colera (grandi epidemie si sono sviluppate di recente in Senegal, in Zimbabwe, e in Sierra Leone), e dalla malaria (un bambino africano MUORE OGNI MINUTO per questa malattia). Ebola si è diffusa rapidamente per la carenza di personale e di strutture medico-sanitarie.
Ma la ragione più profonda della diffusione dell’epidemia è quella ambientale: il disboscamento delle foreste che, da sempre, sono servite come barriera tradizionale agli agenti patogeni. L’Africa occidentale ha uno dei tassi di deforestazione più veloci nel mondo e perde quasi un milione di ettari l’anno. Le foreste sono le difese naturali dell’Africa, e Ebola è un segno che queste difese sono state fatalmente indebolite. Tutto quello che una volta restava circoscritto dentro villaggi remoti ora si diffonde rapidamente fin dentro le aree urbane.
Parallelamente le recenti conquiste dell’IS in Siria e in Iraq, non stanno a dimostrare un guasto nel sistema ambientale (come in Africa) ma in quello della politica. L’IS non è semplicemente una banda di serial killer : è gente che ha una ideologia definita ed una infinità di motivazioni politiche. Non fa nessuna differenza per loro muoversi in un ambiente formalmente dittatoriale o democratico. L’IS prospera sia dove Assad governa con pugno di ferro sia dove Saddam se n’è andato da tanto tempo.
Il denominatore comune è il caos. L’ IS si è spietatamente espansa nelle zone grigie dove non arriva lo Stato di diritto. In Siria, ha prosperato in regioni che già erano al di fuori dal controllo governativo, dopo che si era già scatenata la rivolta, in Iraq, ha approfittato di un conflitto che ha paralizzato sciiti e sunniti ed ha lasciato il nord del paese isolato e collegato solo con un filo al governo centrale.
I governi locali, che siano democratici o autoritari, svolgono la stessa funzione che svolgono le foreste dell’Africa occidentale. Non ha nessuna importanza quale sia il tipo di governo del paese, è una colla che serve solo a tenere insieme la società, quando il governo si deteriora, la struttura delle sue cellule si rompe. Con Ebola franano le pareti delle cellule del corpo del paziente che comincia a sanguinare. Con un virus come l’IS, sono le fibre del tessuto sociale a franare e sono i grandi segmenti, le strutture del paese che cominciano a sanguinare.
Ovviamente ci sono molte differenze tra una pestilenza come l’Ebola e un movimento come l’IS, ma entrambi sono il risultato di qualcosa nato perché il sistema non funziona più. Sono delle infezioni opportunistiche.
In entrambi i casi non esiste nessuna pillola magica.
Anche se si riuscià a trovare un antidoto a questa ondata di Ebola, fino a quando continueremo a tagliare le foreste dell’Africa, continueranno ad arrivare altre ondate sempre più potenti e di questo o di un’altra malattia che continuerà a diffondersi. E se cercheremo di cancellare l’ IS solo con le bombe dei droni o con gli stivali dei nostri soldati, questa piaga sociale uscirà fuori semplicemente da un’altra parte, dove le condizioni saranno più favorevoli perchè i loro sforzi disperati di creare un ordine totalitario attecchiscano meglio. Dovremmo concentrarci invece sulle condizioni e sui motivi che danno origine a questi fenomeni e cercare quale sia il vero ruolo che dovremo prendere per contribuire a rendere solide le condizioni (sociali e ambientali).
Camus consigliava di vigilare. “La peste – concluse – passa il tempo nascosta in camera da letto, nelle cantine, chiusa nei bauli o nelle librerie e … prima o poi potrebbe arrivare il giorno in cui, per la noia o per l’illuminazione di qualcuno, risveglierà i suoi ratti e li manderà a morire in una città felice“. Le pesti di oggi sono sicuramente un veleno. Se ci serviranno per aiutarci anche a illuminarci resta tutto da vedere.
John Feffer è direttore di Foreign Policy su Focus
Fonte: http://fpif.org
Link : http://fpif.org/plague/
20.09.2014
Il testo di questo articolo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali, citando la fonte comedonchisciotte.org e l’autore della traduzione Bosque Primario