Come il capo del Cremlino giocherà la sua “amicizia” con Roma (e Berlino e Parigi), è quel che rende più interessante la partita. Meglio averlo “amico”, in ogni caso.
DI MAURIZIO BLONDET
Inevitabilmente, le tese ore elettorali in Usa eclisseranno alquanto l’incontro fra Berlusconi e Putin. Peccato. Mosca sta giocando una partita da non sottovalutare. Specie da quando il rincaro del petrolio mette nelle tasche di Putin più mezzi per le sue ambizioni. Il realismo di scuola Kgb vieta di dare a tali ambizioni l’ampiezza sovietica passata, di sfidante globale degli Usa. Putin si sforza, come da tradizione russa, di consolidare l’autocrazia di Mosca; e di difendere e rafforzare le posizioni russe pericolanti fra il Caucaso e il Caspio, l’ex cortile di casa. E qui, il confronto si ripropone in forme più ambigue e sottili. Basta guardare una mappa. La Cecenia della secessione irriducibile confina con la Georgia: e lì, come in Azerbaigian, sono presenti in forze militari Usa. Stanno preparando le truppe locali ad entrare in gran fretta nella Nato, ma certo nella loro presenza c’entra qualcosa l’oleodotto, costruito dai consorzi americani, destinato a portare il greggio del Caspio da Baku al porto turco di Ceyhan, passando per la capitale georgiana Tbilisi. La Georgia ha due province secessioniste, Abkhazia e Sud Ossezia, la cui inquietudine è ispirata da Mosca; quest’ultima teme che la presenza militare Usa aiuti la Georgia a recuperarle.È istruttivo che dopo l’eccidio terrorista alla scuola di Beslan nell’Ossezia del Nord (saldamente filorussa), Putin abbia accusato i ceceni di essere “strumenti” di una potenza che vuole “dividere per imperare”, che non è difficile riconoscere. I sospetti del vecchio agente del Kgb non sono stati certo placati dal rapporto “Global Trend 2015” che la Cia ha pubblicato in aprile, dove si prevede che anche la Siberia ricca di materia prime potrebbe far secessione; né dal pubblico appello lanciato all’Ucraina dal viceministro Paul Wolfowitz, durante la visita a Varsavia il 5 ottobre, di aderire al più presto alla Nato. A torto o no, Putin interpreta tutto ciò come mosse dell’unica superpotenza rimasta per espellerlo dall’area (fittamente intersecata di oleodotti) del Caspio e del Caucaso, magari mirando alle sue riserve petrolifere che – essendo il produttore iracheno per il momento fuori gioco – sono le più “facili” del mondo dopo quelle saudite. Per contrasto, Putin non ha molte carte. Ma le gioca con abilità.
Partecipa con entusiasmo alla “guerra al terrore” e ha fatto dichiarazioni pro-Bush. Ma intanto, ha annunciato che sta dando una mano all’Iran per fabbricarsi la sua prima atomica. In più, non potendosi ormai pagare il gigantesco arsenale dell’Urss, ha concentrato l’eccellenza militare in armi “di nicchia”, ma strategiche. Esempio: l’imprendibile Sunburn, missile anti-nave che vola al doppio della velocità del suono a pelo d’acqua per 200 chilometri, è concepito contro le portaerei, mezzo dell’egemonia Usa nel Pacifico: e Putin ne ha ceduto 200 esemplari alla Cina. E da un anno la banca centrale russa si alleggerisce di dollari, che sostituisce nelle sue riserve con gli euro. Non un conflitto, ma una partita a scacchi: in cui i russi eccellono. Come Putin giocherà la sua “amicizia” con Roma (e Berlino e Parigi), è quel che rende più interessante la partita. Meglio averlo “amico”, in ogni caso.
Maurizio Blondet
Fonte:www.avvenire.it
3.11.04