DI ALAN HART
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Una versione più lunga ed articolata della domanda del titolo potrebbe essere qualcosa del genere: Dato che nel 46° anno di occupazione israeliana della West Bank, i coloni ebrei continuano a consolidare il loro controllo sui terreni e le risorse idriche, rubandone sempre di più, si dimostra non solo il disprezzo sionista del diritto internazionale, ma anche che l’ unica pace a cui sono interessati i leader israeliani è quella in cui viene richiesta la resa totale palestinese alle volontà sioniste, esiste allora una reale prospettiva, in un qualsiasi futuro, di giustizia per il popolo palestinese?
Probabilmente, nel nome del pragmatismo di Arafat, una maggioranza di palestinesi oppressi potrebbe ancora considerare la creazione di un loro stato in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, con Gerusalemme Est capitale, come una sorta di giustizia minima accettabile.
Ovviamente sono consapevoli che in questo scenario il diritto al ritorno per tutti coloro che sono stati espropriati delle loro terre e diritti, prima nel 1948 ed ancora nel 1967, sarebbe limitato solo ai territori palestinesi interni al mini-stato, e questo significherebbe, per mancanza di spazio, che solo un numero relativamente piccolo di espropriati palestinesi, e i loro discendenti, saranno in grado di ritornare. (Arafat e i suoi colleghi calcolarono che inizialmente non più di 100000 sarebbero stati in grado di ritornare). I restanti avrebbero dovuto accontentarsi di un compenso economico.
A parte questo i palestinesi nutrirebbero la speranza di un mini stato, come fece Arafat quando convinse le istituzioni palestinesi a prendere la decisione di accettare la necessità di un impensabile compromesso con Israele (pace in cambio di solo il 22% della loro terra, legittimando così l’ occupazione israeliana dell’ altro 78%), la soluzione dei due stati potrebbe portare nell’ arco di una o due generazioni ad un singolo stato di comune accordo. In quel caso ci sarebbero più possibilità per un maggior numero di palestinesi della diaspora di esercitare il loro diritto al ritorno.
Ma non succederà. Sebbene ancora non sepolta, la soluzione dei due stati è morta da tempo, uccisa dalla colonizzazione israeliana con la complicità delle maggiori potenze e, a tavolino, dai regimi di un impotente Ordine Arabo. Come ho documentato nei dettagli nel mio libro Zionism: The Real Enemy of the Jews, i regimi arabi non hanno avuto nessuna intenzione di combattere Israele per liberare la Palestina o di usare le loro leve per fare pressione sugli Stati Uniti per far imporre ad Israele la fine all’ occupazione delle terre strappate nel 1967.
Come ho detto anche nel mio libro, la dichiarazione più esplicita riguardo il perché la soluzione dei due stati sia da tempo morta mi fu fatta da Shimon Peres nei primi anni ’80. Allora era il leader del Partito Laburista all’ opposizione, sperava di vincere le prossime elezioni israeliane e così negare al primo ministro Begin il secondo mandato. Io ero conduttore di un dialogo segreto e esplorativo fra Peres e Arafat. Ad un certo punto, durante una delle nostre prime conversazioni per questa iniziativa, Peres disse che aveva paura che “fosse ormai troppo tardi”. Gli chiesi perché e lui rispose:
“Ogni giorno che passa vediamo nuove costruzioni nei nuovi insediamenti. Begin sa esattamente quello che fa. Ha creato le condizioni per una guerra civile ebraica. Lui sa che nessun primo ministro d’ Israele passerà alla storia per aver dato l’ ordine all’ esercito israeliano di sparare contro ebrei (per mettere fine all’ occupazione)…” “Io no.”
Domanda scontata. Se nel 1980 era troppo tardi, quando i coloni illegali erano 70000 nella West Bank occupata compresa Gerusalemme Est, quanto può essere tardi ora che i coloni sono oltre i 500000 e continuano ad aumentare giornalmente, in gran parte grazie agli aiuti finanziari americani di fondamentalisti cristiani?
È interessante notare come il Dipartimento di Stato statunitense definisca ora come “terrorismo” le violenze dei coloni israeliani contro i palestinesi.
È chiaro ormai che qualsiasi leader sionista offrirà la pace ai Palestinesi al massimo lo farà in cambio del 35-40% della West Bank (il piano Sharon) formando 2, 3 o 4 Bantustan che i Palestinesi potranno chiamare stato se vorranno. Questo è e sarà sempre inaccettabile per tutti i Palestinesi.
Dato come stanno le cose ora, e come sembrano andare, io credo che il corso sia impostato verso una pulizia etnica dei sionisti nei confronti dei palestinesi.
Voglio dire che mentre i leader d’ Israele concludono che la loro politica di rendere la vita dei palestinesi dei Territori Occupati un inferno sperando di fargli abbandonare la lotta e lasciare la loro terre è fallita, e non potendo spingere i leader fantoccio palestinesi a far accettare le briciole del sionismo, troveranno il pretesto per portare i palestinesi fuori dalla West Bank, in Giordania o altrove. Un possibile pretesto potrebbe scaturire da operazioni di false flag – agenti del Mossad che si fingono terroristi palestinesi e mettono bombe che uccidono ebrei israeliani.
Ed i palestinesi nell’ isolata Striscia di Gaza? Secondo l’ ultimo rapporto delle Nazioni Unite non sarà un “luogo vivibile” fino al 2020 a meno che non si intervenga pel migliorare i servizi basilari sul territorio. La mia idea è che il piano sionista sia quello di far annegare i palestinesi della Striscia di Gaza sempre più nella povertà, nella miseria e nella disperazione; la speranza sionista è che tutto questo causi la fuga di un gran numero di persone in cerca di una nuova vita altrove. Se questo non accade, i leader Israeliani avranno l’ opzione di creare un pretesto per una pulizia etnica nella Striscia di Gaza con mezzi militari.
Dopo mesi di riflessione la mia conclusione è questa: lo stato sionista di Israele è un mostro fuori controllo, e la Palestina è una causa persa, A MENO CHE… Lo scopo principale di questo articolo è quello di aggiungere particolari allo scenario del “A MENO CHE”.
Gli stessi palestinesi hanno due alternative.
La prima è richiedere ed insistere per la dissoluzione della screditata ed impotente PA (Autorità Palestinese) così da rendere Israele completamente responsabile dell’ occupazione.
Senza le forze di sicurezza dell’ Autorità Palestinese, addestrate dagli americani, a tenere i palestinesi dei Territori Occupati (sopratutto i sostenitori di Hamas) sotto controllo per Israele, lasciare la totale responsabilità dell’ occupazione a Israele avrebbe maggiori costi finanziari e in risorse umane (più coscrizioni) per il mantenimento della sicurezza.
Più precisamente, se lo stato sionista (non ebraico) avesse la piena responsabilità dell’ occupazione, richiamandolo e rendendolo responsabile del suo disprezzo per il diritto internazionale e delle sue politiche di occupazione, non sarebbe, in teoria, quello che è ora – una missione impossibile.
Ma se dalla teoria si passasse alla pratica, qualcosa di molto significativo potrebbe succedere.
Solo i governi possono richiamare e considerare il Sionismo responsabile per i suoi crimini, ma non agiranno a meno che non siano costretti da un’ opinione pubblica informata. Il problema, non mi stancherò mai di ribadirlo, è che l’ opinione pubblica, specialmente negli Stati Uniti, è troppo disinformata – troppo condizionata dalla propaganda sionista – per fare abbastanza pressione. Ecco quindi LA domanda: Con i media che non sono disposti a fare i conti con la storia quando si tratta di sostenere il conflitto per la Palestina (che è diventata Israele), come possono i cittadini delle nazioni essere informati e riuscire ad essere abbastanza numerosi per fare pressione?
Ci sono centinaia di gruppi, di qualsiasi fede, in tutto il mondo che chiedono o fanno una campagna per la giustizia per i palestinesi, ma (di solito) fanno tutti le loro piccole cose da soli, il che li rende come piccole mosche scacciate via dalla mano sionista. Alla luce di questo, credo che informare per mobilitare l’ opinione pubblica al fine di fare pressione sui governi possa essere fatto solo se tutti i vari gruppi che richiedono e lottano per la giustizia in Palestina collaborino e riescano a formare una unica lobby (come quella sionista). Internet rende possibile la collaborazione e il coordinamento necessario.
La strategia di una lobby universale per i diritti dei palestinesi dovrebbe essere ferma nel chiedere e rispondere ad una domanda: Perché il sionismo è riuscito sino ad oggi?
La risposta breve è il suo successo nel vendere come verità bugie di propaganda riguardo la nascita e la gestione del conflitto; un incredibile successo, sostenuto dalla carta ricattatrice dell’ oscenità dell’ olocausto nazista.
Ne consegue, o così mi pare, che la principale priorità per una campagna coordinata di pressione universale per la giustizia in Palestina potrebbe essere di presentare in vari forum o piattaforme di qualsiasi tipo la prova documentata delle assurdità della propaganda sionista.
Quattro delle principali verità da comunicare sono:
– tutti, o quasi, gli ebrei che andarono in Palestina in risposta alla chiamata sionista non hanno alcun legame biologico con gli antichi ebrei, e quindi nessun diritto sulla terra;
– Israele è stato creato principalmente dal terrorismo sionista e dalla pulizia etnica;
– l’ esistenza di Israele non è mai stata minacciata da nessuna combinazione di forze arabe – Israele non ha mai vissuto in costante pericolo di essere distrutto, la “cacciata in mare” degli ebrei;
– fu Israele e non gli arabi a chiudere la porta ad una prospettiva di pace duratura.
Presumo (sono colpevole di un’ illusione?) che se i cittadini delle nazioni, sopratutto quelle occidentali e gli americani in particolare, fossero a conoscenza della vera storia della nascita e del proseguo del conflitto, insisterebbero per far sì che i loro governi chiedano spiegazioni al mostro sionista – non solo per il bene della giustizia in Palestina, ma per meglio proteggere gli interessi di tutti, compresi gli ebrei nel mondo. (In una nota di seguito si fa riferimento ad un report riguardante il pensiero dell’ intelligence americana su come dovrebbero essere protetti gli interessi nazionali statunitensi.)
Ora, come seconda iniziativa, i Palestinesi potrebbero, e secondo me dovrebbero, fare la loro parte per evitare che la Palestina diventi una causa persa.
Ovviamente l’ Autorità Palestinese si dissolverà solo se abbastanza palestinesi lo richiederanno. Ma a mio avviso non dovrebbero richiederlo solo i palestinesi oppressi, è il tempo che tutti i palestinesi, ovunque si trovino, si impegnino nella lotta pacifica e democratica per porre fine al sionismo sulla loro terra. In altre parole, se il progetto di colonizzazione sionista deve essere contenuto e sconfitto, l’ incredibile e sovrumana determinazione dei palestinesi oppressi deve essere integrata da una pratica ed effettiva azione da parte dei palestinesi della diaspora. Per quale scopo?
Non solo per dissolvere l’ Autorità Palestinese, ma per rimpiazzarla al più presto da una Consiglio Nazionale Palestinese (PNC) ristrutturato e rinvigorito. Una volta, quello che ora è un parlamento marginale in esilio, rappresentava i palestinesi ovunque nel mondo ed era l’ organo supremo che prendeva le decisioni dalla parte dei Palestinesi. Addirittura Arafat doveva rendergli conto. (E lo fece, di fatto, ci mese 6 anni per convincere la maggioranza dei delegati del PNC ad approvare la sua politica di compromessi con Israele). Accadde verso la fine del 1979. Il PNC votò a favore delle politiche di Arafat – la soluzione dei due stati – per 296 favorevoli e solo 4 contrari. Da allora per i palestinesi si prospettò la pace a condizioni che qualsiasi governo e persona razionale in Israele avrebbe accettato con sollievo. Ma il problema di Arafat era che in Israele non aveva nessun partner per la pace. Forse il primo ministro Rabin, ma venne assassinato da un fanatico sionista. L’ assassino sapeva bene quello che faceva – uccideva il processo di pace di Oslo, iniziato da Arafat e a cui un riluttante Rabin, spinto da Peres, aveva risposto positivamente. Per gli attivisti pro-Palestina in questi giorni va di moda cestinare gli accordi di Oslo, ma io continuo a credere che le questioni sollevate da Arafat fossero corrette. Quando fu ovvio che tutto era destinato a fallire per il completo rifiuto di Israele dopo la morte di Rabin, chiesi ad Arafat se pensasse che la storia avrebbe l’ avrebbe considerato come l’ errore della vita quel credere che ci si potesse fidare della parola dei leader israeliani e sperare che onorassero gli accordi. Mi rispose che se gli Stati Uniti avessero sostenuto il processo di Oslo avrebbe potuto funzionare . Avrebbero potuto raggiungere “qualcosa di concreto” per i palestinesi, sul quale, sperando, costruire qualcosa).
Per riportare in vita un nuovo PNC, ristrutturato e rinvigorito, ci dovrebbero essere elezioni in tutte le comunità della diaspora Palestinese.
Eccola la diaspora Palestinese: paesi e numero di palestinesi residenti:
Giordania – 2900000;
Israele – 1600000;
Siria – 800000;
Cile – 500000;
Libano – 490000;
Arabia Saudita – 280245;
Egitto – 270245;
Stati Uniti – 270000;
Honduras -250000;
Venezuela – 245120;
Emirati Arabi Uniti – 170000;
Germania -159000;
Messico – 158000;
Qatar – 100000;
Kuwait – 70000;
El Salvador – 70000;
Brasile – 59000;
Iraq – 57000;
Yemen – 55000;
Canada – 50975;
Australia – 45000;
Libia – 44000;
Danimarca – 32152;
Regno Unito – 30000;
Svezia – 25500;
Perù – 20000;
Colombia – 20000;
Spagna – 12000;
Pakistan – 10500;
Paesi Bassi – 9000;
Grecia – 7500;
Norvegia – 7000;
Francia – 5000;
Guatemala – 3500;
Austria – 3000;
Svizzera – 2000;
Turchia – 1000;
India – 300.
Il compito primario di un nuovo Consiglio Nazionale Palestinese sarebbe quello di discutere e determinare la politica palestinese e poi rappresentarla, colloquiando con le altre potenze con voce credibile. Questo potrebbe solo aiutare il compito di responsabilizzare i cittadini del mondo con la verità storica.
L’ iniziativa congiunta di una lobby universale per i diritti dei Palestinesi ed un nuovo PNC potrebbe essere un punto di svolta. Provate solo a immaginare cosa accadrebbe se 1 milione di palestinesi della diaspora, altri arabi, e persone di ogni credo marciassero pacificamente verso la Grande Israele da Egitto, Giordania, Siria e Libano.
Riesco ad immaginare solo due modi in cui qualsiasi governo d’ Israele possa reagire. Potrebbe ordinare all’ IDF di sparare per uccidere un numero impressionante di persone – una reazione così potrebbe inorridire il mondo ed i governi, compreso quello di Washington, che non avrebbe scelta se non intraprendere qualsiasi azione necessaria per porre termine all’ impresa coloniale sionista; oppure il governo israeliano, forzato dalla maggioranza della sua popolazione, potrebbe dire qualcosa del genere: “Ora siamo pronti a prendere seriamente in considerazione la pace, anche se il risultato dei negoziati diceva Uno Stato per tutti, a condizione che benessere e sicurezza vengano garantiti a tutti i cittadini, arabi ed ebrei.”
In passato ho suggerito questa marcia. Potrebbe essere organizzata veramente se i gruppi si unissero e agissero insieme.
NOTA
Credo di non essere il solo a chiedersi se ci sia qualcosa di concreto nel recente rapporto del Foreign Policy Journal di Franklin Lamb intitolato L’ America Si Prepara Ad Un Medio-Oriente Post-Israele? (Lamb è Professore di diritto ed ex legale del US House Judiciary committee, ora risiede a Beirut ed è un esperto del Medio-Oriente con molte fonti attendibili).
Il punto cardine dell’ articolo di Lamb è che le 16 agenzie dell’ intelligence statunitense hanno commissionato uno studio che ha prodotto 82 pagine di analisi, apparentemente pronte alla pubblicazione, concludendo che “gli interessi nazionali americani sono fondamentalmente in contrasto con quelli sionisti di Israele”, e che “Israele al momento è la maggiore minaccia agli interessi nazionali degli Stati Uniti perchè la sua natura e le sue azioni impediscono le normali relazioni statunitensi con i paesi arabi e musulmani, e in misura crescente con la comunità internazionale.”
Secondo il resoconto di Lamb, lo studio non è altro che un richiamo per il prossimo presidente di mettere gli interessi americani al primo posto, ritirando il supporto (finanziario ed altro) al mostro sionista.
La mia prima reazione al report di Lamb è stata – se fosse vero, wow!
Se fosse vero, voglio dire, se un abbozzo di analisi esistesse, si potrebbe pensare che chiunque sia il prossimo presidente americano, questo dovrà scegliere se dire “NO” alla sua intelligence e al mettere al primo posto gli interessi del paese, o dire “NO” al sionismo. In tal caso un fattore chiave per la decisione presidenziale potrebbe essere lo stato dell’ opinione pubblica americana. A mio avviso il presidente se volesse dire “NO” al sionismo, avrebbe bisogno che questa sia meglio informata riguardo la verità storica rispetto a quanto lo è ora e così avrebbe maggiori possibilità di restare in pista quando la lobby sionista ed i suoi tirapiedi al Congresso proveranno a farlo fuori.
Alan Hart
Fonte: www.informationclearinghouse.info
Link: http://www.informationclearinghouse.info/article32387.htm
8.09.2012
Traduzione a cura di REIO per www.comedonchisciotte.org