LA NOTTE IN CUI MIA MADRE MINACCIO’ DI UCCIDERMI

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DI JUDY BOLTON-FASMAN

damemagazine.com

L’anziana madre della scrittrice è ora in balia della figlia, di cui ha abusato per anni. Possiamo nutrire coloro che ci hanno fatto temere per la nostra vita?

La notte in cui minacciò di uccidermi, mia madre si fermò sulla soglia della stanza con il pavimento in moquette che condividevo con la mia sorellina. Si stagliava contro la luce del corridoio, con i lunghi capelli che pendevano dalla sua acconciatura a chignon, e disse che se mi fossi addormentata mi avrebbe pugnalato così in fretta, che non avrei mai saputo di essere morta.

Mia madre e io vivevamo un tempo preso a prestito. Secondo un lettore di tarocchi, mia madre non avrebbe dovuto vivere oltre i 30 anni. Ed invece eccola lì, a 33 anni, ancora viva e con una speciale predilezione per i coltelli. Aveva spesso minacciato il suicidio, tirando fuori un coltello da bistecca e premendolo contro il suo ventre. Ma quella sera minacciò di tagliarmi a fette come una delle sue melanzane al forno.

Sono sicura che qualsiasi peccato avessi commesso, a 8 anni, aveva a che fare con il fatto che non le avevo prestato una sufficiente attenzione. Aveva bisogno che io lodassi costantemente le sue cene, o che riconoscessi che lei aveva rifatto il mio letto. La notte che dovevo morire guardavo dalla finestra il cielo stellato, cercando di non addormentarmi.
Una volta un poeta promise alla figlia di dipingere l’intero sistema solare sul palmo della sua mano, perché lei potesse proclamare: “conosco l’intero universo come il palmo della mia mano”. Volevo una madre del genere. Nel mio mondo, invece, le stelle esplodevano in attacchi di ansia. Nel mio mondo le stelle che brillavano luminose nel cielo erano morte da milioni di anni.

Quando mi sono svegliata, la mattina del giorno dopo, non sapevo se ero viva o morta. Mia madre, ancora nella sua vestaglia bianca e rosa ridotta a brandelli, era addormentata sul divano del soggiorno.

Ho sempre scusato il cattivo comportamento di mia madre con la nostalgia che aveva per Cuba, era addolorata al solo pensiero. Nel mezzo di un inverno in Connecticut, lei gemeva: “Hay Cuba como to estraño”. Poiché Cuba mancava a lei, conseguentemente mancava anche a me. Non importava a quel punto il fatto che non ci ero mai stata. Cuba era come mia madre – inaccessibile, esotica, in rovina.

Mia figlia ha venti anni, e non le ho mai detto delle tendenze omicide di mia madre. Non devo. Lei ha già le sue brave ragioni per diffidare della nonna, che lei chiama abu, diminutivo di abuela. Abu preferisce suo fratello diciassettenne, solo perché è un ragazzo. Lo dice a titolo definitivo e senza scusanti. Abu non si è scusata mai con nessuno.

Abu, quand’era giovane, era bella, civettuola e tempestosa. Ha ancora una cotta per il suo primo ragazzo, che si riaccende ogni tanto nella sua mente, dandole un’angoscia che non finisce mai.

L’ex reginetta di bellezza, la studentessa che voleva andare all’università, è venuta negli Stati Uniti nel 1958. Aveva 22 anni e aveva affittato una stanza a Brooklyn da suoi lontani cugini.

Nessuna lusinga l’avrebbe fatta uscire di casa il Sabato notte. Solo ragazze poco raffinate partecipavano a balli singoli o di gruppo, indossando braccialetti alle caviglie e dipingendosi le unghie di rosso. Lei invece ballava da sola, con la mano sul cuore, muovendo i fianchi al ritmo della musica del “The Lawrence Welk Show”.

Ci sarebbe voluto un altro anno prima che mio padre entrasse nella sua vita, con una nuova Chrysler dalle pinne gialle. Quando lo fece, mia madre fu colpita da quest’uomo più anziano, educato alla Ivy League [2], con le mani morbide e le unghia tagliate. Sembrava Harry Belafonte. Beveva un po’ troppo, ma così faceva la maggior parte degli americani.
Mia madre era figlia di un padre alcolizzato e violento, e di una madre ipocondriaca e depressa, spesso ricoverata in ospedale a causa di malattie misteriose. Un padre rabbioso e una madre assente. Mio nonno lo chiamavo l’abuelo-che-bacia, era sciatto, appiccicoso e chiacchierone. Quando cercava di inseguirmi gli sfuggivo girandogli attorno. Fare qualcosa in più che trascinarsi lentamente gli innescò l’angina, e questo fu per me una grazia salvifica.

Mia madre ha creato un’intera mitologia sulla sua vita a Cuba. Ha detto che è vissuta a L’Avana Vecchia, in un grande appartamento con una scala di marmo. Una cameriera puliva quella scala fino a quando luccicava in modo accecante. In America mia madre diceva che era lei stessa la cameriera della sua casa. ¡Soy la criada! [3], urlava lavando furiosamente i servizi igienici, in vestaglia e con occhiali dalle spesse lenti scure, che indossava quando era di buon umore. Quando puliva era selvaggia.

Ma la narrazione centrale della vita di mia madre è una pura invenzione. Affermava di aver frequentato l’Università di L’Avana, dove era una studentessa in materie sociali – una santa ragazza che, nonostante le obiezioni dei suoi supervisori, acquistava cibo e vestiti per i bisognosi. Queste storie erano le favole della mia infanzia.

Il periodo in cui lei diceva di essere andata all’Università di L’Avana non è allineato con la storia. Il giorno in cui diceva di aver sentito degli spari, mentre rispondeva ad un quiz, l’università era chiusa da più di sei mesi. L’Università di L’Avana non aveva mai avuto dei corsi in materia sociale, e Fidel Castro non avrebbe potuto essere l’uomo seduto sulla panchina, che l’aveva invitata per un caffè. Era ancora sulle montagne della Sierra Maestra.

I fatti non hanno mai contato molto nelle storie di mia madre, le regole se le formava a modo suo. Ascoltava solo le curanderas [4] e le donne che leggono le carte. Lei crede nel potere dei guaritori e nei segni dei tarocchi. Le danno fiducia per ignorare la realtà.

In uno spettacolare esempio di sicurezza in se stessa, mia madre presentò domanda per partecipare ad un corso-master in Letteratura Spagnola, e fu ammessa senza fornire alcun prova che era in possesso dei necessari titoli di studio.
Eravamo alla metà degli anni ’60, e l’arruginita “cortina di ferro” aveva completamente nascosto Cuba dal mondo. Mia madre cavalcò l’onda dei diritti umanitari. I suoi trascripts universitari [5], lei sostenne, erano ostaggio del governo di Castro.

Nella foto di laurea di mia madre [il riferimento è al corso-master di cui sopra], lei posava sulla strada indossando lo “academic regalia” – un abito nero dalle ampie maniche – come se stesse per volar via. Un mortarboard [6] e un fiocco le incoronavano la testa. Ma lei non sorrideva. Lei non sorride mai.

Alla sua laurea tirò fuori il foglietto che mio padre aveva scritto per lei, in modo che potesse cantare le parole di “The Star-Spangled Banner” [7]. Le parole degli inni patriottici americani le sfuggivano. “My Country ‘Tis of Thee”, diventava “My WTIC” – il nome della stazione radio più popolare di Hartford. Quando accendeva la radio, la musica penetrava in ogni angolo della casa. Il “Big Band Show” era il suo programma preferito e lei ballava con i fantasmi di ragazzi che l’adoravano.

Per anni mia madre ha insegnato al liceo spagnolo. Ha trascorso gran parte della sua carriera costringendo i bambini a coniugare i verbi e a memorizzare le parole del vocabolario. Insegnare era il suo lavoro, ma di tanto in tanto dava spazio al suo carattere e si sfogava dalla sua cattedra in classe. Come potevano i suoi studenti non curarsi della declinazione dei verbi, o della storia della sua Cuba prima della rivoluzione?

Essere figli di un’insegnante burrascosa è come appartenere ad un club infernale. Noi, i suoi figli, eravamo come i ragazzi della sua scuola, che rispondevano alle domande e parlavano a sproposito.

Nella casa assistita dove ora vive, mia madre tiene una lezione a settimana di spagnolo colloquiale. Non appena la porto nella sala da pranzo lei saluta i suoi studenti come farebbe il Sindaco di una piccola città. I suoi nuovi studenti, ottanta-novantenni, sono più rispettosi e rimbambiti di chiunque altro le sia mai stato vicino. Le dicono che lei, a 79 anni, è ancora giovane.

Dilettandosi nella sua relativa giovinezza, mia madre mi dice che la sua testa è ancora buona. L’unica cosa che non va è che lei non può più camminare, fatto che la costringe su una poltrona o su una sedia a rotelle.

Mia madre non lascia da mesi la casa-assistita in cui vive. Noi guidiamo ogni volta per un centinaio di miglia per poterla vedere, e le portiamo pannolini e snacks. Durante queste visite noi guardiamo con lei Univision o i quiz televisivi.
Se i miei figli sono con me fanno del loro meglio per prestare attenzione alla loro abu, anche se lei ripete la stessa cosa più e più volte. Non vi sembra che stia bene? Sono ancora lucida, vero? E noi le rispondiamo che nessuno potrebbe mai dire qualcosa al riguardo.

Quando inevitabilmente si addormenta sulla sedia, mi immagino che getti il telecomando verso uno dei suoi aiutanti (è solo l’ultimo episodio di una lunga serie di cattivi comportamenti). Tutto quello che devo fare è pensare di nuovo ai piatti che gettava contro il muro, se si indugiava a tavola troppo a lungo, e credere che stia realmente accadendo di nuovo.
Alla fine delle nostre visite mia madre finisce quasi sempre per chiedermi se penso che lei vivrà abbastanza a lungo per compiere 80 anni. Non ho bisogno di un lettore di tarocchi per sapere che morirà insegnando lo spagnolo, anche quando sarà in un’età ancor più avanzata.

Judy Bolton-Fasman

Fonte: www.damemagazine.com

Link: http://www.damemagazine.com/2014/12/03/my-mom-threatened-kill-me

15.01.2015

Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org a cura di FRANCO

Note del Traduttore:

[1] Abuelo, Abuela, Abu: Nonno, Nonna, Nonnina.
[2] Lo Ivy League è un titolo che accomuna le otto più prestigiose ed elitarie università private degli Stati Uniti d’America (le cosiddette Ancient Eight).
[3] ¡Soy la criada!: Sono la cameriera!
[4] Il Curandero(a), è un termine molto utilizzato in America Latina, e rappresenta la figura moderna dello sciamano. È una persona presso cui la gente va per curarsi o per scacciare il malocchio, presupponendo che sia dotato di arti magiche.
[5] Transcript: copia del curriculum accademico di uno studente
[6] Il Mortaboard è il tradizionale copricapo nero, con cupola piatta e quadrata, indossato da studenti e docenti universitari nelle cerimonie ufficiali.
[7] The Star-Spangled Banner (la bandiera adorna di stelle) è l’inno nazionale degli Stati Uniti d’America.

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