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FONTE: PANISCUS (BLOG)

Mentre lo sfigato futurista contestatore che ha simbolicamente insanguinato il Festival del Cinema di Roma è stato già prontamente scaricato dai suoi imbarazzati camerati, specie quelli che hanno fatto un po’ di carriera, ci permettiamo qui una piccola variazione sul tema.

Da una dei tanti lavoratori avventizi reclutati per l’allestimento della manifestazione culturale, infatti, ci giunge questa istruttiva testimonianza dall’interno, che per ovvi motivi rimane in forma anonima.

Da notare è che l’autrice del pezzo non appartiene in linea di principio a un’area politica ostile agli organizzatori: in altri termini, non è per nulla di destra, tanto quanto l’imbrattatore (anche se frettolosamente associato, il primo giorno, ai mondi dei noglobal e dei disobbedienti) non era affatto di sinistra. Non c’è ideologia, in queste reazioni suscitate a pelle dall’evento su chi vi si è trovato a contatto avventuroso: solo incredulità e sconforto.

Dopo il rosso futurista, godetevi l’azzurro postglobale.

(…e su Kelebek c’è un post simbiotico, date un’occhiata anche a quello)

Dopo una settimana passata a lavorare per il Festival del Cinema di Roma, con almeno una giornata trascorsa sul campo dalla mattina alla sera, vi lascio qualche piccola osservazione sulla nostra americanata veltroniana. Tanto perché si sappia quanto siamo bravi a fare le cose noi, come spendiamo bene i soldi noi e come si parla bene di noi in giro.

Primo: la qualità.
Dunque, stiamo parlando di un festival del cinema.
L’impianto audio di tutte le sale dei cinema è stato montato il giorno prima dell’inaugurazione, provato la sera prima. Se ci fossero stati dei problemi, nessuno avrebbe potuto farci niente: l’unica soluzione sarebbe stata iniziare il film in ritardo.
Su dieci film, infatti, otto hanno avuto problemi e disturbi durante la proiezione. Una pellicola in particolare si è interrotta a metà, con il regista, la delegazione di produttori e gli attori in sala.
Sconcerto, si accendono le luci, vengono chiamati i tecnici che si difendono così: “Noi abbiamo controllato i primi 5 minuti di pellicola, come facciamo sempre. Se quelli vanno bene, per noi è ok”.
Ecco, si fa così. Se magari a metà film la pellicola è nera, chissenefrega.
Il regista si alza e se ne va.
In almeno tre casi i film sono stati mandati in formato sbagliato, in 4/3 anziché 16/9, con risultati esilaranti (capocce a forma di zucchina, per intenderci.) Registi e produttori si sono schifati e hanno giurato che mai più verranno a Roma.

Secondo: l’educazione.
C’è una sezione speciale, “Alice nella città“, dedicata ai ‘ggiovani.
Bello, figo, direte voi. Sisi, lo dico anch’io, che amo il cinema e l’ho pure studiato.
Ma come è stato organizzato?
Le proiezioni, innanzitutto, non sono di film per ragazzi fatte a un pubblico di ragazzi, ma di normalissimi film da festival (tipo film iraniano, coreano, due ore e mezza di film cinese) in lingua originale con sottotitoli, presentate a un pubblico di adolescenti senza alcuna educazione al cinema.
Sapete lo scenario quotidiano qual è? Ragazzi che durante il film urlano, ridono, si alzano, se ne vanno, tornano, parlano al telefonino e lanciano oggetti svariati. Tutto questo sempre con attori e registi presenti, molti dei quali si alzano e se ne vanno.
Ah, altro colpo di genio per interessare i ragazzi: siccome i piccinini non sono abituati al film originale con sottotitolo, si è avuta la brillante idea di mettere un poveraccio con il microfono che legge i sottotitoli italiani. Risultato? Film, sottotitolo in inglese, sottotitolo in italiano e voce di un tizio che legge i sottotitoli italiani coprendo con la sua voce l’audio originale.
CAOS.
Vi lascio immaginare il momento delle domande al regista: imbarazzante è dir poco.

Sempre riguardo all’educazione, parliamo dei nostri professionisti.
Nella cabina del proiezionista, durante la prima del film di Coppola, erano almeno in 5 persone: hanno passato tutto il film a ridere e scherzare. Il pubblico ha iniziato a lamentarsi e una signora si è dovuta alzare e andare a bussare alla cabina per chiedere di fare silenzio.
Tutto questo, senza che nessuno dell’organizzazione abbia mai fatto un plissé.
Tutti i tecnici, durante le proiezioni, tengono le loro radio accese con il volume al massimo: durante il film si sente in continuazione: “Mauro, qui Mauro per Sabbbrina: ‘ddo’staiiiiiiiiii?” “Ettoreeeee! Qui manca un cavo!” “Ahoò, inizia il red carpettt, accennete le luciiii!”.

Terzo: gli imboscati.
All’italiana: la fila davanti alla biglietteria normale è quasi inesistente.
La fila davanti al botteghino accrediti (in parole povere i biglietti gratis regalati o dati in cambio di marchette o perché sei vippss o amico di vippssss) è infinita.
Nelle sale, su dieci persone che vedi girare solo due sono pubblico pagante, otto hanno il pass, o di servizio, o ricevuto per imboscaggio. Le sale sono semivuote: Repubblica (media partner dell’evento) ha un bello scrivere che qui c’è il pienone, ma è una bufala clamorosa.
Il pubblico è scarso, e siccome i veri appassionati sono ancora più scarsi, qual è il risultato?
Che non gliene frega niente a nessuno.
Dopo ogni film, ma spesso anche durante, c’è un continuo migrare di persone che si alzano e se ne vanno. Dopo ogni proiezione ci sarebbe il momento delle domande e delle riflessioni con il regista: imbarazzante, di nuovo. I cafoni si alzano e se ne vanno mentre il povero cristo sta parlando, si attendono domande che non arrivano, i produttori si vorrebbero solo sotterrare.
Non ci sono interpreti, spesso bisogna andare a intuito, e gli attori fingono di aver capito le domande, rispondendo a tutto con un generico “I’m very happy to be here“.
Ah, vorrei farvi vedere le aree davanti al famoso tappeto rosso riservate alle testate giornalistiche: ci avessi visto uno, ma dico un solo giornalista. Tutte belle signore e belle bambine e bambini, tutti fieri di essere lì a guardare in prima fila. E chi saranno mai questi strani giornalisti in visone e tacchi a spillo? Può essere mai che quella ragazzina di 14 anni con le treccine e la borsa delle winx sia già giornalista? Ma nooooo, sono amici/amiche/parenti dei nostri professionisti della carta stampata, che sono di buon cuore e rinunciano a far bene il loro lavoro pur di permettere ai loro cari di svagarsi un po’.

Ne avrei molte altre da dire, ma mi rendo conto di avervi già appallato da morire.
Ve lo scrivo perché io sono rimasta schifata, perché per questa manifestazione incommentabile sono stati spesi milioni di euro (tolti a una città che è all’orlo del collasso per mille motivi) e perché tanto Mollica e tutti i suoi lecchini continueranno a scrivere quanto è bello, quanto è internazionale e quanto dobbiamo tutti essere felici di avere il nostro caro Veltroni che pensa a noi.

Fonte: http://paniscus.splinder.com
Link: http://paniscus.splinder.com/post/14457241
26.10.07

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