LA MORTE DI MICHAEL JACKSON

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DI DAVID WALSH
globalresearch.ca

Si può rimpiangere con sincera tristezza la morte del cantante Michael Jackson a soli 50 anni, ma non certo sorprendersene troppo. Vista la situazione, non si capisce come la sua saga avrebbe potuto finire in tutta serenità. Negli USA, chi gode di una immensa popolarità e fortuna paga spesso un prezzo estremamente elevato.

Senza dubbio molti si sono commossi per la morte di Jackson. Dopo tutto era una delle prime superstar mondiali e ha venduto circa 750 milioni di album in tutto il mondo. Chi ha amato la sua musica e le sue esibizioni, e magari ha anche provato simpatia per i suoi evidenti traumi personali, reagirà con sincera emozione.

A seguito, “Jacko, ma se questo è l’evento del secolo allora il mondo è ridotto male” (Alain De Benoist, ilgiornale.it);Si può dire il contrario per quel che riguarda i magnati dell’industria ludica e dei media, e di vari personaggi politici (dal primo ministro inglese Gordon Brown al ministro tedesco dell’economia Karl-Theodor zu Guttenberg, dall’ex presidente sudcoreano Kim Dae-jung all’ex first lady filippina Imelda Marcos). In questo casi, calcolo finanziario (o politico) e cinismo si rafforzano a vicenda.

La morte di Jackson in una casa in affitto a Los Angeles ha prodotto una fiammata d’interesse su vari servizi online, e un aumento delle vendite dei suoi dischi. I canali televisivi e i notiziari via internet parlano di ben poche altre cose. Venerdì MTV ha detto che “la musica di Jackson ha monopolizzato la lista dei 15 migliori best-seller in Amazon e ha rappresentato la metà dei 20 album e singoli più scaricati da iTunes”.

Non commettiamo un’ingiustizia ai danni dei dirigenti dell’industria discografica, una categoria notoriamente predatoria, supponendo che la morte di Jackson sia stata subito considerata, in certi circoli, un’opportunità d’oro per migliorare le vendite di CD, quest’anno in forte calo (gli analisti prevedono che le vendite complessive nel 2009 ammonteranno a 23 miliardi di dollari, il 16% in meno rispetto al 2006).

In una dichiarazione ufficiale Howard Stringe, dirigente della Sony (l’azienda che detiene i diritti della migliore musica di Jackson), ha definito il cantante “un brillante cantastorie della sua generazione, un genio la cui musica rifletteva la passione e la creatività di un’era”, mentre il servizio via cavo Bloomberg ha ricordato che Sony “potrebbe registrare un netto aumento nelle vendite dei più recenti CD e DVD dell’artista”. Un analista della Deutsche Bank AG a Tokio ha però buttato acqua sul fuoco, sottolineando che il contributo del decesso di Jackson ai ricavi complessivi dell’azienda “sarà limitato e non influirà probabilmente sul valore delle azioni Sony”.

Per quanto riguarda i media, all’epoca del processo californiano a Jackson per molestie a un minorenne, i vari giornali avevano sviscerato tutti i dettagli piccanti e avevano speculato nel modo più spregevole sulla sua vita privata. Riviste e giornali in generale avevano accolto con gran disappunto la sua completa assoluzione: l’idea di una condanna al carcere di Jackson offriva fin troppe opportunità per mettere a nudo e sfruttare ulteriormente le sue miserie.

Dopo la sua morte, il Los Angeles Times ha scritto: “Le riviste che avevano impietosamente perseguitato Jackson, quando era vivo, soprannominandolo ‘Wacko Jacko’ per il suo comportamento imprevedibile, il suo aspetto sempre più strano e le accuse di molestie a un minorenne mossegli, sono diventate improvvisamente sperticati elogiatori di un uomo che “ha offerto un filo musicale a un miliardo di famiglie”.

Uno dei più ripugnanti e costanti denigratori, l’inglese Sun (di Rupert Murdoch), ha per esempio pontificato: “Aveva sconfitto i suoi accusatori, ma la sua salute ne era uscita a pezzi e la sua ricchezza si era liquefatta. Ricordiamo oggi il Michael Jackson che tutto il mondo ha amato: il ragazzo prodigio dei Jackson Five il cui talento, carisma e fascino avevano incantato tutti…

Il mondo intero era il suo palcoscenico e l’umanità tutta il suo pubblico. Quelli che sono stati tanto fortunati da poterlo vedere non lo dimenticheranno mai, e quelli che possiedono le sue registrazioni (ma c’è qualcuno che non ne ha?) le riascolteranno oggi piangendo”.

Era questo l’ambiente corrotto e ipocrita nel quale ha lavorato Jackson e che ha finito col distruggerlo. Sarebbe imprudente separare la sua morte, quale che possa essere stata la causa psicologica immanente, dalle immense tensioni che ne hanno caratterizzato l’esistenza. Showman professionale per 40 anni, perseguitato senza un attimo di tregua dai media, braccato dagli scandali, sotto pressione per conseguire un ritorno trionfale sulle scene, Jackson, la cui salute era cattiva già da anni, ha ceduto alla vigilia di una serie di 50 concerti londinesi (dal luglio 2009 al marzo 2010).

I promotori hanno ripetuto che Jackson aveva superato una “serie di rigorosi esami clinici” prima d’impegnarsi negli spettacoli, in parte organizzati per aiutarlo a districarsi da debiti che secondo i pettegolezzi ammonterebbero a centinaia di milioni di dollari. Tipico della macabra e spietata atmosfera che circondava il cantante, lo scommettitore inglese William Hill dava 1 a 8 la sua partecipazione al primo spettacolo in programma. Il pubblicista di Los Angeles Michael Levine, che una volta aveva rappresentato l’artista, aveva dichiarato un una conferenza stampa: “Nessun essere umano può sostenere a lungo un tale livello di stress”.

Nel corso della sua vita, varie circostanze avevano concorso a marcare la sorte di Michael Jackson. In primo luogo, ovviamente, il suo immenso talento. A questo punto è molto difficile andare oltre le follie e le iperbole dei media e ricostruire un quadro accurato delle sue qualità: la registrazione video dell’audizione per la Motown Records nel 1968, quando Jackson aveva 10 anni, lascia capire che tipo di prodigio fosse nel campo della musica popolare. Come segnalava un commentatore, Jackson “danza, piroetta e si contorce sul palcoscenico in una esplosione di membra che agiscono in modo indipendente, dimostrando così trionfalmente che il corpo umano può essere uno strumento e non solo una stupida macchina” (Guardian).

Cresciuto nella città industriale di Gary, Indiana, Jackson aveva assorbito musica e sensazione nell’aria stessa, e aveva conosciuto le possibilità commerciali rese possibili dalle battaglie e dai sacrifici del movimento per i diritti civili, nonché dai cantanti afroamericani delle precedenti generazioni.

Nato in una famiglia con un difficile retroterra sociale, come avevamo sottolineato nel 2003, “Jackson era stato accolto dal distruttivo apparato dell’industria americana del divertimento e, data la sua vulnerabilità psicologica, non nel miglior momento.

“Il grande successo individuale di Jackson coincide con gli anni di Reagan, un periodo in cui molti si erano lasciati alle spalle il radicalismo degli anni ’70, il proprio o quello di altra gente, e si erano concentrati sul compito di diventare ricchi. Egoismo, edonismo, individualismo, avidità erano stati posti al primo posto. Jackson era un cantante, ballerino e cantautore estremamente dotato, ma la capacità di dire qualcosa con la propria musica non è innata e tanto meno il risultato di prove incessanti e pressioni familiari.

“I Jackson Five arrivarono sulla scena musicale e a Motown, in particolare, in un periodo di proteste generalizzate. L’azienda musicale, posseduta da Berry Gordy, un fervente fautore del “capitalismo nero”, non aveva tagliato i ponti con le correnti radicali.

“Nel 1971, Gordy e il cantante Marvin Gaye si scontrarono sul desiderio di quest’ultimo d’incidere ‘What’s Going On,’ una canzone contro la guerra del Vietnam. Gaye, il cui cugino era morto in Vietnam e il cui fratello ci era andato per tre volte, se ne era meravigliato, ‘col mondo intorno a me che esplode, come si può pensare che continui a cantare canzoni d’amore?’. Nei primi anni ’70, altri esecutori negri, ad esempio Stevie Wonder, avevano inciso canzoni molto critiche verso Richard Nixon, e Curtis Mayfield era un dichiarato oppositore della guerra e del razzismo.

“I Jacksons, anche se non per colpa loro, funzionarono da argine dell’industria musicale a tutte queste tendenze, grazie a quello che divenne noto come ‘bubblegum soul’. Jackson ruppe con la sua puerile immagine musicale verso la fine degli anni ’70, ma non c’è ragione di attribuire una soverchia importanza a questa decisione: dimostrò un’abilità straordinaria, ma il contenuto delle canzoni non arrivò mai a essere eccelso e di certo non di genialità rimarchevole. Negli articoli dei media su Jackson, bisogna sempre distinguere tra l’apprezzamento delle sue qualità genuine e la molto più diffusa ammirazione con cui i giornalisti e gli esperti dell’industria osservano le cifre di vendita e il crescere della ricchezza personale del cantante”.

Col che non vogliamo sminuire la perizia delle danze e delle esibizioni di Jackson, che raggiunse forse il culmine negli anni ’80. Un lettore di WSWS ricorda un’esibizione dell’epoca: “Il gruppo eseguì assieme qualche vecchio lavoro, poi Michael cantò le sue canzoni. Nei pochi momenti in cui, dopo averne eseguite varie di seguito, lasciò la scena per una pausa, gli altri Jacksons suonarono, e Jermaine eseguì anche alcuni pezzi del suo nuovo album… Ma era solo intermezzo. Stavamo tutti aspettando il ritorno di Michael, e quando rientrò l’arena impazzì. Che ballerino! Che energia! Riusciva realmente a ipnotizzare gli spettatori”.

Jackson sfruttava anche tecnologie e formati relativamente nuovi: la videomusica raggiunse la sua importanza ai primi degli anni ’80, col lancio della rete televisiva via cavo MTV (Music Television). Nel 1983 apparve nei negozi un suo video di 14 minuti con la canzone “Thriller”, costato mezzo milione di dollari, una cifra mai raggiunta prima. L’album fu venduto in 109 milioni di copie, e divenne così il bestseller di tutti i tempi.

Per il mondo dei media e del divertimento successi stratosferici di questo tipo significano soldi e sangue. Da un lato, ovviamente, le vendite dei CD e dei DVD, le esibizioni dal vivo, le performance, la pubblicità, e tutto il resto, generano ampi profitti per le aziende che sfruttano e vendono il talento genuino di artisti come Jackson e molti, molti altri. Anni di sforzi, affinamento delle capacità vocali o creative, coscienza professionale, generosità, umanità, e sentimenti riversati nelle composizioni musicali, significano qualcosa per l’industria solo se portano soldi.

D’altro lato, negli USA la celebrità stessa svolge un ruolo fondamentale e insano. In un paese in cui sui temi più importanti si organizzano solo i dibattiti ufficiali che non possono essere evitati, e in cui la vita politica è quasi interamente decisa d’avanzo, un fascino malsano per le esistenze delle persone ricche e famose aiuta a riempire almeno in parte il vuoto esistenziale e distrae l’attenzione dei cittadini dai suoi veri interessi e necessità.

Al tempo stesso, però, frustrazione popolare e scontento non scompaiono: l’attitudine del pubblico, sollecitata dai media, verso le “celebrità” oscilla spesso tra ammirazione acritica e risentimento. Riviste, spettacoli d’intrattenimento e notiziari manipolano questi sentimenti per i loro scopi. Lo sfortunato atleta, la popstar o l’attore caduti in disgrazia possono scoprirsi demonizzati in un modo realmente mostruoso.

Per uno come Jackson, baciato dalla fortuna ma anche profondamente disturbato sul piano psicologico, essere violentemente aggredito – adorato un giorno, ridicolizzato e disprezzato un altro – dev’essere risultato particolarmente distruttivo. Era un uomo che, per usare le sue stesse parole, ha vissuto per i suoi spettacoli dal vivo e per l’adulazione delle masse anonime di spettatori.

Ora i grandi media e l’industria dello spettacolo cercheranno di sfruttare il più possibile la morte di Jackson, guardandosi intanto attorno per trovare la prossima vittima.

David Walsh
Fonte: www.globalresearch.ca
Link: http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=14204
2.07.2009

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di CARLO PAPPALARDO

JACKO, MA SE QUESTO E’ L’EVENTO DEL SECOLO ALLORA IL MONDO E’ RIDOTTO MALE

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DI ALIAN DE BENOST
ilgiornale.it/

Sopravvivrà il mondo a Michael Jackson? Ce lo chiediamo dopo l’onda planetaria, riversatasi sui suoi funerali, ma avvenuta su scala planetaria, della «Jacksonmania», dieci volte più importante che l’«Obamania» di pochi mesi fa. Qualcosa che non s’era visto nemmeno per le esequie di Elvis Presley, John Lennon e Lady Di.

Alla morte del Michael Jackson le catene tv di tutto il mondo, o quasi, sono diventate altrettanti «Jackson Channels». Da allora, alcune trasmettono solo clip dell’inventore del Moonwalk. In Francia perfino le grandi reti generaliste hanno subito cambiato i programmi, sopprimendo per giorni le informazioni che non fossero da Neverland. Iran, Afghanistan, Irak: basta! Solo Michael Jackson! Servizi e omaggi si succedevano, mentre da Los Angeles a Tokyo, via Parigi, Buenos Aires e Nairobi, centinaia di migliaia di allucinati con telefonino e mp3 si riunivano spontaneamente. Abbiamo saputo tutto di Jackson, delle sue origini, della sua carriera, dei suoi cambiamenti di pelle, dei suoi successi (750 milioni di dischi venduti), delle sue ultime prove, dei suoi ultimi istanti, della sua prole, delle sue finanze, della sua eredità. Tutto, dovevamo saper tutto. Tutto annegato nel diluvio di ditirambi e iperboli: il più grande cantante, il più geniale, il più creativo, il più qui, il più là… Tale commozione globale allibisce. Non si discute il talento, reale o no, di Michael Jackson, e nemmeno le sue doti di cantante (e soprattutto di ballerino). È in causa il modo di fare informazione. Nessun fatto dopo l’11 settembre 2001 ha avuto una tale copertura mediatica. Nessuno. Se capitassero domani la morte di Obama, di Putin, del Papa farebbero dieci volte meno rumore. Del resto molti giornalisti ne convengono: come si potrebbe, anche tecnicamente, dare più eco a qualcosa? Di qui la domanda: la morte di Michael Jackson è davvero l’evento più importante nel mondo da dieci anni? Anche i commenti dei fan più isterici fanno riflettere.

Dalla California, le tv li hanno messi davanti alla telecamera a rivaleggiare in affermazioni deliranti: «Il più grande cantante di ogni tempo», «l’uomo più importante dopo Gesù», «la morte di un genio», «ci vorranno anni per superare questo lutto», ecc. Per i funerali di «Bambi» ci sono state quasi mezzo miliardo di richieste di biglietti. Le aste su e-Bay sono arrivate a centomila dollari per biglietto. Negli Stati Uniti, dove l’isteria pare una componente della vita sociale, ci sono già state varie decine di suicidi. Il pianeta vacilla. Nasce una nuova religione! Non è una novità che immense folle siano pronte ad attraversare il mondo per assistere a un grande fatto sportivo o musicale, mentre i partiti politici, i sindacati e le Chiese non mobilitano più molta gente – il che qualcosa significa. Ma ora ogni confine è stato apparentemente varcato anche nella dismisura. È la distrazione nel senso che al termine dava Pascal: ciò che distrae distogliendo dal resto. Ciò che fa sparire tutto sotto l’agitare dei lustrini, del rumore, delle luci multicolori e delle clip. Il «diversity management» che solo perversi blasfemi possono pensare di turbare.


Nel settembre 1995, cinquecento uomini politici e dirigenti economici di primo piano s’erano riuniti a San Francisco sotto l’egida della Fondazione Gorbaciov per confrontare le loro opinioni sul futuro. La maggior parte concordò che le società occidentali erano sul punto di divenire ingestibili e che andava trovato un modo per mantenere, con nuovi procedimenti, la soggezione al dominio del Capitale. La soluzione fu proposta da Zbigniew Brzezinski col nome di «tittytainment». Il termine scherzoso alludeva al «cocktail di svago abbrutente e alimentazione che mantiene di buon umore la popolazione frustrata del pianeta». «We are the world!», cantava Michael Jackson. Quale mondo? Il mondo del tittytainment. Un mondo senza uscita di sicurezza. Siamo franchi: non c’è da stare allegri ad abitare un mondo dove ormai nulla, proprio nulla, conta più che la morte di un re della pop music.

Alain De Benoist
Fonte: www.ilgiornale.it/
Link: http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=364793
8.07.2009

Traduzione a cura di Maurizio Cabona

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