DI MARCO (HS)
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Caro Roberto,
perdonami se mi viene di darti del tu anche se non ci conosciamo, ma la tua giovane età, certo più giovane della mia mi invita ad adottare questo tono confidenziale. In verità la tua giovinezza è quasi esclusivamente anagrafica perché il tuo concreto impegno anticamorra ti ha permesso di accumulare un’esperienza che mai potrà essere acquisita da intere esistenze. Sordidi tribunali non riconosciuti ma efficienti e pienamente operativi ti hanno comminato il massimo della pena, la sentenza che mai potrà promanare da questo Stato per certi aspetti vergognoso e inqualificabile nel suo “berlusconismo” imperante, assottigliando e annullando quel confine che separa la giovinezza alla maturità più dolorosa.
Roberto, io faccio parte dei quattro o cinque milioni che hanno assistito alla trasmissione di Fazio a te dedicata. Tornando dal lavoro a ora piuttosto tarda non ho seguito l’intiero programma, ma, per quel che ho assistito, non ho difficoltà a riconoscere, comunque sia, di avere assistito alla boccata di un’aria “altra” rispetto alla corrente televisione fatta di mediocrità, volgarità, disimpegno falsamente impegnato e solenni stupidaggini. Una televisione che si crogiola e compiace di squisitezze come Vespa, “Amici” e “X Factor”, assurdi realities come “L’Isola dei Famosi”, la costernante non comicità dei vari “Zelig”, le “Prove del cuoco” e fiction della realtà come “Chi l’ha visto ?”. Quantomeno, nonostante il “buonismo” di Fazio a volte stucchevole, “Che tempo che fa” si è lasciato piacevolmente vedere soprattutto quando ha illustrato frammenti di disperante e violenta realtà di quella Gomorra che poi finisce per sovrastare tutto noi.
Tutto bene ? Tutto da impacchettare nella scatola della buona visione e del buon ricordo, dunque ?
Essendo io persona complicata e un pochino contorta consentimi di esporre i miei “se” e i miei “ma”…
In tutta franchezza non ho intenzione di dilungarmi in osservazioni che mi sembrano anche un pochino assurde, proprie di chi vuole cercare il pelo nell’uovo. C’è chi ti rimprovera di essere reticente e di non esprimenti su altri crimini ben più gravi perpetrati da personalità in vista, rispettate e perbene, ben più potenti dei Casalesi. Non si può fare a meno di rilevare che tu parli e scrivi da narratore di gran razza su quella realtà con cui sei stato a contatto e che, come hai sinceramente confessato, è diventata la tua ossessione. E non poteva essere altrimenti… Ognuno poi, scrittore o giornalista, aggiungo io, possiede la sua sensibilità che lo porta ad affrontare osservare e analizzare le tematiche che più catturano il suo interesse e la sua attenzione. L’intellettuale, il giornalista, lo scrittore, il saggista che si rispettino, che hanno veramente intenzione di portare qualcosa in termini di informazione e conoscenza, hanno solo il dovere di essere loro stessi, quanto più liberi possibile in un mondo dove concedersi questo tipo di libertà è un lusso.
L’intellettuale – preso nella più ampia accezione del termine – non può essere organico e rispondere a dei dettami che, inevitabilmente, conducono ad una sorta di conformismo.
Il mondo poi pare colmo di personaggi che pretendono di fare sconcertanti rivelazioni su complotti e crimini, in maniera talvolta palesemente assurda e, quindi, senza rischiare alcunchè mentre il frutto del tuo lavoro, originato dalla concreta esperienza sul campo, ti è valsa l’attenzione non proprio amorevole di quella criminalità la cui spietatezza è ben nota in tutto il mondo.
Queste considerazioni non mi esimono, però, dall’esporre le mie obiezioni che si gioveranno come proprio come punto di partenza del tuo grande successo, il bestseller che ti ha reso celebre in tutto il mondo.
Non può essere negato che “Gomorra” ha portato una ventata di aria fresca con quel suo stile che faceva romanzo di un saggio e saggio di un romanzo, proiettandoci in un mondo in cui la sopraffazione, la ferocia e la morte sono pane quotidiano fino a imbrigliare i normali rapporti umani. Fatti già noti ma narrati in maniera tale da introdurre il lettore in prima persona nelle tenebre più ordinarie. Rifuggendo dalla consueta e asettica scrittura di un certo genere di pubblicistica hai restituito il respiro ad un contesto, a quella Gomorra che non è solo Campania e che, sempre più diventa metropoli universale. Tra le altre cose che mi hanno colpito, “Gomorra” ben illustrano che cosa è oggi – ma solo oggi ? – la criminalità organizzata e la delinquenza e le loro connessioni con il mondo del business. Una criminalità spietata e omicida, ma anche sempre più “imprenditoriale” prospera in un contesto dove sempre più si è sviluppata la “deregulation”, l’allentamento dei lacci e dei laccioli alle attività di vera e presunta intrapresa. E il mix di “deregulation” di marca neoliberista e quella flessibilità morale che – campani o italiani – ci concediamo, produce effetti devastanti. Quel che però ho apprezzato maggiormente del tuo libro è stato quel profumo – se si può dire – di verità senza nulla concedere né alla polemica da pamphlet né ad un consolatorio sentimentalismo. La crudezza finale rivela come nel mondo di Gomorra conti prima di tutto “sopravvivere”. Una chiosa “disperante” che richiama in qualche modo quella disperazione pasoliniana nei confronti della realtà a lui contemporanea.
La disperazione è la sola autentica presa d’atto…
La disperazione è la fine…
La disperazione è pure il principio…
E’ l’urlo che echeggia oltre il nostro udito.
Così, e voglio essere sincero fino in fondo, il tuo intervento finale sulla legalità e sulla cultura della legalità mi è parso debole e non convincente. Un discorso retorico, tutto sommato banale che, fra l’altro, è dissonante e stride con quello che hai scritto. Certo, ci vuole anche la retorica che però non può offuscare il tentativo di comprendere l’ambiguità e la complessità del reale.
Giustamente, da un certo punto di vista, ti aggrappi alla cultura della legalità sostenendo che nel nostro paese esiste ed è politicamente trasversale. A tuo parere – e ti stai riferendo a questa cultura della legalità – è grazie a questo contributo che si può sconfiggere Gomorra e, immagino, tutte le sue propaggini, ma io comincio a chiedermi come mai se in Italia la cosiddetta cultura della legalità è così forte si sente invece la necessità di fondare un partito (L’Italia dei Valori) che trova il suo esclusivo fondamento nella legalità o nel suo richiamo e di indirizzare il proprio consenso verso quel partito ?
Quella trasversalità si svela giorno dopo giorno come pura facciata o superficiale perché oltre alle dichiarazioni altisonanti di principio ci sono soprattutto i comportamenti che li contraddicono. Centrodestra e centrosinistra senza distinzioni… Personalmente quello che faccio sempre più fatica a sopportare sono le commemorazioni dei morti per mano della mafia e al servizio dello Stato con contorno di onorevoli e onorate personalità. Falcone e Borsellino non sono stati uccisi una volta sola ma più volte sminuzzandoli e riducendoli ad immaginette come quella di padre Pio, a icone buone per tutti e per tutte le stagioni con tutto il loro strascico di opportunismi. Non c’è persona che, al momento “giusto”, non voglia fare l’”antimafioso”… E, come puoi facilmente riscontrare, torna la retorica con tutta la sua carica di illusione o di falsità, comunque la si voglia prendere.
Da parte mia io ti auguro di continuare a scrivere il frutto di quel che senti e di quel che pensi con il massimo di serenità che ti può essere possibile, ma non di diventare una sorta di simulacro perché perderesti la tua luce più autentica.
Ti prego di non fraintendermi se vorrai leggere queste righe. Non accoglierle, se non vuoi, ma comprendile. Io capisco che nelle tue condizioni di vita a dir poco disagiate tu abbia bisogno di un grande sostegno da parte dei tuoi lettori che, sono sicuro, non mancheranno di dimostrarti il loro affetto, ma ti chiedo un poco di pazienza…
Sono consapevole del notevole sforzo di associazioni come Libera per la diffusione della cultura della legalità e dell’attivismo militante dei ragazzi di Locri che ricorda in piccolo la stagione dell’antimafia palermitana fra la fine degli anni Ottanta e gli inizi degli anni Novanta, ma ciò non può essere insieme condizione necessaria e sufficiente. Occorrerebbe essere molto più incisivi e scavare in profondità per scardinare quella mafiosità e quell’illegalità che impregnano la società italiana. Perché la verità è che noi italiani, l’italiano medio attuale ma non solo è dominato da quella mancanza di rispetto per l’altro che sfocia nell’insofferenza assoluta per le regole. Non stupisce, così, che in certi contesti le organizzazioni mafiose e camorristiche la possano fare da padrone potendo godere, oltre a quella passività comprensibilmente generata dalla paura per la propria incolumità e per quella dei propri cari, di un consenso aperto e insospettabile anche da parte di persone che potremmo definire “normali”. Pare a me troppo semplicistico risolvere la questione riprendendo il luogo divenuto ormai comune che il Male trionfa, perché i buoni non reagiscono, perché persiste sempre il problema delle persone che “buone” non sono e fanno consapevolmente una scelta di “passività” e non possiamo dare per scontato che costoro rappresentino una minoranza.
E poi come si fa a decidere se una persona è “buona” o “cattiva” se non attraverso le scelte, i moventi che dettano quella scelta e i comportamenti conseguenti ? Ma è tutto questa evocazione manichea della lotta fra il Bene e il Male in una realtà sempre più ambigua e sfuggente a stridere pesantemente… Oltretutto quando si accenna ai conflitti fra Bene e Male ho il vizio di farmi tornare alla mente le parole di Gorge Bush jr con tutte le loro disastrose conseguenze.
Gomorra non è solo fuori da noi, ma in qualche misura è anche dentro e non è così agevole debellarla… L’ha compreso l’ex magistrato Colombo, celebre per aver affrontato inchieste scottanti come quella sulla P2, su Mani Pulite e sull’attuale Presidente del Consiglio, il quale si è dimesso perché si è reso conto che da quella posizione non poteva continuare a portare avanti una battaglia per la legalità. Ha compreso che il problema và anche e innanzitutto affrontato educativamente oltre i facili richiami alla legalità e ora svolge la sua attività pedagogica quasi in sordina lontano da quei riflettori che non gli concedevano tregua. Questa vicenda dovrebbe insegnarci che se si vuole veramente prendere a cuore il problema della legalità e quindi anche quelli della lotta alla criminalità organizzata e quello apparentemente minore del rispetto per sé e per gli altri bisognerebbe evitare di intraprendere le facili scorciatoie e, con pazienza, dedicare quotidianamente a sé e agli altri un tempo importante per le cose che contano con intelligenza e passione.
Caro Roberto, sei stato molto attento a ponderare e a pesare le tue parole, ma mi devi proprio perdonare se quando hai asserito con sicurezza che bisognerebbe fare della legalità una moda stavo quasi per sobbalzare dalla sedia. Forse in quel caso non hai veramente misurato il significato del tuo discorrere… La moda è – e ripeto – è per sua natura temporanea, volatile e passeggera. Così effimera da non avere effetti duraturi sulla vita delle persone o da annullare quegli stessi effetti.
Penso al Sessantotto che, nella sua “onda lunga” specie qua in Italia, si è fatto moda per intere schiere di giovani e meno giovani. Ripenso alla stagione dell’antimafia o a quella di Mani Pulite durante le quali i “legalitari” non si contavano. Non è rimasto molto se vogliamo analizzare gli effetti di lunga durata di quelle che, per certi versi, sono state anche sbornie collettive.
La moda incoraggia il conformismo e il conformismo alimenta altre forme di passività e una mentalità un pochino da “gregge” se vogliamo dirla tutta. Magari poi sono i libri come “Gomorra” che diventano moda, si cristallizzano in un genere che si inflaziona e finisce per non scuotere niente e nessuno. Semplicemente si è alla moda e si fa tendenza perché si legge un determinato libro o si guarda un certo programma alla televisione. Si fa spettacolo…
Forse sbaglio, ma la mia impressione è che anche tu, Roberto, sei rimasto in quel caso ingabbiato nella macchina “spettacolare”. Negli ingranaggi di uno spettacolo televisivo che, per quanto ben oliato e ben fatto, per quanto sagacemente condotto dal “buonista” Fazio, è soprattutto uno show di intrattenimento piuttosto che un’arena in cui confrontarsi seriamente. E tu non hai potuto far altro che adeguarti ricercando quell’applauso che danna l’anima a tutti noi, temporanei ospiti di questo mondo postmoderno che ci condanna alla temporaneità. Molto semplicemente hai parlato come il pubblico ti voleva sentir parlare, ma se fossi stato un pochino più fedele allo spirito del tuo libro non avresti cercato il battito di mani, ma, al contrario, avresti sfidato quel pubblico domandando perché lasciasse passare con indifferenza e senza reazione cumuli di nefandezze e di nequizie.
Gli avresti trasmesso una scarica elettrica senza pari per poi raggelarlo impedendogli così di accennare anche il solo gesto delle mani. Lo avresti costretto ad abbandonare la platea per lo specchio più vicino. E non sarebbe stato ovvio, retorico o effimero, ma una pagina memorabile nei cuori e nelle menti.
Forse siamo ancora troppo troppo fragili e disarmati o, al contrario, non lo siamo abbastanza per concederci questi gesti…
Ti auguro una maggiore serenità e di poter pubblicare presto un nuovo libro
Affettuosamente
Marco (HS)
Fonte: www.comedonchisciotte.org
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2.04.2008