LA MARCIA VERSO PORCOPOLI

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Una breve storia del consumo di carne nel mondo, dall’eden a Mattole

– PARTE SECONDA-

DI ALEXANDER COCKBURN

Iniziato con Dio, ora si continua con l’Impero.

In un periodo di tre settimane nel maggio 1806, mentre attraversavano il Montana nel corso di uno studio, Lewis e Clark, insieme alla loro compagnia – Corps of Discovery – uccisero 167 animali, circa otto al giorno. Studiando il loro itinerario, Donald Worster riconobbe che in circa ventotto mesi probabilmente avevano sparato – per i loro bisogni piuttosto che per una carneficina casuale – ‘qualcosa tra cinque e diecimila animali.’[14] Ma commisero anche numerose carneficine accidentali. Uccisero orsi grizzly, leoni di montagna, volpi, linci rosse, marmotte e ovviamente bisonti nordamericani. Poterono scegliere a loro piacimento perché le pianure del west presentavano una così vasta ricchezza di animali, da sconvolgere gran parte dei viaggiatori che le visitarono.

Dopo la prima decade del ventesimo secolo, quando tutta questa ricchezza non poteva che essere scomparsa, lo scrittore Ernest Thompson Seton, studioso della natura, riconobbe che verso la fine del diciottesimo secolo la popolazione ‘primitiva’ del bisonte nordamericano ammontava a 75 milioni di esemplari. Nel 1895 erano rimasti ottocento bisonti, per lo più all’interno dei confini dello Yellowstone Park. Secondo le stime di Seton, in un periodo antecedente, i grizzly presenti sulle montagne e negli stati dell’ovest, Canada e Alaska, ammontavano a circa due milioni. Nel 1908 erano calati a 200.000 quasi tutti in Alaska e Canada. Seton ravvisò che forse ce ne potevano essere ottocento nel Lower 48, ma sempre per lo più intorno Yellowstone. A metà del 1995 ce n’erano ancora circa ottocento nel Lower 48, sebbene il ‘Fish and Wildlife Service’ , dopo vent’anni stesse pensando di togliere l’orso grizzly dalla lista delle specie protette, con il pretesto che l’ Ursus horribilis non fosse più da considerarsi in pericolo.

Traduzione: senza quell’orso fastidioso ad ostacolare le attività industriali ed estrattive, le industrie minerarie, le compagnie del petrolio e del legname possono andare avanti con le loro attività trivellando e spaccando, proprio come Dio voleva che facessero.[15]

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Secondo i calcoli di Seton, entro il 1919 l’alce è passata da dieci milioni a 70,000 elementi. I cervi mulo fecero di meglio, con solo 500,000 capi rimasti al tempo in cui Seton stava scrivendo. (Seton può aver esagerato i numeri originari antecedenti l’arrivo dell’uomo bianco. Uno studio successivo stima il numero dei bisonti nel continente a quaranta milioni nel 1830, ma la varietà e il numero di specie perdute resta sempre immenso.)

Entro la fine degli anni ’70 dell’800, il bisonte nordamericano era quasi scomparso. Il colonnello Richard Dodge, lui stesso un cacciatore appassionato, riconobbe che i cacciatori uccisero più di quattro milioni di animali solo a metà degli anni ’70: ‘Dove un tempo c’erano miriadi di bisonti …ora c’era una marea di carcasse. L’aria era impregnata da un tanfo disgustoso e l’immensa pianura …era diventata un putrido e solitario deserto di morte.’ Le pianure, le montagne, le valli che solo mezzo secolo prima abbondavano di creature, ora erano vuote, in uno paesaggio che un viaggiatore che attraversò il South Platte descrisse sottolineando ‘l’uniformità di uno scenario deprimente.’ Delle Grandi Pianure, Barry Lopez ha scritto, ‘Se si contano i bisonti per le pelli, le antilopi per le staffe, i piccioni viaggiatori per le esercitazioni di tiro al bersaglio e i pony degli Indiani (uccisi dai bianchi, per fare in modo che gli Indiani restassero poveri), si presume che morirono 500 milioni di creature.’[16]

E insieme a queste creature se ne andò anche il cibo degli Indiani e il loro modo di vivere. Quando aveva dieci anni, Plenty-Coups capo dei Crow del Montana, ebbe un sogno in cui l’uomo bianco arrivava col suo bestiame e distruggeva la vita naturale delle pianure. Aveva ragione: ‘Quando il bisonte se ne andò, noi diventammo un popolo diverso…Il bisonte era tutto per noi.’ Tre secoli prima, il Primo Vicerè di New Spain scrisse al suo Re: ‘Voglia vostra altezza realizzare che se si concede il bestiame, gli Indiani saranno distrutti.’ I bisonti se ne andarono. Finì l’era degli Indiani. Il solo luogo in cui si poteva trovare del cibo era nelle riserve, grazie alla gentilezza dell’agente Indiano. Per un po’ gli Indiani racimolarono qualche dollaro raccogliendo le ossa dei bisonti e spedendone gli scheletri, uno o due anni dopo averne venduto il pellame. Al posto dei bisonti arrivò il bestiame dell’uomo bianco.

Dieta e Industria

Arrivarono dal Messico, a ovest degli Appalachi, o dal corridoio della Florida. Nel 1850, con l’eccezione della costa Californiana e dell’est del Texas, c’era a malapena una mucca o un giovane bovino ad ovest del Mississippi. C’era più bestiame – quasi un milione di capi – nello Stato di New York che in qualunque altro luogo. In tutti gli Stati Uniti, il numero di capi di bestiame – escluse le mucche da latte – aumentò fino a quasi 11.5 milioni. Entro il 1870 il totale ammontava a 15 milioni e nel 1900 il numero era raddoppiato di nuovo, fino a 35 milioni. Solo il Texas ne aveva 6.5 milioni, mentre Kansas, Iowa e Oklahoma ne avevano 2 milioni e mezzo ciascuno nei pascoli e nei grandi allevamenti industriali. In quel mezzo secolo ebbe inizio l’era dell’industria della carne.[17]

Dal quattordicesimo e quindicesimo secolo – quando si iniziano ad avere documentazioni attendibili – al diciannovesimo secolo, la dieta Europea variò leggermente. I cereali occupavano circa il 90 per cento del budget familiare destinato ai prodotti alimentari: segala, grano saraceno, avena, orzo, granoturco.[18] Dal momento in cui, nell’era Napoleonica, i commercianti di generi alimentari e i fornitori di viveri aprirono la strada all’organizzazione di una produzione di massa e ai moderni metodi di conservazione del cibo, si preparò il campo per l’abbattimento delle variabili del tempo che dello spazio per quanto concerne il consumo di alimenti. Le grandi mandrie di bestiame che iniziarono a pascolare i foraggi degli Stati Uniti dell’ovest, dell’Australia e dell’Argentina confermarono il cambiamento.

La velocità con cui vennero abbandonati i ritmi e la sensibilità dell’era pre-industriale, si può valutare attraverso le descrizioni del famoso mattatoio ‘La Villette’ di Haussmann, costruito sul vecchio progetto del 1807 approvato da Napoleone, e dalle relazioni, di fatto contemporanee, dell’‘Union Stockyards’ di Chicago. ‘La Villette’ fu aperto nel 1867. Siegfried Giedion lo descrive in Mechanization Takes Command:

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L’intero impianto testimonia l’attenzione con cui venivano trattati i singoli animali. I grandi lairages (ovili), coi loro fienili sotto gli alti tetti e un design curato, avrebbero potuto trovarsi in un’aia; ogni bue aveva una stalla tutta per sé…In questa curiosa simbiosi tra artigianato e centralizzazione sta la particolarità di questo stabilimento…ogni bue aveva un baraccone separato dove veniva abbattuto. Questa pratica risale alla prassi artigianale, a cui è sconosciuta la routine delle macellazioni di massa. I lunghi edifici in cui veniva macellato il bestiame consistevano in file di singole capanne una di fianco all’altra. Da allora, gli impianti tecnologici e il fatto che gli animali vengono macellati in ampie sale, hanno permesso di soppiantare le vecchie abitudini. Il fatto che questi trattamenti vengano praticati in capanne separate potrebbe esprimere un’esperienza ben radicata da parte degli allevatori, perché le bestie possono essere allevate solo con un’attenzione e una cura costante nei confronti del singolo animale. Le Grandi Pianure al di là del Mississippi, dove libere distese d’erba per il pascolo possono essere dominate dalla sella di un cavallo, e dove le mandrie crescono quasi senza alcun bisogno di cure, sono implicitamente legate alla catena di montaggio. Quasi allo stesso modo, il contadino della fattoria, dove ogni mucca ha il suo nome e deve essere assistita quando da alla luce il suo vitello, è legato a metodi di macellazione artigianali.[19]

Qui Giedion omette ogni riferimento ai grandi allevamenti industriali, dove gli allevatori del Midwest potevano condurre il loro capi di bestiame di due anni, e convertire il frumento in peso che l’animale nutrito avrebbe messo su molto velocemente, prima di essere spedito verso la fase finale del suo viaggio attraverso la vita.

Macellai a Cronometro

Fino al 1850, i mattatoi di Cincinnati – ‘Porcopolis’ – hanno continuato a rifinire la loro linea di produzione per oltre vent’anni. Frederick Law Olmsted, architetto e progettista di zone panoramiche e parchi, ha visitato Cincinnati negli anni ’50 dell’800:

Siamo entrati in un’immensa stanza dal soffitto basso e ci siamo trovati di fronte l’immagine di maiali morti a pancia all’aria, con le zampe tese in silenzio verso il cielo. Scendendo abbiamo trovato una sorta di tritacarne umano, dove i maiali venivano convertiti in suino commerciale. Le sue componenti erano: un tavolaccio, due uomini per sollevare e girare e due per maneggiare la mannaia. Nessuna ruota a ingranaggi in ferro avrebbe potuto svolgere un movimento più regolare. Le zampe cadono di peso sulla tavola, taglia , taglia; affetta, affetta, affonda la mannaia. Tutto è finito. Ma prima che tu te ne renda conto, di nuovo taglia, trita, affonda. Non c’è fine allo stupore. Con un’abile operazione manuale da specialista, vengono fuori prosciutti, spalle, parti pulite, sudiciume e carne di prima qualità, ogni taglio al suo posto d’appartenenza, dove del personale, aiutato da camion e carrelli, invia ogni pezzo al suo destino – le cosce in Messico, la lombata per Bordeaux. Stupiti dalla velocità superiore ad ogni aspettativa, tiriamo fuori i nostri orologi e contiamo trentacinque secondi, dal momento in cui un maiale tocca il tavolaccio a quello in cui un altro animale occupa il suo posto. Mi rammarico di non aver contato il numero di colpi necessari.[20]

Ciò nonostante, secondo i modelli successivi, i macellai di suini, della zona di Cincinnati di quel tempo non erano poi così organizzati come i loro successori della Union yards di Chicago. Molte teste di maiali, pezzi di collo e spine dorsali furono gettate nel fiume Ohio.[21]

Molti viaggiatori del diciannovesimo secolo si fermarono a Cincinnati o più tardi a Chicago, e si stupirono di fronte all’efficienza e alla crudeltà di questo continua e furiosa esecuzione di animali al fine di alimentare New York, Boston, Parigi, Londra e i sempre più crescenti eserciti industriali e militari che pure desideravano mangiare carne. Negli anni tra il 1807 e il 1865 – anno dell’apertura dell’ Union Stockyards di Chicago – per la prima volta nella storia del mondo, si perfezionò la catena produttiva dei mattatoi di creature ancora vive. Da una parte c’erano le praterie, le ampie distese per il pascolo, l’esuberanza pastorale del bestiame in viaggio, quando a volte accadeva che i cowboys salvavano un bue dalle corna lunghe. ‘Reed Anthony, Andy Adams’, cowboy, racconta di come lui e altri militanti confederati che stavano sorvegliando una mandria di manzi del Texas, salvarono la vita ad una animale perché sempre avrebbero camminato prestando attenzione al messaggio di “Rock of Ages” cantata dai suoi mandriani.’ [22] Quelli salvati erano due o tre o dieci, un centinaio o un migliaio tra i milioni e milioni di creature che arrancavano verso punti di smistamento ferroviario come Abilene, per poi dirigersi ad est, o al mattatoio più a portata di mano, e finire nelle mani dagli agenti del governo per essere poi mandati nelle riserve ad alimentare gli Indiani, che non avevano più il bisonte da cacciare.

Lo Stridio dell’Universo

‘Mucche e cowboys’ scrive William Cronon nel capitolo Chicago’s stockyards, in Nature’s Metropolis, ‘potrebbero essere il simbolo di una dura vita a contatto con la natura nelle praterie del west, ma carne di manzo e suini rappresentano le comodità della città. In passato non si poteva scordare con facilità che il suino e la carne di manzo era il frutto di un’associazione intricata e simbiotica tra gli animali e gli esseri umani. Uno non poteva dimenticare che i maiali e il bestiame erano morti per fare in modo che le persone potessero mangiarli, perché li aveva visti pascolare in zone familiari, e visitava regolarmente le aie e le macellerie dove questi animali davano la loro vita per darci il pasto giornaliero. In un mondo di fattorie e piccole città, i legami tra campo, pascolo, macelleria e tavolo da pranzo erano palesi ovunque, a ricordarci costantemente del rapporto che sta alla base della nostra sopravvivenza. In un mondo di grandi allevamenti, impianti di imballaggio, e celle frigorifere, tali legami svaniscono a prima vista.’ Cronon enfatizza le conseguenze di questo allontanarsi dall’uccisione e dalla commercializzazione della carne: ‘Nell’era degli imballatori, era facile dimenticare che mangiare era un atto morale legato in modo inestricabile all’uccisione. Tale era la seconda natura che un ordine di categoria ha imposto al territorio Americano. Tale dimenticanza fu tra le ultime ad essere notate, ma fu quella che causò le conseguenze più importanti.’

Un’altra descrizione degli impianti di Chicago si trova nel romanzo di Upton Sinclair The Jungle del 1905. Il suo eroe, Jurgis, guarda i maiali mentre vengono macellati:

E tuttavia, in qualche modo anche la persona più pratica non poteva fare a meno di pensare a quei maiali; erano così innocenti, arrivavano così fiduciosi ed erano così umani nelle loro proteste – agivano nel pieno rispetto dei loro diritti!.. In verità, di tanto in tanto qualche visitatore piangeva; ma questa macchina di macellazione andava avanti, visitatori o meno. Era come un crimine orribile commesso in una prigione sotterranea, tutto veniva celato e restava inascoltato, sepolto alla vista e alla memoria. Una persona non poteva star lì a guardare molto a lungo senza assumere un atteggiamento filosofico, senza cominciare ad avere a che fare con simboli e risa, fino a sentire lo stridio dell’universo.’ La macellazione di animali divenne così un processo sistematico, deviato dai precedenti legami tra tempo e spazio. Nelle parole di Cronon, ‘La geografia non era più molto importante se non per una questione di gestione; il tempo aveva cospirato col capitale per annientare lo spazio. I maiali potrebbero pascolare tra i pantani dimenticati dei bisonti americani nel centro del Montana, potrebbero divorare il frumento dei grandi allevamenti industriali dello Iowa, ma dal punto di vista delle corporazioni potrebbero trovarsi in qualunque altro luogo. Astratte, standardizzate e fittizie, le loro vite sono governate tanto dalla natura del capitale quanto dalla natura che ha dato loro la vita.’

CONTINUA

Alexander Cockburn
Fonte:www.counterpunch.org
Link:http://www.counterpunch.org/cockburn08172005.html
17.08.05

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di MONIA

Questo saggio è tratto da Dead Meat, con la testimonianza di Sue Coe, sotto forma di illustrazioni e diari riguardanti i mattatoi degli Stati Uniti. Dead Meat è pubblicato da Four Walls Eight Windows Press, a New York, e le immaginii in esso contenute si trovano alla St. Etienne Gallery, 20 West 57th St, New York.

Note

[14] Donald Worster, An Unsettled Country. Changing Landscapes of the American West, Albuquerque 1994. Vedi in particolare il capitolo, ‘Other People, Other Lives.’ I calcoli di Seton, sotto riportati, sono esaminati da Worster.

[15] Vedi Alexander Cockburn, ‘Grisly Fate of Ursus horribilis’, The Nation, July 1995

[16] Vedi Worster, An Unsettled Country.

[17] Edward Everett Dale, The Range Cattle Industry. Ranching on the Great Plains from 1865 to 1925, Norman 1960.

[18] Massimo Montanari, The Culture of Food, Oxford 1994.

[19] Siegfried Giedion, Mechanization Takes Command, New York 1948.

[20] Citato in William Cronon, Nature’s Metropolis. Chicago and the Great West, New York 1991. Il capitolo di Cronon, ‘Annihilating Space: Meat’ è un lavoro davvero impressionante.

[21] ‘Un giovane nativo delle vicinanze delle Lucking Hills, iniziò il racconto dell’efficienza dei produttori di carne. ‘Parlando di salsicce,’ disse questo ironico vicino, ‘quelle catene connettive tra cane e maiale quasi mi ricordano un incidente commovente che mi accadde qualche anno fa in un vivace villaggio sotto la foce del Deer Creek in Ohio chiamato Cincinnati. In una piacevole mattina d’estate, una nostra vecchia amica stava gironzolando per i sobborghi della città accompagnata dal suo barboncino preferito – il suo solo protettore. Passeggiando serenamente lungo la sponda fiorita del Deer Creek, mentre sulle sue guance soffiava “lo zefiro gentile carico di dolci profumi”, dopo un po’ arrivò alla casa di una grasso tedesco furioso, che si insinuava, fosse stata scena di molte carneficine disumane. Una volta di fronte alla casa, ella notò la presenza di un maiale fresco appeso all’estremità di un grande tubo di rame che sembrava comunicare con l’interno della casa. Il barboncino sobbalzò di fronte a quel tesoro, ma appena raggiunse il luogo fu afferrato sotto l’orecchio da un gancio d’acciaio e subito scomparve dalla vista della sua adorata padrona. Lei, povera anima, terrorizzata dalla misteriosa scomparsa, corse frenetica all’interno della casa alla ricerca del cane. Ma ahimé! Come Distaffiana, deve aver esclamato, “Oh vergine disgraziata – o destino miserabile. Sono arrivata appena in tempo per essere in ritardo!” Perché una volta raggiunta la parte posteriore dell’edificio, si accorse che tutto ciò che restava del suo barboncino sfortunato era: il nastro blu che lei gli aveva legato al collo, settantacinque salsicce fresche, e un bellissimo manicotto di lana nera.’ T.D. Clark, ‘Kentucky Yarn and Yarn Spinners’, The Cincinnati Times-Star, Centennial Edition, vol. 10, no. 100, 25 April 1940, ‘Business, Industry, Kentucky Section’, p. 6; from B.A. Botkin, ed., A Treasure of Mississippi River Folklore, New York 1955.

[22] Questa storia è stata raccontata da J. Frank Dobie, in The Longhorns, Bramhall 1941, una brillante celebrazione di questa razza. I pastorali includevano storie di fughe. Un manzo di nome Table Cloth era sfuggito al recinto chiuso del viaggio di spedizione verso il macello per oltre un decennio: ‘Di ritorno dopo aver venduto il carico dell’ultimo autunno, il capo propose che alcuni uomini prendessero i loro Winchesters e li portassero nel nascondiglio di Table Cloth. Pensava di offrire l’opportunità di svolgere un grande sport, ma fu sorpreso dalle proteste che si accumularono. ‘Table Cloth non si era forse guadagnato in modo giusto la vita e la libertà? Da quindici anni ormai l’intero gruppo Shoe Sole gli stava dietro – e lui era ancora libero. Stava invecchiando. Non aveva mai provato veramente ad uccidere un uomo. Aveva semplicemente messo fuori gioco i suoi avversari. Non poteva essere definito un mediocre…Per Dio, meritava di vivere tra i cedri e i canyons che amava tanto – e il capo concordò.’ Dobie era uno scrittore meraviglioso. La sua descrizione del paesaggio boscoso del Texas, nel Capitolo 17, è una piccola gemma della letteratura paesaggistica. Worster scrive, ‘Le creature addomesticate come il bestiame e le pecore sono state…vitali per l’esperienza western, e noi abbiamo centinaia di libri e articoli sulle industrie di macellazione nate grazie a questi animali. Solo raramente, per non dire mai, quegli stessi animali sono apparsi in quella letteratura come qualcosa che ricordava le “Persone a quattro zampe” di Black Elk (Alce Nera)…La brillante eccezione alla generale mancanza di animali nelle storie della prateria è The Longhorns di J. Frank Dobie, che da un resoconto completo e apprezzabile dell’istinto della specie, delle abitudini e della psicologia – un animale, scrive Dobie, che si rifiutò ‘di diventare bestiame senza combattere’ ma si ostinò a seguire ‘la legge del selvaggio, la rigida legge del dammi-la-libertà-o-la-morte contro la tirannia’ un comportamento che li fece etichettare come ‘fuorilegge’ facendoli rimpiazzare dai più docili Herefords. Worster aggiunge, ‘anche Dobie ha qualche problema a mantenere vivo l’interesse verso mucche che non sono né selvagge né capi di bestiame senza marchio.’

VEDI ANCHE:UNA BREVE STORIA DEL CONSUMO DI CARNE NEL MONDO, DALL’EDEN A MATTOLE – PARTE PRIMA

VEGETARIANI E NAZISTI PER GLI ANIMALI, LA GUERRA LAMPO DEGLI UNGULATI – PARTE TERZA

FACENDO A PEZZI MOCHIE – QUARTA E ULTIMA PARTE

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