DI RIXON STEWARD
‘Sotto la mia tastiera, la scrivania trema. I bloggers sono in marcia.’
Il titolo sopra la dice lunga. Messo in rilievo dal Times ieri, l’articolista Simon Jenkins ammette di essere stato un po’ lento nel comprendere, ma come il suo articolo spiega: alla fine gli si è rivelato che la comunicazione di massa non è più proprietà esclusiva di governi o danarosi oligarchi, come il proprietario del Times Rupert Murdoch. Che sia meglio o peggio, Internet apre le porte a tutti.
Comunque, malgrado questa percezione, il giornalista rimane sempre in qualche modo distaccato da Internet. “Sulla rete” scrive, “le opinioni viaggiano in prima classe mentre i fatti in terza.”
Come se i quotidiani fossero paragoni di obiettività e imparzialità.
Non lo sono, e il fatto è sottolineato chiaramente e graficamente da Internet. Il Times, come tutti i maggiori quotidiani, è lungi dall’aver menzionato – tanto meno pubblicato – la storica deposizione scritta e giurata di Richard Tomlinson sulla morte della principessa Diana. Se non fosse stato per Internet non ne sapremmo molto di più circa le reali circostanze dietro la morte di Diana, e questo non grazie ai gusti di Simon Jenkins.
I mezzi di comunicazione tradizionali sono sotto minaccia esattamente perché non sono stati in grado di riportare gli eventi imparzialmente, accuratamente e obiettivamente. Sono stati invece usati per dirigere e blandire la percezione del pubblico nell’interesse delle autorità e dell’oligarchia proprietaria dei media. Un esempio per tutti sono le numerose storie sulle Armi di Distruzione di Massa di Saddam Hussein che furono un sostegno per i media negli anni e mesi precedenti all’attuale invasione dell’Iraq. Furono provate poi esser totalmente infondate, ma servirono per preparare opportunamente il sentimento pubblico, sia in Gran Bretagna che in America, ad accettare l’invasione, anche se con qualche riluttanza.
Come risultato vi è un crescente disincanto nei confronti dei media e non solo per la carta stampata. C’è piuttosto una qualche rivoluzione della comunicazione che si sta facendo strada, e anche i personaggi della TV stanno cominciando a cadere. Nonostante ciò, non aspettatevi che Jenkins ve lo racconti, si sta appena rendendo conto della minaccia alla carta stampata.
Comunque, Jenkins non è l’unico giornalista dei media tradizionali a notare la forza crescente di Internet. Nella stessa edizione del Times, Dan Sabbagh scrive che Internet è “cattive notizie per la stampa del ‘mondo reale’”. Concentrando l’attenzione su siti web che trattano di soldi, gossip o poco più che banalità – come il sito Popbitch – Sabbagh fa in modo di raccontarci davvero poco oltre al fatto che Internet sta crescendo e le vendite dei quotidiani stanno diminuendo.
Intenzionalmente o no, l’effetto è quello di sviare la nostra attenzione da siti web di reale importanza. Allo stesso tempo i lamenti di
Jenkins riguardo l’assenza di “tali qualità come la raccolta di notizie e l’attendibilità” su Internet suonano un poco falsi, specialmente quando paragonate al resoconto del corrispondente del Times Sam Kiley, che racconta del suo allontanamento dal giornale avvenuto alcuni anni fa.
Così Kiley constatò quando cercò di sottoporre un articolo che non era in linea con la politica editoriale del giornale, riguardo gli assassinii degli israeliani:
“Nessun lobbista pro Israele ha mai sognato di avere un tale potere su un grande quotidiano nazionale. Non ne avevano bisogno. Gli amministratori di Murdoch avevano così paura di irritarlo, che quando io riuscii a fare un piccolo scoop seguendo, intervistando e fotografando l’unità dell’esercito israeliano che uccise Mohammed al-Durrah, il ragazzino dodicenne la cui morte fu catturata dalla pellicola facendolo diventare l’icona del conflitto, mi fu chiesto di archiviare il pezzo “senza menzionare il ragazzo ucciso”.
“Dopo quella conversazione, rimasi senza parole, così me ne andai”.
C’è da dire che Sam Kiley fa parte di una stirpe rara, un giornalista di un’autentica integrità, motivo per il quale si dimise. La grande maggioranza, comunque, sono poco più che “prostitute intellettuali”, come li descrive John Swinton, uno dei più importanti giornalisti del suo tempo, durante un discorso fatto ad un pranzo ufficiale nel 1890:
“Non esiste, in questo periodo storico del mondo in America, una stampa indipendente. Voi lo sapete e io anche. Non c’è nessuno di voi che oserebbe scrivere le proprie opinioni reali, e se lo faceste sapreste anticipatamente che non verrebbero mai pubblicate. Vengo pagato settimanalmente affinché tenga le mie sincere opinioni lontane dal giornale di cui faccio parte. Altri tra voi sono pagati similmente per simili cose, e chi tra voi è così pazzo da scrivere opinioni oneste, si ritroverebbe per strada a cercarsi un altro lavoro. Se permettessi alle mie vere opinioni di apparire in una edizione del giornale, prima di ventiquattro ore la mia professione sarebbe finita.
“Il lavoro del giornalista è di distruggere la verità, di mentire apertamente, di falsare, diffamare, prostrarsi alla ricchezza. e
vendere il proprio paese e la sua gente per il pane quotidiano. Voi lo sapete e io anche, e quale follia è questo brindare ad una stampa indipendente? Noi siamo i fantocci, loro muovono i fili e noi balliamo. Il nostro talento, le nostre possibilità e le nostre vite sono tutte proprietà di altri uomini.
“Siamo prostitute intellettuali”.
John Swinton, New York 1890
Rixon Stewart
Fonte:www.thetruthseeker.co.uk
Link:
http://www.thetruthseeker.co.uk/article.asp?ID=2883
12.03.05
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di Laura