DI MAURO MANNO
Le lunghissime campagne elettorali presidenziali degli Stati Uniti sono diventate per noi da tempo, da quando apparteniamo all’impero, una noiosa imposizione che si ripete ogni 4 anni. I servili giornalisti nostrani colgono l’occasione di propinarci l’idea che esse dimostrano che il nostro grande alleato-padrone è una vera democrazia, un faro di civiltà ecc. mentre gli stessi statunitensi, in gran numero non si importunano nemmeno di andare a votare. Le cifre degli astenuti della più grande democrazia, della più luminosa società aperta … superano costantemente il 50% degli aventi diritto al voto. Questa volta però il pubblico nostrano, soprattutto quello sinistrese, sembra aver trovato interesse in uno dei candidati, l’ ‘uomo nuovo’ Barak Obama.
Ma Barak Hossein Obama è veramente un uomo nuovo della politica americana, un nuovo Kennedy come si dice?La campagna in corso avviene in un momento difficile per gli Stati Uniti. Non è solo la crisi dei mutui che pure sta cominciando a dare i suoi frutti avvelenati. Più importante sembra essere il sorgere di una nuova percezione, ancora confusa, dei problemi del Medio Oriente. Pagare la benzina a oltre 3 dollari e mezzo il gallone (molto, molto meno che da noi comunque) rappresenta per il cittadino comune americano il suo personale shock petrolifero che lo risveglia del sonno di cui ha goduto sul conflitto mediorientale fino ad ora. La crisi del dollaro e la quasi impossibilità per i rappresentanti della classe media di venire a fare il cheap grand tour di un tempo nelle colonie europee rappresenta un altro trauma della visione del mondo imperiale del mid-culture man americano. Noi crediamo che il problema più grosso, la causa principale, il nodo non eludibile della crisi è la sconfitta militare in Iraq. Sono svaniti i furori post 11 settembre, si sono attenuati la bellicosità e il desiderio di vendetta contro un mondo (non solo arabo) percepito come ingiusto nei confronti della molto virtuosa America. Oggi gli americani sono diventati più ragionevoli. L’America è divisa. Gli americani sono sbalorditi che il loro governo non sappia più che pesci iracheni prendere. Continuare a chiudere gli occhi davanti alla sconfitta e allargare il conflitto all’Iran? Oppure guardare in faccia alla realtà e rendersi conto che il famoso ‘surge’ ha forse accantonato (provvisoriamente) il problema sannita, ma solo per aprire il fronte Al Sadrista? che anche sul fronte curdo le cose non stanno proprio come si pensava dal momento che anche lì, ‘la regione più tranquilla dell’Iraq’ è sorto come era prevedibile il problema con lo stato turco? In realtà tutto era prevedibile, il rafforzamento dell’Iran e della sua influenza nella regione (con l’eliminazione dei suoi nemici tradizionali Saddam Hussein a Occidente e i talebani ad Oriente), l’acutizzarsi della contraddizione curdi-Turchia, la guerra civile tra sunniti e sciiti. Tutti avevano previsto e paventato queste cose, salvo due attori: i fanatici neocon sionisti dell’amministrazione Bush e il grande Israele (cioè Israele + la lobby ebraica americana). I primi perché essendo sionisti sono guerrafondai ideologici e non politici che, oltretutto, godono di poter mandare in guerra per Israele gli stupidi goyim yankee, il secondo perché ha da tempo scelto la strategia del caos nel mondo arabo, un caos in cui agire per spezzettare le nazioni e i paesi nemici. Una politica che gli assicura un dominio incontrastato, visto anche il suo possesso in esclusiva di armi nucleari, nella regione. Anche Israele è furibondo per il semifallimento del suo piano strategico. A suo favore registra il crollo del regime di Saddam Hussein e la divisione del popolo iracheno. A suo sfavore però ci sono, da una parte, la vicenda curda che ha allontanato la Turchia dallo stato ebraico e ha fatto tremare le relazioni turco-americane e, dall’altra, il rafforzamento dell’Iran che ha fatto sorgere un pericoloso concorrente che ora Israele vorrebbe distruggere per non rischiare una lunga guerra fredda mediorientale con Teheran.
I neocon e il grande Israele (il Moloch Bicefalo con una zampa in Palestina e una oltreoceano) oggi premono perché i goyim yankee attacchino all’arma atomica il loro nuovo nemico iraniano. È forse sorprendente tutto ciò? No di certo. Sorprende forse qualcuno che anche Obama si unisca a questo coro anti-iraniano.
Per l’America le cose non sono semplici e qualche americano ha aperto gli occhi. L’anno scorso c’è stato il libro di Mersheimer e Walt sulla perniciosa influenza della lobby ebraica sulla politica estera americana, un libro che per la prima volta mette al centro del dibattito il Moloch Bicefalo e lo addita come il principale responsabile della guerra irachena. Poi è seguito un intenso dibattito sul connubio incestuoso tra Israele e America, di cui in Europa si è sentito ben poco. Quest’anno infine nelle elezioni presidenziali è apparso Barak Obama.
La lobby critica Obama
Un outsider sospetto per la lobby e per Israele. Subito gli hanno dato addosso per cercare di ricondurlo nel gregge dei filoisraeliani di ferro a cui appartengono McCain e la vecchia pecora, il ‘mostro’, Hillary Clinton. Eppure a noi sembra che Obama rappresenti solo la classica toppa per nascondere il buco. Di Obama e della sua sorte si è occupato Philip Giraldi in un articolo pubblicato su Antiwar.com dal titolo ‘Obama Meets the Lobby’ da cui pubblichiamo lunghe citazioni e che il lettore può leggere nella sua interezza, in inglese, al seguente indirizzo:
http://www.antiwar.com/orig/giraldi.php?articleid=12647. Giraldi esordisce:
“É sicuro che Obama ha dovuto piegare il capo davanti ai sostenitori di Israele-al-primo-posto, i cosiddetti Israeli-firsters, imitando tutti gli altri candidati con l’eccezione di Ron Paul e Dennis Kucinich nel giuramento di fedeltà ai politici e alle politiche di Tel Aviv, qualunque sia l’impatto che essi ed esse possano avere sull’interesse nazionale degli Stati Uniti. Ciò malgrado, Barack Obama si è venuto a trovare sempre più nel mirino di un crescente numero di attacchi al vitriolo da parte della lobby israeliana, più di qualsiasi altro candidato alla presidenza, forse a causa del fatto che il suo secondo nome è Hussein e che ha vissuto in Indonesia. Tutti gli Abe Foxman di questo mondo[costui è il direttore della ebraica Anti-Defamation League, ADL, una delle organizzazioni della Lobby, ndt], sensibilissimi al più insignificante venticello di slealtà verso il Grande Israele, subodorano la possibilità che Obama non sia completamente fedele alla causa. Il 18 marzo scorso, mentre teneva il suo molto apprezzato discorso sul razzismo in America, Obama è stato costretto a eseguire un nuovo atto di obbedienza: allontanandosi dal tema del suo discorso, ha dovuto condannare coloro che, fuori dal coro, vedono «la radice dei conflitti mediorientali prevalentemente nelle azioni degli intoccabili alleati come Israele, invece di vederla nelle perverse e odiose ideologie dell’Islam radicale». Ha segnato così un punto importante a favore dell’intoccabile alleato israeliano, la cui oppressione e occupazione della Palestina araba non ha, sembrerebbe, nulla a che fare con nulla.”
È pur vero che tutti i Foxman del mondo arricciano il naso di disgusto quando leggono un nome arabo, soprattutto se appartiene ad un candidato alla presidenza degli Stati Uniti, loro esclusiva riserva di caccia. Ma la loro antipatia per Obama è dovuta soprattutto alla paura che sotto, sotto egli sia infedele al dio Moloch Bicefalo. Così per Obama sono cominciati i tormenti ebraici.
“A gennaio, il direttore della ADL Foxman chiese che Obama denunciasse Louis Farrakhan come antisemita. Obama non è un seguace della Nazione dell’Islam [l’organizzazione nera islamica di Farrakhan, ndt], né un amico personale di Farrakhan, ma il suo pastore, il reverendo Jeremiah Wright, aveva nel passato, consegnato a Farrakhan un riconoscimento per il suo contributo positivo a favore della comunità nera. Farrakhan oggi è, tutt’al più, una figura politica marginale, ma i suoi genuini commenti antisemitici vengono spesso citati quando i politici neri sono presi di petto nel caso di problemi tra i neri americani e gli ebrei. La successiva denuncia come antisemita di Farrakhan da parte di Obama è stato un buon primo passo, ma evidentemente non un passo sufficiente. Il vero obiettivo di Foxman era in verità Wright, che il capo dell’ADL descrisse come uno che ha «posizioni fortemente contrarie a Israele». Dopo che Foxman sollevò il caso, l’accusa di antisemitismo rivolta a Wright rimbalzò su un numero di blog filo-israeliani da dove passò alla stampa dominante, su cui continua ad avere largo spazio”.
Obama ha cercato di difendere il suo sostenitore Wright, introducendo nel dibattito qualche elemento di verità.
“Obama ha difeso Wright, facendo notare che le sue posizioni contrarie a Israele erano condizionate dal sostegno che Tel Aviv aveva dato al Sud Africa dell’apartheid degli anni ’70 e ’80, che comprendeva assistenza nello sviluppo di un’arma nucleare Sudafricana e la fornitura per centinaia di milioni di dollari di armi made-in Israel, in violazione dell’embargo allora imposto dall’ONU. Per esempio, gli idranti usati per attaccare i dimostranti neri erano fabbricati nel kibbutz israeliano di Beit Alfa”.
Niente da fare. Obama è riuscito solo a parare una delle punte dell’attacco ebraico, il quale non è cessato affatto ma ha preferito mollare l’argomento Wright perché questo avrebbe potuto aprire un dibattito su un aspetto del passato osceno di Israele, che, come la collaborazione dei sionisti con i nazisti prima e durante la II Guerra Mondiale, è bene tenere sempre nascosto e lontano da indagini e dibattiti. La lobby ha preferito prendersela con gli altri sostenitori di Obama.
“Recentemente, gli amici di Israele hanno preso di mira il consigliere di politica militare di Obama nonché co-presidente della sua campagna, il generale dell’aviazione in pensione Merril McPeak. McPeak, in un’intervista rilasciata in Oregon nel 2003, affermò che i politici americani temono gli elettori ebraici che «votano … in favore di Israele e nessun politico desidera andare contro di essi». Egli disse anche che gli israeliani devono «cessare la colonizzazione della Csgiordania e della Striscia di Gaza». Le posizioni di McPeak e di Obama sarebbero in molti luoghi considerate ragionevoli e non controverse, ma non agli occhi di Foxman e della lobby israeliana. McPeak ha anche affermato, a quanto si dice, che molti cristiani rinati, i cosiddetti born-again, hanno sostenuto la guerra all’Iraq perché essa era nell’interesse di Israele. Robert Goldberg, una testa parlante dell’American Spectator, le cui credenziali sul Medio Oriente gli derivano dalla sua presidenza del ‘Centro per la Medicina nel Pubblico Interesse’, afferma che le posizioni di McPeak sono «fanatiche», e aggiunge che l’ex generale “ha la tendenza a criticare Israele, o più particolarmente, gli ebrei che si oppongono alle trattative con i terroristi». Per Goldberg, «Obama ha un problema con gli ebrei». Un altro consigliere di Obama, Robert Malley, è stato anche lui criticato dai sostenitori di Israele per aver sostenuto che bisogna trattare con Hamas. La Samantha Power che di recente ha correttamente ma imprudentemente definito Hillary Clinton un «mostro», è stata anche lei messa alla gogna per aver suggerito che i miliardi di dollari «massi al servizio dell’esercito israeliano» dovrebbero invece essere investiti «nella costruzione della stao di Palestina» se si vuole sinceramente raggiungere la pace e la stabilità nel Medio Oriente”.
In verità anche un altro collaboratore di Obama è stato preso di mira dal Moloch Bicefalo, parliamo di Zbigniew Brzezinski, accusato pure lui del crimine orrendo di critica ad Israele. Obama si è dovuto difendere dicendo che di Brzezinsky, egli condivideva solo la critica alla guerra all’Iraq ma non il suo anti-israelianismo (vedi : http://www.israelenews.com/view.asp?ID=1217). Sembrerebbe, quindi, che ad Obama, la lobby continui a preferire la vecchia pecora Hillary e il monomaniaco McCain che, avrete notato, ora di fa accompagnare dal senatore ebreo ultrasionista Joseph Lieberman. Ricordiamo ai lettori distratti o di corta memoria che questo Joseph Lieberman è lo stesso Joseph Lieberman che si presentò come candidato vice presidente con Al Gore e fu insieme a lui sconfitto da Bush (novembre 2000). Gore era del partito democratico e pure il buon Joseph, ma oggi il Moloch lo chiama a schierarsi con McCain e Joseph salta coi repubblicani, come una parte consistente della Lobby d’altronde.
Obama però sembra avere ancora qualche buona carta da giocare. La divisione della lobby tra McCain e Hillary, in qualche modo lo favorisce, almeno per quanto riguarda la raccolta di denari, soprattutto tramite internet. Dall’articolo apprendiamo che:
“Obama, attraverso attivisti che operano sul net, è quasi riuscito a raddoppiare i contributi raccolti da Hillary.”
Questo ci dice Giraldi. Noi sappiamo però che Obama ha soprattutto il sostegno del finanziere ebreo, Georges Soros, il quale, sempre operando per Israele, si è messo ad agire in proprio, fuori della Lobby. Non da solo per la verità, perché ha trovato degni compari della medesima risma, anche nella ebraica Goldman Sachs, il cui ‘uomo prodigio’, l’eletto Eric Mindich, si va sbracciando pure lui per Obama
(vedi: http://my.barackobama.com/page/community/post/davidhadley/CXKM).
Cosa sta accadendo alla Lobby?
Un po’ di contorsioni. Normali contorsioni in tempo di crisi. Rassicuratevi (o piuttosto arrabbiatevi), essa gode sempre di buona salute e la sua presa sugli Stati Uniti è sempre salda.
Dopo l’affermazione dei neoconservatori sionisti, la Lobby pur divisa tra sostenitori del partito Repubblicano (ricchi ebrei guidati da Mel Semler prima venditore di mutandine femminili, poi proprietario di supermercati, infine ambasciatore di Bush in Italia) e i sostenitori del partito Democratico (in cui tradizionalmente la Lobby decide ogni cosa essendo la maggior parte dei suoi senatori e rappresentanti nel libro paga dell’AIPAC), ha trovato un momento di unità ideologica (al di là dei partiti) nella politica neoconservatrice, likudista, sharoniana. La Lobby che era stata la principale sostenitrice del ‘processo di pace’ di Oslo di Bill Clinton, poi miseramente fallito proprio perché c’era di mezzo la Lobby che mirava a piegare Arafat e imporgli un accordo capestro (presentato però, e anche dal nostro Veltroni, come la ‘offerta generosa di Barak’), è passata dal sostegno ai laburisti al sostegno al Likud. Anche la vecchia pecora (o gallina, fate voi) Hillary si è convertita alla politica neocon. Oggi, con la sconfitta in Iraq e l’ impasse della politica di Sharon-Olmert, qualche manovratore della politica americana a favore di Israele pensa ad un nuovo spostamento su posizioni meno ideologiche, un ritorno al ‘realismo’ laburista insomma. Ma nella tradizionale Lobby questi elementi ‘realisti’ oggi sono ormai pochi. Allora che fanno Soros e il suo compare Mindich ed altri? Pensano di costituire una nuova Lobby ebraica. Abbiamo già avuto modo di parlare del progetto Soros qualche tempo fa, e i fatti di questa campagna elettorale danno ragione alle nostre conclusioni di allora,
(vedi: http://www.mastermatteimedioriente.it/pdf/imbavagliatamannometa.pdf ). Vogliamo tuttavia ricordare brevemente ai lettori quanto dicevamo in quell’occasione.
In quello scritto riportavamo prima di tutto la critica che Soros rivolgeva alla Lobby ebraica tradizionale, in particolare alla sua principale organizzazione l’AIPAC, che con la sua “dilagante influenza … influisce fortemente su entrambi i partiti Democratico e Repubblicano”.
“La missione dell’AIPAC, affermava Soros, è di assicurare il sostegno americano a Israele ma negli anni recenti si è spinto oltre ogni limite. Si è alleato strettamente con i neoconservatori ed è stato un entusiastico sostenitore dell’invasione dell’Iraq. Ha esercitato attivamente la sua attività di lobbying per ottenere la conferma di John Bolton quale ambasciatore USA alle Nazioni Unite. Continua ad opporsi ad ogni dialogo con un governo palestinese che abbia al suo interno Hamas. Ancora più di recente, è stato tra i gruppi di pressione che sono riusciti a imporre alla direzione del partito Democratico di lasciar cadere la condizione che il Presidente ottenga la preventiva approvazione del Congresso per poter attaccare l’Iran. L’AIPAC sotto l’attuale direzione ha chiaramente travalicato la sua missione, e ben lungi dal garantire l’esistenza di Israele, la sta mettendo in pericolo”.
L’idea di Soros è che essendo ormai la Lobby diventata un tutt’uno con i neocon, essa mette in pericolo l’esistenza stessa di Israele. Ed è questo soprattutto che Soros paventa. Per questa ragione è successo che Soros, prima sostenitore dei Clinton, in questa campagna li ha mollati, con loro grande rammarico, perché sono diventati indistinguibili dai neocon. E allora cosa pensa di fare?
“Penso, dice Soros, che oggi sia cominciato in questo paese un processo assolutamente necessario di riesame della politica americana nel Medio Oriente; ma questo processo non può fare molta strada finché l’AIPAC conserverà una potente influenza sia nel partito Democratico che su quello Repubblicano. Alcuni dirigenti del partito Democratico hanno promesso che si daranno da fare per un cambio di direzione ma non possono mantenere questa promessa finché non saranno in grado di resistere agli ordini dell’AIPAC”.
Questo spiega la sua decisione di mettersi in politica e di costituire una seconda lobby ebraica, non likudista e ideologica come l’AIPAC ma più realistica e flessibile. La notizia è riportata in Ha’aretz in questi termini:
“Membri ‘colombe’ pro-israeliani della comunità ebraico-americana pensano di costituire un’alternativa della lobby AIPAC, ha scritto ieri la Jewish Telegraph Agency (JTA). Tra i personaggi che pensano di promuovere questa iniziativa vi è il miliardario filantropo George Soros, che non si è lasciato coinvolgere in argomenti israeliani fino ad ora; i filantropi Edgar e Charles Bronfan e Mel Levine, [i ricchi ebrei sono tutti filantropi per la stampa ebraica! Ndt] un ex- Congressista del partito Democratico, nonché potente avvocato della West-Coast” (vedi:
http://www.haaretz.com/hasen/spages/773426.html ).
Ai nomi citati, sappiamo oggi di dover aggiungere anche, come dicevamo, Mindich, l’uomo prodigio della Goldman Sachs.
Avvenne allora un fatto apparentemente paradossale. Quando Soros uscì allo scoperto col suo progetto politico, fu attaccato proprio da …. Barak Obama che ancora doveva guadagnarsi i galloni e qualche possibilità di diventare formalmente uno dei candidati presidenziali democratici. Oggi è evidente che non si tratta di un paradosso. È qualcosa che fa parte delle contorsioni in tempo di crisi (vedi: http://www2.nysun.com/article/50846 ).
Diventato ufficialmente candidato, Obama si è quindi avvicinato a Soros, a Mindich e agli altri della nuova lobby ebraica realista. Da parte sua anche Soros non poteva non scoprire Obama e inserirlo nei suoi piani. Potete leggere le reciproche danze di avvicinamento, dell’uno all’altro, nell’articolo a questo sito:
http://www.cnsnews.com/ViewNation.asp?Page=%5CNation%5Carchive%5C200407%5CNAT20040727a.html.
Un altro presidente per Israele
Per questa ragione il candidato nero non è niente di veramente nuovo, è un altro servetto nelle mani di potenti finanzieri e uomini d’affari ebraici, che pure se in disaccordo con la Lobby ufficiale, rappresentano un nuovo gruppo di pressione “per la salvezza di Israele”.
Questa è la ragione per cui quando leggiamo l’interesse con cui Giraldi nel suo articolo descrive Obama come ‘uomo nuovo’, noi non ci lasciamo affatto entusiasmare. Giraldi ci presenta questa prospettiva:
“Obama sa che deve dire la cose giuste su Israele se vuole essere eletto, consapevole in particolare che la stampa dominante si concentrerebbe contro di lui se non lo facesse, ma una volta presidente potrebbe ricordarsi degli insulti subìti e rivalersi. Dovrebbe affrontare un Congresso che è pagato e comprato dalla Lobby, [affermazione di peso, ndt] ma ci potrebbe essere in realtà qualche spazio di manovra nel modo in cui inizierebbe il suo mandato e dirigerebbe le iniziative del Ministero degli Esteri (State Deparment) e del Pentagono, due campi che spetta a lui occupare in quanto capo esecutivo. Inoltre, se vincesse e prendesse l’iniziativa in questo senso, potrebbe scoprire che il paese ha fame di vedere una soluzione in Medio Oriente che riconosca, tra le altre cose, che i palestinesi sono stati trattati male da Israele e ignorati da Washington. I sondaggi suggeriscono che questo è proprio il caso”.
È certo vero che gli americani hanno fame di veder un cambiamento che li tiri fuori dalla guerra in Iraq e porti ad una qualche attenuazione del conflitto mediorientale. Ma non sarà nessuna delle due Lobby, la neoconservatrice e la realista, che porterà un serio cambiamento. Quello che serve agli americani è liberarsi di tutte le Lobby ebraiche e dell’influenza nefasta di Israele.
Allora, se questo è veramente il problema, e lo è di sicuro, forse non serve un ‘uomo nuovo’ ma basta alla bisogna l’uomo vecchio McCain. Egli è un fedelissimo della Lobby tradizionale, probabilmente si sceglierà pure come vice l’amico Joseph, e continuerà la politica fallimentare di Bush. Capisco che quello che sto dicendo è cinico, che porterà a nuovi lutti (non vi illudete che con Obama sarebbe meglio), ma McCain sicuramente spingerà gli Stati Uniti ancora più profondamente nel vicolo cieco in cui la Lobby li hanno cacciati. Forse, fra qualche anno, forse dopo altre migliaia di soldati yankee sacrificati sull’altare del Moloch Bicefalo, gli americani si sveglieranno definitivamente dal sonno e decideranno di non fare più gli shabbat goyim del Grande Israele.
Mauro Manno
10.04.2008