LA LEGGE GAYSSOT E' UNA REGRESSIONE GIURIDICA DI MOLTI SECOLI

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SILVIA CATTORI intervista JEAN BRICMONT
Reseau Voltaire

Professore di Fisica Teorica alla Università Cattolica di Lovanio, in Belgio, Jean Bricmont è anche scrittore. E’ un acceso difensore della libertà d’espressione, quali che siano le idee difese, fino a che non cadono nell’insulto o nella diffamazione. Egli ritorna sulla censura come mezzo di oppressione dei deboli e di potere per i potenti, come nel caso del dibattito sulle caricature di Maometto e cita il caso Chomsky, la legge Gayssot e il pericolo che questa rappresenta per la libertà di espressione.
Silvia Cattori: in un recente articolo [1] lei ha attirato l’attenzione dei lettori sulle derive giuridiche nelle quali le leggi anti-terrorismo stanno conducendo le nostre società. Prendeva l’esempio di Bahar Kimyongur, condannato il 27 Marzo 2007 a cinque anni di prigione in Belgio per delitto d’opinione. Il caso di questo giovane lascia supporre che ogni persona che diffonde un testo a difesa del diritto a resistere di ogni popolo sottomesso alla violenza di un occupante – come i Palestinesi, gli Iracheni, gli Afgani – potrebbe trovarsi incolpato per associazione terroristica?

Jean Bricmont: più precisamente Bahar Kimyongur, cittadino belga di origine turca, è stato condannato per appartenenza ad un’organizzazione turca, considerata terrorista dalle autorità belghe, il DHKP-C. Ma la principale “prova “ che si ha della sua appartenenza è il fatto che egli ha tradotto comunicati di questo organismo in seno al suo ufficio di informazione che aveva dei beni al sole a Bruxelles, fino al 2004, momento in cui si sono introdotte nuove leggi antiterrorismo. Questi comunicati – tranne uno che spiega o, se si vuole, “giustifica“ un attentato in Turchia che è “andato male“ nel senso che ha fatto più vittime di quelle che erano nell’obiettivo – riguardano principalmente la situazione nelle prigioni turche, situazione che denuncia anche Amnesty. Ma giustificare la violenza “necessaria“ o scusare i “danni collaterali“ rimane, checché se ne pensi, un’opinione, largamente condivisa del resto da coloro che fanno l’apologia della politica americana o israeliana. Il fatto è che Bahar Kimyongur è stato condannato senza che fosse accusato di aver partecipato ad alcuna azione violenta. Ne concludo che le leggi antiterroriste conducono, a causa del “delitto di appartenenza“, a criminalizzare le espressioni delle opinioni. Per quanto riguarda gli altri movimenti di cui lei parla è sufficiente, effettivamente, che se ne registrino alcune sulla lista delle organizzazioni “terroriste“ perché semplici espressioni di solidarietà con costoro divengano passibili di sanzioni penali.

Silvia Cattori : lei ha consacrato diversi testi molto pertinenti alla libertà di espressione [2]. Si prende cura di distinguere diritto e morale. Nota che la censura è sempre esercitata da coloro che hanno il potere – e che godono della libertà di espressione – contro coloro che non ce l’hanno. Domandandosi in nome di quali principi le persone che possono esprimersi potrebbero avere il diritto d’impedire di farlo ad altri, lei è condotto a constatare che ogni censura presenta grandi pericoli e non può alla fine essere giustificata. Può riassumere qui i principali argomenti della sua riflessione?

Jean Bricmont : per definizione la censura è sempre esercitata da coloro che hanno il diritto di esprimersi ed impediscono agli altri di farlo. In generale, si giustifica la censura dicendo che non si possono lasciare esprimere principi “orribili“. Il problema principale è che è impossibile applicare questo genere di idee in modo imparziale, come i principi del nostro diritto esigono. E’ sufficiente percorrere una biblioteca e leggere i classici del pensiero occidentale – dalla Bibbia ad Hegel, per esempio – per trovare appelli all’omicidio, al genocidio, alla guerra santa, testi di un razzismo straordinario ecc [3]. Io sfido i partigiani della censura a darmi dei principi sui quali basare questo e che, se applicati imparzialmente, non condurrebbero a chiudere una buona parte delle nostre biblioteche. Ma in queste biblioteche si trovano opere “canonizzate“ che non saranno censurate. Lo saranno solo autori oggi marginali; dunque la censura è sempre l’arma dei forti contro i deboli. E’ abbastanza tragico constatare che tanta gente “di sinistra“ pensa, non di meno, di poterla utilizzare.

Questo fatto è illustrato attraverso la commedia – non c’è altra parola da usare – che si è recitata, recentemente, attorno alle caricature antimusulmane [4]. In primo luogo, bisogna sottolineare che le caricature non sono argomenti; è già un abuso farle passare per una “critica della religione“. E poi, queste caricature stigmatizzano una comunità (e avevano evidentemente per scopo di farla reagire, in modo da emarginarla ancora un po’) . Siccome è una comunità definita dalla sua religione, si utilizzano argomenti “laici“ per far intendere che non si tratta di razzismo; tuttavia rimane che si tratta di una comunità umana. Ora, uno dei grandi progressi culturali di questi ultimi decenni, è che sia diventato maleducato prendersi gioco di un gruppo umano quale che esso sia: omosessuali, donne, arabi, neri ecc. ( anche i belgi ). E’ quello che le persone che vogliono tornare ai bei vecchi tempi dove ci si poteva apertamente prendere gioco dei gruppi deboli chiamano il “politicamente corretto“.

Evidentemente, penso che se alcune persone hanno una mentalità particolarmente arretrata da questo punto di vista, come Charlie Hebdo, per esempio [5], devono essere liberi di esprimersi. Ma, come se avessero il sostegno di tutta la classe politica ed intellettuale, non c’è mai stato il minimo dubbio che le azione promosse contro di loro non arriveranno allo scopo, il che fa sì che le grida emesse in quest’occasione “per difendere la libertà d’espressione“ fossero perfettamente ipocrite. Allorché ci sono persone in Francia che si fanno tacere, che si perseguono o che si emarginano (principalmente grazie all’accusa di antisemitismo, e non penso solo ai negazionisti, ma a gente come Edgar Morin o Pascal Boniface) , in quel caso si sentono molto meno i “difensori della libertà d’espressione “ che si sono mobilitati per Charlie Hebdo [6].

Silvia Cattori: si può lasciare un avversario insultare, umiliare, profanare senza limiti? Difendere la libertà di dire tutto non comporta dei rischi?

Jean Bricmont: bisogna distinguere gli insulti personali o le diffamazioni, contro le quali possono essere evidentemente esprsse doglianze, e le asserzioni a carattere generale sulla storia, le idee, o le religioni. Che vi siano rischi nella libertà d’espressione è evidente; ma tutta la storia della censura mostra che anche questa ne comporta. Lo scopo del diritto è di difendere il minore dei mali, non di stabilire la perfezione, che non è di questo mondo.

Per quel che concerne il diritto alla profanazione, questo diritto evidentemente esiste. Non c’è che da vedere il modo in cui musulmani o cristiani “fondamentalisti“ sono regolarmente insultati. Ciò è possibile solo perché questi ultimi sono deboli. E’ per contro rischioso prendersi gioco di ciò che si potrebbe chiamare la religione laica dell’Occidente, sapendo che siamo buoni e che dobbiamo intervenire un po’ dappertutto nel mondo, soprattutto nelle nostre ex colonie, per arrestare nuovi genocidi e nuovi Hitler.

Silvia Cattori: nel quadro della sua riflessione sui principi ed i limiti della libertà d’espressione, si è interessato ad una controversia che ha opposto, alla fine degli anni settanta, il suo amico Noam Chomsky a Pierre Vidal-Naquet. Su cosa si incentrava la controversia, e quali punti di principio riguardanti la libertà di espressione contribuì a chiarire?

Jean Bricmont: non sono sicuro si possa parlare di “controversia“, perché questo suppone posizioni ben definite e io non so bene quali posizioni avesse Vidal-Naquet. Allorché Faurisson, che era professore di letteratura a Lione, ha reso pubbliche le sue vedute sulle camere a gas (sostiene che non sono mai esistite) , è stato rapidamente sospeso dall’insegnamento e perseguitato in modi diversi. Circolava allora una petizione, che chiamava a difendere i suoi diritti, siglata da 500 persone, di cui Chomsky. Questa petizione era neutra per quanto concerneva la validità delle affermazioni di Faurisson; quello che Vidal-Naquet aveva giudicato “scandaloso“ e ciò che aveva portato Chomsky ad un lungo scambio epistolare con Vidal-Naquet era altro. Ma evidentemente, come fa notare Chomsky, allorché si difende la libertà d’espressione di qualcuno, si lascia da parte il contenuto dei testi incriminati. Difendere un’espressione d’opinione non equivale a giudicarla. Discutere del substrato renderebbe d’altro canto impossibile una tale difesa, e non sarebbe che mancanza di tempo per esaminarli, magari perché sono scritti in russo o in cinese. Chomsky ha, d’altro canto, firmato numerose petizioni per dissidenti nei paesi dell’est, sia ignorando i loro punti di vista, sia conoscendoli bene ed essendo in totale disaccordo con essi, ma senza mai, di certo, esprimere la minima opinione a riguardo. In quel caso questo non gli è mai stato rimproverato, almeno in occidente.

Chomsky ha in seguito dato ad uno dei suoi amici dell’epoca Serge Thion – che conosceva a causa della loro comune opposizione alla guerra del Vietnam – uno scritto corto che riprendeva i suoi argomenti in merito alla libertà d’espressione. Gli ha detto di farne quel che voleva. Ma Thion si era, all’epoca, avvicinato a Faurisson e ha messo questo testo come “Avviso“ all’inizio di “Memorie a difesa“ pubblicato da Faurisson per rispondere alle persecuzioni giudiziarie di cui era oggetto. Ciò ha avuto per risultato che Chomsky è stato ostracizzato in Francia per lungo tempo ed in certi ambienti continua ad esserlo.

Poiché Vidal-Naquet si era in principio opposto alle leggi che reprimono la libertà d’espressione, come la legge Gayssot, non si può dire che ci fosse veramente una “controversia“ tra lui e Chomsky. Semplicemente, Chomsky adottava un atteggiamento di principio, che consisteva nel difendere la libertà d’espressione anche per le persone con cui è in disaccordo, mentre Vidal-Naquet esprimeva, al contrario, la sua “indignazione“ in diversi modi, ma senza adottare una posizione ben definita (per esempio in favore della censura). Bisogna dire che questa postura è abbastanza frequente tra i “democratici“ che sono una volta contro la censura e l’altra contro e si oppongono realmente, o – cosa che faceva anche Vidal-Naquet, così come Finkielkraut – che negano che vi sia censura allorché qualcuno è perseguito davanti i tribunali per le sue opinioni.

Silvia Cattori: ci sono parole, come “rosso-nero”, “antisemita”, “negazionista”, “revisionista”, che ritornano sovente nel dibattito politico. E’ così che, durante gli anni di guerra e di terribili atrocità nel Medio Oriente, che hanno messo la responsabilità di Israele al centro del dibattito, abbiamo visto le associazioni moltiplicare gli appelli alla vigilanza [7] contro una pretesa avanzata dell’”antisemitismo”. Queste parole spauracchio non sono usate come armi per soffocare la voce, distruggere la carriera e la reputazione di coloro che denunciano in maniera forte la politica di apartheid e di pulizia etnica condotta dallo Stato d’Israele? Questo modo di ostracizzare, non è l’illustrazione della regressione, preoccupante, della libertà d’espressione? Si tratta di una situazione che tocca, particolarmente, la Francia?

Jean Bricmont : non commenterò gli esempi che lei cita, ma l’idea generale è corretta: se si vuole eliminare qualcuno dal dibattito, lo si taccia sia di “stalinismo”, sia di “antisemita–nazi–negazionismo”; “rosso – nero” ha il vantaggio di combinare le due accuse. Si può anche veder accusare uno di aver incontrato qualcuno che è negazionista/staliniano o di aver delle simpatie per il soggetto X, eccetera. O, ancora, di “mancare di vigilanza” di fronte al “fascismo”; evidentemente, questa vigilanza si esprime con molto meno forza allorché un uomo politico israeliano – come Avigdor Lieberman [8] – mantiene propositi apertamente razzisti e raccomanda l’epurazione etnica, od allorché un uomo politico americano – come John Hagee [9] – propone di distruggere la moschea di Al–Aqsa. Le cose che si pensa suscitino maggiormente la nostra disapprovazione sono le “piccole frasi” di Le Pen, che, contrariamente alle persone succitate, è allontanato da ogni potere e, in particolare, da qualsiasi arma di distruzione di massa.

Silvia Cattori: in questo contesto, cosa pensa lei dell’uso che si fa della legge Gayssot? [10]

Jean Bricmont: il significato della legge Gayssot non viene, principalmente, dal suo contenuto – proibire di mettere in discussione alcuni aspetti del processo di Norimberga – ma dalla sua semplice esistenza. In effetti, questa legge va contro ogni principio del nostro diritto. E’ una vera e propria “lettre de cachet “ (n.d.t.: lettera con sigillo reale, recante un ordine di imprigionamento od esilio), una regressione giuridica di molti secoli. Attraverso la sua stessa esistenza, questa legge subordina la libertà di espressione e di pensiero alle istituzioni giuridiche che la applicano ed ai gruppi che esigono la sua applicazione. Una volta ammesso un tale principio, è grande il rischio di veder estendere la sua applicazione al di là del suo oggetto originario, il processo di Norimberga. Delle aggiunte, delle interpretazioni abusive, rischiano di minacciare altre opinioni, come si vede con il dibattito a proposito del colonialismo o del genocidio degli Armeni. Infine, esercita una sottile intimidazione, mostrando la forza dei gruppi di espressione sionisti, che non esitano ad identificare la critica ad Israele con l’”antisemitismo” e, per questa via, con la negazione della “soluzione finale”. E’ un segnale indiretto, che mostra come la difesa dei diritti dei Palestinesi rischi di scontrarsi con dei gruppi di pressione capaci di distruggere la reputazione e persino la carriera dei loro avversari, per non parlare delle persecuzioni giudiziarie più o meno arbitrarie, anche se costoro accettano, come sono, in generale, pronti a fare, l’integralità del processo di Norimberga.

Ma c’è un problema più profondo di questa legge, dal sapore della predisposizione d’animo, di cui uno degli effetti è proprio l’accettazione di questa legge da parte della sinistra. E’ l’idea che si rifiuti di parlare con X o con Y perché costoro sarebbero “razzisti”, “fascisti”, “nazionalisti”, “giustificanti l’ingiustificabile”, o che so io. L’argomento che si propone più spesso è che, se si parla con lui, si “legittima” il nemico. Io rifiuto radicalmente questo genere di atteggiamento – ho già parlato ad un gruppo musulmano “radicale”, dibattuto con un “nuovo filosofo”, discusso in una sinagoga, in un tempio protestante, così come ad una radio cattolica, mi sono confrontato con rappresentanti del partito democratico e del partito repubblicano americani, eccetera.

E’, evidentemente, quando si discute con gli avversari, non con gli amici, che si è obbligati ad affinare gli argomenti e, qualche volta, a ritornare sulle proprie posizioni. Supponiamo che io discuta con Le Pen (cosa che non farei mai, perché non sono competente in materia di immigrazione, che è il suo principale cavallo di battaglia); io sono sicuro che mi si rimprovererebbe di legittimarlo; ma agli occhi di chi? Rappresenta circa il 20% dei francesi, ed io sono solo un semplice individuo.

A sinistra si fa come se l’essenziale non fosse l’opinione pubblica realmente esistente, che bisogna cercare di influenzare – attraverso l’argomentazione ed il dibattito – ma una divinità, agli occhi della quale noi siamo i buoni, e che sarebbe offesa se cominciassimo a parlare con i “cattivi”. Il risultato di questa mentalità è un clima di intolleranza nella sinistra, soprattutto dell’estrema sinistra, che fa sì che si dibatta molto poco, anche con persone che non sono poi così lontane da noi, e che gli argomenti non cessino di indebolirsi e le idee di divenire dogmi. E, più gli argomenti si indeboliscono, più si ha paura del dibattito. E intanto, il nostro avversario si rafforza.

Silvia Cattori: non si è rapportati all’utilizzo dei metodi mafiosi nel quadro di questa “lotta contro l’antisemitismo” che serve, largamente, di copertura ad altri obiettivi? La posta in gioco non è forse il controllo dell’informazione? Le persone o i gruppi che gettano l’accusa sugli altri invocando la lotta contro il fascismo, non adottano, in realtà, delle metodiche fasciste?

Jean Bricmont: la “lotta contro l’antisemitismo” si persegue, ai giorni nostri, un po’ come la “lotta all’anticomunismo” che si perseguiva nei paesi dell’Est, con, temo, gli stessi risultati. Voglio dire che, al posto di dibattere e di argomentare, si intimidisce, si cita avanti i Tribunali, si fanno tacere le persone, eccetera. Si gioca sulla cattiva coscienza. Tutto questo funziona perfettamente, per un po’ di tempo. Ma tutti coloro che hanno studiato almeno un po’ la storia delle monarchie assolute, delle religioni di stato o dei partiti unici avranno dei dubbi sulla permanenza dei risultati di questa strategia. Bisogna ascoltare non solo ciò che viene detto pubblicamente, ma anche ciò che si dice in privato, nelle strade e nei bar, e che nessuno può controllare. Utilizzare la “lotta contro l’antisemitismo” per proteggere Israele è doppiamente criminale: da una parte, per i Palestinesi, ma anche per le persone di origine giudaica che rischiano, a lungo andare, di essere vittime di una tale strategia.

Silvia Cattori: se queste leggi sono ingiuste, allorché permettono ad una maggioranza di gettare il sospetto o la calunnia su una minoranza, perché nessun partito non si è mai opposto? Come può essere che nessun gruppo si sia mobilitato per rifiutare tali anatemi, e cambiare o eliminare queste leggi? Per aver largamente contribuito ad introdurle, la sinistra non ha una particolare responsabilità?

Jean Bricmont : bella domanda. Io penso che alcuni uomini politici si siano opposti alla legge Gayssot, Toubon per esempio, se non mi sbaglio. Ma non ne conosco a sinistra. Il problema viene dalla metodologia dell’antifascismo. Sessant’anni dopo la fine della guerra, molte persone – soprattutto nell’estrema sinistra – adorano giocare agli eroi prendendo grandi posture “antifasciste”. Il che porta un buon numero di persone ad approvare metodi diciamo fascistoidi (la censura) per combattere persone deboli ed emarginate (come Faurisson) mentre i nostri antenati, che erano realmente antifascisti, dovevano affrontare avversari ugualmente potenti e feroci, e, in particolare, si scontravano, nei paesi fascisti od occupati, contro una censura permanente.

Ciò detto, io penso che vi sia un partito che si è sempre opposto a queste leggi e che ne ha chiesto l’abrogazione: il Fronte Nazionale. Mi si dirà che è perché sono, segretamente, negazionisti. Ma la reazione è diversa, poco importa quali siano le loro intenzioni. Ciò che è tragico e che, per parafrasare Chomsky, torna a rendere un triste omaggio alle vittime della “soluzione finale”, è aver creato una situazione ove il monopolio della difesa della libertà di espressione è lasciata ai “fascisti”.

Silvia Cattori: nel caso della guerra contro la Serbia, non vi è stata una campagna che associava i Serbi agli orrori del nazismo per poter giustificare, agli occhi dell’opinione pubblica, i bombardamenti della NATO e che permetteva, poi, di ostracizzare tutti coloro che contestavano questa guerra?

Jean Bricmont: evidentemente, è sempre la stessa cosa. I Serbi erano deboli, isolati, si poteva dire qualsiasi cosa nei loro confronti, sempre prendendo posizioni eroiche di lotta contro questo “fascismo che ritorna” [11]. Per contro, se lei compara la politica israelo-americana a quella di Hitler – a torto, secondo me – è immediatamente accusato di banalizzare il nazismo.

Silvia Cattori: ritorniamo su questa questione degli amalgami. Si è associato Milosevich ad Hitler, per fare la guerra ai Serbi, poi Saddam Hussein ad Hitler. E, oggi, apparentemente è il turno dell’Iran. Deformare ciò che dicono le persone, associarle al nazismo, non prepara ogni volta l’opinione pubblica ad aderire ad una nuova guerra? Non si sentono, ogni giorno, giornalisti martellare che il presidente iraniano ha chiamato a “cancellare Israele dalla carta geografica” a dispetto del fatto che – testo farsi alla mano – è stato dimostrato che le sue parole dicevano “Khomeiny ha detto che questo regime che occupa Gerusalemme deve sparire dalle pagine del tempo” [12], il che era tutt’altra cosa. Risultato, l’idea si è installata come una “verità”: “Ahmadinejad, negazionista e novello Hitler, si appresta ad annientare Israele con le armi nucleari”. Queste deformazioni sono intenzionali, secondo lei? Non divengono altrettanto efficaci che se brandissero l’accusa di “negazionismo”? Un ristabilimento della libertà di espressione su argomenti divenuti tabù sarebbe suscettibile di fornire un antidoto a simili derive?

Jean Bricmont : la censura basata sulla legge Gayssot in Francia ha giocato un ruolo chiave in questa faccenda. Prima di tutto, non vedo perché i negazionisti dovrebbero andare a riunirsi in Iran, se potessero farlo liberamente – e nella generale indifferenza – a Parigi. E poi, veda un istante le cose dal punto di vista iraniano; io di questo ho discusso con degli iraniani. In Occidente, si ripete loro, dal mattino alla sera, che “noi” siamo superiori a loro, perché rispettiamo i diritti dell’uomo, e loro no [13]. Come evitare che essi si impadroniscano della legge Gayssot, e di altre leggi simili, che violano manifestamente l’articolo 19 della Dichiarazione Universale – quello che garantisce la libertà di espressione – per fornire una risposta tattica? Basta pensare cinque minuti alla psicologia umana per capire questo. Tutto ciò potrebbe rimanere al livello di una disputa ideologica, o anche verbale, se la macchina della propaganda occidentale, alternata sovente da “movimenti per la pace” o “della difesa dei diritti dell’uomo” non se ne impossessasse per impedire ogni movimento di opposizione ad una possibile guerra contro l’Iran, come è successo per la guerra contro l’Irak. Se, un domani, l’Iran fosse attaccato “a sorpresa”, sono certo che una buona parte della sinistra occidentale resterà muta, ed accuserà ogni persona che protesta di “complicità” con la “negazione dell’olocausto” o con la “volontà di cancellare Israele della carta geografica”.

Per quanto mi riguarda, nel mondo di oggi, con la sua moltitudine di problemi – riscaldamento climatico, crisi dell’agricoltura, militarizzazione dello spazio, esaurimento delle risorse – che non hanno nulla a che vedere con il fascismo, ciò che le persone pensano della “seconda guerra mondiale” (come della prima, di Stalin o di Napoleone) è l’ultimo dei miei pensieri. Bisogna distinguere le domande che possono avere un qualche interesse storico dalle domande che hanno un interesse politico e che, per definizione, riguardano il presente.

Certamente, lo studio della storia può chiarire il presente, ma bisogna evitare di voler semplicemente rivivere il passato, “combattendo contro il fascismo”, o “lottando contro il totalitarismo” [14], o ancora conducendo, in eterno, guerre coloniali. Se degli individui avessero nel loro programma politico di restaurare, nel mondo attuale, il fascismo, o lo stalinismo, o il colonialismo, così come sono esistiti in passato, allora ciò avrebbe effettivamente avuto un significato politico, ma sarebbero dei folli, e non effettivamente pericolosi.

C’è una perniciosa tendenza nella psicologia umana che ci spinge a voler “risolvere” i problemi del passato e, ciò facendo, a crearne degli altri. Si può pensare al modo in cui i Tedeschi hanno imposto condizioni molto dure alla Francia dopo la sconfitta del 1870, che era, per loro, un modo per “risolvere” la minaccia che aveva rappresentato Napoleone; ma queste condizioni sono state una delle fonti della prima guerra mondiale; ciò ha condotto al Trattato di Versailles, che è stato un modo, per i Francesi, di “risolvere” il problema del nazionalismo tedesco. Invece di risolvere, il Trattato ha invece incoraggiato il nazismo. Dopo il 1945, si è “risolto” il problema delle persecuzioni antiebraiche, sparite, essenzialmente, all’epoca, creando lo Stato di Israele, il che non ha fatto che generare nuovi problemi che restano irrisolti ai giorni nostri.

A proposito dell’Iran, ciò che bisogna sottolineare prima di tutto è che l’Occidente, con la sua politica dalla vista corta e la sua sete di petrolio, ha fatto rovesciare Mossadegh nel 1953 ed ha sostenuto, in quel Paese, una dittatura impopolare quale quella dello Shah, il cui rovesciamento nel 1979 ha portato al potere i Mullah che le anime candide amano tanto denunciare al giorno d’oggi. Mi sembra che questo, unito al disastro che gli Stati Uniti hanno creato in Irak, dovrebbe essere sufficiente a incitarci ad un po’ più di modestia riguardo ai nostri interventi “umanitari”.

D’altro canto, mi auguro effettivamente che la scienza finisca per “vincere le tenebre” – religiose – per riprendere la bella divisa dell’Università Libera di Bruxelles, coma ha fatto da noi, dopo molti anni di lotta. Io penso che alla fine ce la farà, anche nel mondo musulmano. Ma la sola cosa che possiamo fare per avanzare in questa direzione è offrire una cooperazione sincera allo sviluppo economico e culturale nel terzo mondo, disarmare e cessare le nostre ingerenze e le nostre minacce. Ovverosia, fare più o meno l’opposto di ciò che le persone che danno prova di “vigilanza contro il fascismo” contro l’Iran propongono di fare. Il loro atteggiamento non è, per me, che un modo di darsi grandi arie di superiorità a buon mercato.

Silvia Cattori: la sua maniera di soffermarsi su queste questioni, che toccano i diritti fondamentali, il rispetto e la dignità delle persone, è abbastanza rara. Lei pensa che oggi la maggioranza delle persone sia in grado di percorrere la stessa direzione della sua riflessione? E’ possibile immaginare che coloro che, da tempo, fanno mestiere dell’ostracismo, della demonizzazione e della disumanizzazione dei loro avversari cambieranno la loro ottica?

Jean Bricmont : io non penso affatto che la mia posizione sia “rara”. E’ rara nella “bolla” , come direbbe Jean–François Kahn, del mondo politico–mediatico, ed intellettuale. Ma l’uomo della strada è, in generale, ostile alla politica israeliana, vede molto bene le manovre dei gruppi di pressione che impediscono di discutere apertamente, ed è perfettamente d’accordo con la libertà di espressione, una volta che la distinzione fra calunnie o diffamazioni e manifestazione del pensiero sia chiarita. D’altro canto, quando io discuto di libertà di espressione con i giovani, non ho alcun problema. Ne ho con le persone della mia generazione, quelle del ’68, ma anche quelle del “dispiacere e della pietà”, una generazione che ha dapprima utilizzato gli orrori della guerra per rivoltarsi a buon mercato contro la generazione precedente e che, in seguito, ha utilizzato la mitologa dell’antifascismo per discreditare ogni politica indipendente della Francia, e giustificare il suo progressivo allineamento alla politica americana ed israeliana, politiche che rischiano davvero di tuffare nuovamente il mondo in disastri senza fine e in orrori che abbiamo giurato di non far accadere mai più.

NOTE:

[1] Il pendio scivoloso delle leggi anti terrorismo, Jean Bricmont e Lieven De Cauter. Le Soir (Bruxelles), 27 Marzo 2007. Disponibile su: http://www.michelcollon.info/articl…

2] Jean Bricmont ha codiretto con Julie Franck il Cahier de L’Herne dedicato a Noam Chomsky (Parigi, 2007), dove si può ronvenire una discussione dettagliata delle posizioni di Chomsky su quest’argomento e della sua implicazione nell’« l’affaire Faurisson ».

3] Cosa si propone di fare con le seguenti proposte (per prendere un esempio su un milione) : “mi ricordo di aver letto che un ecclesiastico faceva suonare a mezzanotte una campana per ricordare (agli Indiani d’America) il compimento dei loro doveri coniugali, infatti, lasciando a loro l’iniziativa, neanche quello sarebbe venuto loro in mente”. Oppure: “Il negro rappresenta l’uomo naturale in tutta la sua barbarie e la sua assenza di disciplina. Per comprenderlo, dobbiamo abbandonare ogni modo di vedere europeo. Non dobbiamo pensare né ad un Dio personale, né ad una legge morale; dobbiamo fare astrazione di ogni spirito di rispetto e moralità, di ogni cosa che si chiami sentimento, se vogliamo sondare la sua natura…non possiamo trovare nulla, nel suo carattere, che si accordi con l’umano”? Esse sono dovute al filosofo Hegel, e si possono trovare in ogni buona biblioteca (probabilmente anche in URSS, con il tempo): Georg W.F. Hegel: La ragione nella Storia. Introduzione alla filosofia della storia, nuova traduzione, introduzione e note di Kostas Papaioannou, Paris, ed.10/18, 1965, p. 234 e 251.

[4] « La storia nascosta delle “caricature di Maometto” », di Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 13 febbraio 2007.

[5] http://www.acrimed.org/article2596.html

[6] « Vendere lo “choc da civilizzazione” a sinistra », di Cédric Housez, Réseau Voltaire, 30 agosto 2005.

[7] Jacques Julliard, Questo fascismo che ritorna, Paris, Seuil, 1991.

[8] «Vertice storico per suggellare l’alleanza dei guerrieri di Dio» e « Può esserci un Ministro non ebreo in Israele?», Réseau Voltaire, 17 ottobre 2003 e 12 gennaio 2007.

[9] « Il CUFI : 50 milioni di evangelici a sostegno di Israele », di Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 14 agosto 2006.

[10] Ricordiamo qui la posizione di Réseau Voltaire a questo proposito. L’associazione si è pronunciata per un’abrogazione della legge Gayssot ed un ritorno al diritto comune: alcuni testi negazionisti si discostano dalla libera critica storica, altri mirano ad insultare le vittime o le loro famiglie e si discostando dal generale diritto di cronaca.

[11] Jacques Julliard, Questo fascismo che ritorna, Paris, Seuil, 1991.

[12] Vedere per esempio: The Mossadegh Project : http://www.mohammadmossadegh.com/ne…, così come il blog di Juan Cole « Informed Comment » : http://www.juancole.com/2006/05/hit…). Per un’analisi politica, si veda : Diana Johnstone, Chirac paralizzato sull’ l’Iran, su http://www.michelcollon.info/articl… ed anche « Come Reuters ha partecipato ad una campagna di propaganda contro l’Iran », Réseau Voltaire, 14 novembre 2005

[13] Ho criticato nel dettaglio tale strumentalizzazione dei diritti umani in Imperialismo umanitario, Aden, Bruxelles, 2005. Vedi « Difesa del Diritto Internazionale », di Jean Bricmont, Réseau Voltaire, 11 gennaio 2006.

14] Choc da civilizzazione : la vecchia storia del “ nuovo totalitarismo “, di Cédric Housez, Réseau Voltaire, 19 settembre 2006.

Silvia Cattori intervista Jean Bricmont
Fonte: http://www.voltairenet.org
Link: http://www.voltairenet.org/article147252.html
16.03.2007

Traduzione per www.comedonchisciotte.org di GIORGIA

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