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La Redazione

 

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LA GUERRA ECONOMICA DELL’AMMINISTRAZIONE BUSH CONTRO L’IRAN

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A cura di Truman
Il 11 Marzo 2007
195 Views
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DI PETER SYMONDS
World Socialist Web

Mentre gli Stati Uniti continuano a rinforzare la loro flotta nel golfo Persico, l’amministrazione Bush ha già intrapreso la guerra economica contro l’Iran, allo scopo di mettere in ginocchio il paese. L’aspetto più noto di questa campagna è il tentativo da parte del Dipartimento del Tesoro americano e di altri enti governativi statunitensi di forzare i governi, le principali banche, le imprese petrolifere e altri settori economici in Europa ed Asia a mettere fine ai loro investimenti, prestiti e accordi finanziari con Teheran.

Le esigenze degli Stati Uniti vanno molto più lontano delle sanzioni limitate imposte dal Consiglio di sicurezza dell’ONU lo scorso dicembre in risposta al programma di sviluppo nucleare dell’Iran. Gli Stati Uniti vogliono rompere i rapporti economici che l’Iran ha stabilito da almeno una decina d’anni con Europa e Asia. La campagna dell’amministrazione Bush mostra chiaramente che l’obiettivo principale del confronto con Teheran è il ristabilimento del dominio americano su questo paese ricco di petrolio e questo a spese dei suoi rivali. Le affermazioni americane secondo le quali l’Iran fabbricherebbe armi nucleari e si intrometterebbe nell’Iraq occupato dagli Stati Uniti non sono che dei comodi pretesti.
Washington ha già affermato che farà pressione per inasprire le sanzioni quando il caso dell’Iran sarà nuovamente studiato dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU il 21 febbraio. Durante questo tempo, i responsabili americani sfruttano sia la minaccia di una guerra imminente che le leggi americane, che prevedono sanzioni legali contro società americane o straniere che investono nelle riserve energetiche iraniane, allo scopo di costringere le banche e le società europee a mettere fine alle loro relazioni con l’Iran.

Verso la fine di gennaio, gli Stati Uniti hanno concentrato i loro sforzi per bloccare i tentativi dell’Iran di attrarre capitali di cui ha disperatamente bisogno per migliorare e ingrandire le sue infrastrutture di petrolio e gas. Un alto dirigente di una società europea ha detto al Washington Post che un responsabile del Dipartimento di Stato statunitense l’aveva chiaramente avvertito che l’Iran era “caldo e lo sarebbe diventato ancora di più“. Un altro dirigente ha detto che “l’amministrazione statunitense esercita tutta la pressione di cui è capace sulle società straniere, non risparmia i propri sforzi affinché comprendano che sarebbe un errore continuare a fare affari con l’Iran“.

Non è una sorpresa vedere che le minacce e la brutalità di Washington suscitano risentimento negli ambienti affaristici e governativi d’Europa. Un consulente europeo del settore petrolifero ha dichiarato all’Associated Press: “tutte le società petrolifere vi diranno che ricevono regolarmente viste dalle ambasciate statunitensi nei loro paesi… Nessuno in Europa lascia passare l’occasione di fare degli affari con l’Iran semplicemente per far piacere agli americani”.

Il fatto di bersagliare le società petrolifere aveva per scopo quello di minare un incontro che si è tenuto ad inizio febbraio a Vienna e che era organizzato dalla Società Petrolifera Nazionale Iraniana (NIOC, National Iranian Oil Co) desiderosa di proporre dei nuovi stock di petrolio agli investitori stranieri. Malgrado le minacce americane, erano presenti più di 200 rappresentanti di almeno 50 compagnie petrolifere internazionali. Solo una settimana prima, la Shell il gigante anglo-olandese dell’energia, aveva ignorato le pressioni americane e aveva firmato un contratto multi-miliardario con l’Iran per sviluppare un progetto di gas naturale liquefatto (LNG) nel giacimento di South Pars.

L’amministrazione Bush non ha alcuna intenzione di mollare. Prendendo la parola il 7 febbraio a Monaco, l’ambasciatore americano presso l’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica (AIEA), Gregory Shulte, ha dichiarato: “Sarò franco: dal punto di vista degli Stati Uniti, il Consiglio di sicurezza ha preso troppo tempo e ha fatto troppo poco. I paesi europei possono fare di più e devono fare di più“.

Shulte ha specificatamente additato i prestiti governativi rivolti a facilitare il commercio: “perché per esempio i paesi europei utilizzano dei crediti di esportazione per sovvenzionare le esportazioni verso l’Iran? Perché per esempio i governi europei non prendono a priori delle misure per scoraggiare gli investimenti e le transazioni finanziarie?“. Secondo gli Stati Uniti i governi europei hanno fornito all’Iran 18 miliardi di garanzia di prestiti nel 2005: 6,2 miliardi di dollari dall’Italia, 5,4 miliardi di dollari dalla Germania, 1,4 miliardi di dollari dalla Francia e 1 miliardo di dollari dalla Spagna e dall’Austria. Gli Stati Uniti fanno anche pressione sulle grandi banche internazionali affinché taglino i ponti con l’Iran.

Il prestito di crediti commerciali dai governi è una pratica internazionale molto diffusa. Non è illegale e non contravviene alle clausole delle sanzioni americane contro l’Iran. La determinazione di Washington di impedire le relazioni economiche con Teheran è rivolta tanto ai suoi rivali che all’Iran stesso. Nel corso dell’ultimo decennio, l’Unione Europea (UE) è diventata il più importante partenariato commerciale dell’Iran nella vendita dei macchinari, di equipaggiamento industriale e altri prodotti in cambio di riserve energetiche. Gli Stati Uniti in compenso non fanno quasi parte del commercio con l’Iran, avendo praticamente mantenuto un blocco economico sul paese dopo che lo scià Raza Pahlavi, vicino alleato degli Stati Uniti, è stato battuto nel 1979.

Il governo e le imprese dell’Europa non sono le sole a essere prese di mira. La Cina si vede minacciata di rappresaglie da parte degli Stati Uniti a causa dei suoi accordi commerciali con l’Iran. Il più importante produttore di petrolio offshore dell’Iran e della Cina, CNOOC, ha annunciato a dicembre un accordo preliminare valutato in 16 miliardi di dollari per sviluppare il giacimento gassifero offshore iraniano del North Pars. Una commissione del Congresso americano ha già indagato su quest’accordo per determinare se è possibile imporre sanzioni economiche al CNOOC in virtù della legge sulle sanzioni contro l’Iran (Iran Sanctions Act), recentemente rinnovata.

L’India è stato minacciata con la stessa legge, che fornisce agli Stati Uniti il diritto di sanzionare la compagnia straniera che investe più di 40 milioni di dollari nel settore energetico in Iran. L’ambasciatore americano in India, David Mulford, ha annunciato in modo incisivo di avere informato il ministro egli esteri indiano, Pranab Mukherjee, di questa legge prima del suo viaggio in Iran. L’India partecipa ad un importante progetto di gasdotti da 7 miliardi di dollari, che parte dall’Iran e attraversa il Pakistan, progetto al quale gli Stati Uniti si sono opposti.

L’amministrazione Bush ha anche fatto pressione sulla Russia perché cessi la costruzione dello stabilimento nucleare iraniano di Bushehr, che è praticamente completato. Dopo la chiusura del contratto da un miliardo di dollari la Russia potrebbe ottenere altri importanti contratti, perché Teheran prevede di costruire reattori nucleari addizionali. Washington ha anche severamente criticato la vendita di armi russe all’Iran, compreso il suo acquisto recente di sofisticati sistemi di missili anti-aereo.

Il prezzo del petrolio come arma

Il mese scorso, in un commento sul Times di Londra, intitolato: “una nuova strategia americana per l’Iran emerge da Davos“, l’offensiva economica dell’amministrazione Bush è stata paragonata ad un “movimento di tenaglie economiche consistenti in una diplomazia finanziaria da un lato e in una politica energetica dall’altro“.

La prima metà della tenaglia è volta ad isolare l’Iran dalla finanza e dal commercio internazionali. L’Iran è il quarto produttore mondiale di petrolio, ma ha disperatamente bisogno di investimenti per modernizzare e sviluppare le sue infrastrutture. Secondo quest’articolo, la seconda metà consiste nel fare abbassare volontariamente il prezzo mondiale del petrolio al fine di minare i ricavi iraniani provenienti dall’esportazioni petrolifere. Il principale alleato dell’amministrazione Bush in questo tentativo di far abbassare il prezzo del petrolio è l’Arabia Saudita, che considera l’Iran come il suo più grande rivale regionale e che, come produttore mondiale più importante, è in via di aumentare la sua produzione per mantenere bassi i prezzi.

L’articolo del Times spiega: “L’economia dell’Iran dipende interamente dalle vendite del petrolio, che rappresentano il 90 % delle esportazioni e approssimativamente la stessa percentuale del budget governativo. Dopo il luglio scorso, il prezzo al barile del petrolio è sceso da 78 dollari ad un prezzo leggermente superiore ai 50 dollari, riducendo di un terzo i ricavi del governo. Se il prezzo del petrolio si abbassasse a raggiungere un importo compreso tra 35 e 40 dollari, l’Iran si troverebbe in deficit, e dato che l’accesso al mercato dei prestiti stranieri è bloccato dalle sanzioni dell’ONU, la capacità del governo di continuare a finanziare i suoi mandatari stranieri si esaurirebbe rapidamente.
L’Iran ha reagito a questa minaccia domandando all’OPEC di stabilire il prezzo, ma in pratica, un solo paese ha sufficiente influenza per farlo ed è l’Arabia Saudita. “

“All’inizio del mese, in una dichiarazione molto significativa, Ali al-Naimi, ministro saudita del petrolio, si è pubblicamente opposto all’appello iraniano per una riduzione della produzione allo scopo di frenare la caduta dei prezzi. Il discorso del signor Naimi era presentato come una questione tecnica senza rapporti con la politica, ma sembra confermare gli avvertimenti privati del re Abdullah che il suo paese tenterà di tutto per controbattere l’egemonia iraniana dappertutto nella regione, sia a mezzo di un intervento militare o con l’intervento più sottile dei mezzi economici“.

Il costo della produzione iraniana da 15 a 18 dollari al barile è molto più elevata dei 2-3 dollari al barile dell’Arabia Saudita, per cui il ribasso del prezzo per barile colpisce molto più Teheran che Riyad. L’Arabia Saudita ha naturalmente negato qualsiasi motivo politico dietro il suo rifiuto di ridurre la produzione e di aumentare il prezzo del petrolio. Il Times, tuttavia, non è il solo a speculare su una strategia deliberata dagli Stati Uniti e dall’Arabia Saudita volta a minare l’economia iraniana.

Commentando la caduta del prezzo del petrolio, il New York Times notava il mese scorso che motivazioni tutt’altro che commerciali “sembrano essere state messe all’opera, compreso il desiderio dei Sauditi di reprimere le ambizioni dell’Iran nella regione. Quale influenza hanno esercitato gli Stati Uniti? Questo resta una questione che rimane senza risposta. Il vice presidente Dick Cheney ha incontrato il re Abdullah dell’Arabia Saudita a Riyad a novembre, ma il suo ufficio rifiuta di dire se il petrolio è stato oggetto di discussione. La Casa Bianca sostiene la politica energetica dell’Arabia Saudita e il Presidente Bush e suo padre sono vicini al Principe Bandar bib Sultan, il ministro Saudita della Sicurezza nazionale e anziano ambasciatore a Washington“.

Un consigliere saudita per la sicurezza, di base negli Stati Uniti, Nawaf Obaid, che come Bandar bin Sultan, difende una politica saudita più aggressiva per bloccare l’influenza iraniana, ha apertamente lanciato l’idea, in un articolo sul Washington Post di novembre, di utilizzare il petrolio come arma economica: “Se l’Arabia Saudita aumentasse la sua produzione e diminuisse della metà il prezzo del petrolio, il reame potrebbe ancora finanziare le sue spese correnti. Ma questo sarebbe devastante per l’Iran che fa fronte alle sue difficoltà economiche anche con i prezzi elevati di oggi“.

Non si sa in quale misura un tale progetto è attualmente messo in opera. Ma ciò che è innegabile è che l’amministrazione Bush porta avanti un’offensiva economica contro l’Iran allo scopo di minare la sua economia e di indebolire il governo mentre gli Stati Uniti preparano un’aggressione militare. Gli obiettivi più larghi della strategia economica e militare sono gli stessi: stabilire un dominio militare statunitense sull’Iran e sulle sue riserve di energia, cosa che rappresenta un elemento del piano d’egemonia americana su tutto il Medio-Oriente e l’Asia Centrale.

Peter Symonds
Fonte: http://www.wsws.org
Link: http://www.wsws.org/articles/2007/feb2007/iran-f12.shtml
12.02.2007

Traduzione per www.comedonchisciotte.org di SAVERIA BRAMANTI

VEDI ANCHE: IL PIANO PER LO STRANGOLAMENTO ECONOMICO DELL’IRAN

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