LA GUERRA DELL' ITALIA CONTRO LA LIBIA FA PRESAGIRE…

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LA SCONFITTA DELL’AMERICA IN IRAQ

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DI DENNIS RAHKONEN

È un follia a malapena credibile e di proporzioni sconcertanti:

la nazione cristiana più potente al mondo invia le sue forze militari quasi
all’altro capo del mondo ad aggredire illegalmente senza essere stata
assolutamente provocata e senza una valida ragione per farlo – uno stato
devotamente musulmano con una storia dolorosa di soggiogazione coloniale alle
spalle.
I leader del paese invasore mendacemente professano di essere impegnati a
liberare una gente vittimizzata dal “male” quando, a dire la verità, nessun
soldato avrebbe mai lasciato casa non fosse stato per l’abbondante petrolio a
disposizione, che è il motivo nascosto che sta dietro all’assalto cinico e
massicciamente distruttivo.
Mentre l’attacco e la risultante occupazione si fanno più brutali, con
l’intensificazione degli incidenti civili più la diffusa distruzione di moschee
islamiche e di altri luoghi santi, gli invasori abbracciano la loro stessa
propaganda.Aggrappandosi a miti ridicoli e ad assurde bugie, si domandano perché i
pretesi “bravi ragazzi” – non sono stati accolti favorevolmente con giubilo,
baci e fiori. Come si spiegano le bombe ai bordi delle strade, i lancia granate
e l’odio ribollente che pervade un’intera popolazione?

Nella terra di casa dell’aggressore, gli architetti di una guerra completamente
gratuita e orribilmente sanguinosa generata dalla loro stessa abissale
ingordigia e da un generale fallimento morale, dicono di come “non avessero
previsto” un’insurrezione capace di resistere in maniera tanto feroce.

Quindi si rivelano ai posteri per essere fra i più grandi stupidi che mai furono
capaci di fraintendere la realtà oggettiva!

Tuttavia non è che tali debacle come la crociata di George Bush contro l’Iraq
non si siano presentate prima.

Infatti, la ragione per la quale nessun impero è sopravvissuto al trascorrere
del tempo è attribuibile ai colonialisti che tentano similmente di contorcere
la storia in forme che la stessa alla fine finisce per non accettare.

Uno dei paralleli più istruttivi è virtualmente sconosciuto agli Americani, il
che è un peccato, dato che avremmo potuto risparmiarci la nostra debacle
attuale se avessimo studiato l’esempio Italiano / Libico dei primi anni del
secolo scorso.

Nel 1911, l’Italia invase la Libia in conseguenza della sua ambizione imperiale
per una “Nuova Roma” che, particolarmente dopo che Benito Mussolini aveva
assunto il potere nel 1922, avrebbe modellato i disegni Italiani in politica
estera fino alla loro benvenuta obliterazione nella Seconda Guerra Mondiale.

Dopo aver inizialmente occupato Tripoli e Benghazi, la forza di spedizione
Italiana arrivò a prevedere una rapida vittoria. Invece dovette confrontarsi
con la risoluta resistenza da parte di inesorabili patrioti nazionali e di
fedeli religiosi guidati da un eroe improbabile, l’anziano sceicco Omar al
Mukhtar.

Di fronte ad attacchi che erano costanti tanto quanto quelli attualmente in
corso contro le truppe degli Stati Uniti a Baghdad e dintorni, Mussolini
temette che il suo ambizioso obiettivo di elevare l’Italia al ruolo di potenza
coloniale alla pari con Gran Bretagna e Francia, sarebbe crollato.

Innumerevoli villaggi vennero distrutti, i loro pozzi vitali riempiti di
cemento, i campi agricoli distrutti e migliaia di Libici furono spediti in
campi di concentramento di massa che sarebbero poi divenuti pochi anni dopo il
modello per i campi dei Nazisti Tedeschi.

Centinaia di migliaia di Libici perirono durante la guerra, che non sarebbe
stata vinta dagli Italiani anche se in maniera illusoria fino al 1931, quando
Mukhtar venne infine catturato e impiccato. Il dittatore Mussolini,
naturalmente, finì per patire allo fine lo stesso destino, linciato dai suoi
stessi cittadini.

La resistenza Libica era decisivamente seminale a parecchi livelli. Fu una delle
prime manifestazioni vittoriose di guerra rivoluzionaria del popolo, che ispirò
successive vittorie un pò dappertutto, dal Kenia, alla vicina Algeria fino al
Vietnam. Inoltre contrassegnò la prima apparizione moderna sul palcoscenico
mondiale dei Mujahideen musulmani nella veste di guerrieri.

Nel 1980, un film da 34 milioni di dollari, The Lion of the Desert‚, portò
questa storia importante ad un pubblico occidentale e globale. Anche se adesso
viene riconosciuto come una grande epica che rivela una verità ancora più
grande, e nonostante da allora sia divenuto quello che è definito un classico,
alla sua uscita il film andò a picco al box office.

Nonostante avesse nel cast attori tanto conosciuti come Rod Steiger e Anthony
Quinn, il film raccontava un soggetto troppo oscuro e in termini troppo
radicali per guadagnare il favore di un pubblico all’inizio dell’era
conservatrice di Reagan, quando quello che tirava il box office erano film come
Star Wars.

Diretto in maniera superba dal regista di origini Siriane Moustapha Akkad, è una
bruciante esposizione sul perché la guerra di Mussolini fu destinata al
fallimento e, per estrapolazione, perché tutti gli sforzi similari alla
“Shock and Awe” da parte del Primo Mondo di imporre la propria volontà
imperiale al Terzo Mondo sono destinati a finire in catastrofe.

Molto di più persino delle scene strazianti di Mogadiscio in Blackhawk Down
The Lion of the DesertLa tenace ferocia dell’insurrezione Irachena — e il supporto popolare di cui
gode fra la gente Irachena non è una misteriosa sorpresa. E non c‚è nulla di
poco chiaro su quello che sarà il risultato della guerra.

Se dovessimo fallire di rinvenire prima di allora, noi Americani alla fine
saremo cacciati fuori nel bel mezzo di un colossale imbarazzo che farà sembrare
la nostra affrettata ritirata con gli elicotteri da Saigon nel 1975 come poco
più di una recita scolastica. The Lion of the Desert‚
si conclude con una delle più potenti scene mai
filmate.

Quando tutta la forza militare omicida dell’Italia fascista è stata liberata in
un orgia di massacri indiscriminati e quando gli ultimi dei ribelli anziani
sono stati uccisi (assieme ad un gran numero di donne e di bambini interamente
innocenti), un giovane ragazzo emerge dal fumo e dal fuoco.

Afferra il fucile di un insorgente caduto, a simbolizzare che la lotta della
gente non si arresta fino a quando la vera sovranità e l’auto-determinazione
sono finalmente raggiunte.

La vittoria può essere rinviata per decenni, persino generazioni, ma non può
essere permanentemente tenuta in sospensione.

È quella lezione storica di base che l’America è condannata ad imparare, molta
della quale a suo danno, il più terribilmente doloroso.

Non ci può essere altra conseguenza quando le voci d’avvertimento di pace e
giustizia vengono così testardamente e persistentemente ignorate.

Dennis Rahkonen
da Superior, Wisconsin USA, scrive commentario progressista e
versi per numerose pubblicazioni fin dagli anni 60. Può essere raggiunto
all‚indirizzo di posta elettronica: [email protected].
Fonte:www.dissentvoice.org
9.01.05

Tradotto da Melektro per www.peacelink.it
L’articolo sarà presente nei prossimi giorni anche su www.peacelink.it

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