DI PEPE ESCOBAR
atimes.com
L’appariscente divinità del calcio Diego Maradona ha promesso che se l’Argentina, di cui è allenatore, vincesse i Mondiali in Sud Africa, iniziati venerdì 11 giugno, sfilerà nudo intorno all’Obelisco del centro di Buenos Aires. Uno speciale strip-tease come questo di sicuro divertirà un’esausta “comunità internazionale” che ha a che fare con le solite sanzioni dell’Iran, il ronzio dell’AfPak [Afghanistan e Pakistan, ndt] le piroette di Israele, il battibecco della Corea, la recessione dell’Europa e le dispersioni della BP.
Prima di tutto, chiariamo una cosa. Qui si parla del “calcio” inventato dagli inglesi (anche se i cinesi – e chi altro? – davano già calci ad una palla 5.000 anni fa). Ed è questo calcio che viene consumato in tutto il mondo come ultimo oppio dei popoli. Il grande storico inglese Eric Hobsbawn ha notato come il calcio esponga il conflitto essenziale della gobalizzazione: la complicatissima relazione tra il più alto mercantilismo ed il profondo attaccamento emotivo fintanto che ogni fan dello sport è coinvolto.
Il conflitto è anche sul considerare i fan che oggi seguono le partite sul campo come semplici extra in ciò che ogni Coppa del Mondo è in realtà: un megaspeciale televisivo di un mese che ha per protagonisti i corrispettivi calcistici delle superstar di Hollywood. Il calcio è la più grande industria d’intrattenimento del mondo – ed anche una calamita per il riciclaggio di denaro.
Quanto vale il giocatore dell’anno, l’argentino Lionel Messi? 150 milioni, 200 milioni, 300 milioni di dollari? Ci sono altri giocatori famosi in tutto il mondo – il portoghese Cristiano Ronaldo, Didier Drogba dalla Costa d’Avorio, l’inglese Wayne Rooney (e poi ci sono i tanto dispiaciuti assenti come il brasiliano Ronaldinho – non convocato – e l’infortunato capitano della Germania Michel Ballack).
Ovunque in questo tentacolare mondo in via di sviluppo, ed in tutta l’Europa, il calcio è lo sport più globalizzato, in quanto nell’inconscio collettivo ha in qualche modo spezzato il modello della cultura di massa di stampo americano – Hollywood, musica pop, soap operas. Il solo potere americano non poteva soddisfare le fantasie dei supremi riti di massa – il gioco fine a sè stesso, il gioco come metafora della vita stessa, il gioco come guerra. Nel calcio, il Consiglio Generale dell’ONU – con potere di veto – è di fatto rappresentato dal Brasile, l’Italia, l’Argentina, la Germania ed un attivo gruppetto che si contende il quinto posto, dall’Inghilterra e l’Olanda alla Spagna e la Costa d’Avorio.
Il calico permette alla componente ludica dell’identità nazionale di essere misericordiosamente ricostruita – una guerra con altri mezzi (di gioco). Ascoltate il suono di un milione di vuvuzela – strumento sudafricano simile ad una lunga tromba che sarà un sottofondo estremamente udibile durante le partite; i giochi di guerra ora danno il nome ai giochi in Sud Africa. Ma in qualche modo resta una sensazione assillante – come se alla fine il dannato vincitore sia sempre lo stesso.
Tu giochi, noi incassiamo
Come disse una volta l’eminente scrittore uruguaiano – e fanatico del calcio –Eduardo Galeano, “la FIFA è il FMI del calcio”. In maniera molto simile al Fondo Monetario Internazionale, la Federazione Internazionale delle Associazioni Calcistiche è oscenamente ricca, estremamente potente e gestisce una sorta di club iper-esclusivo.
La FIFA fu fondata nel 1904. Solo 310 persone lavorano nel quartier generale di Zurigo. E all’incirca solamente 1.000 lavorano nei 208 barcollanti paesi membri (“solo” 192 nazioni sono membri dell’ONU, che impiega più di 40.000 persone). I 24 membri della Commissione della FIFA – pagati circa 50.000 dollari al mese – trascorrono il loro tempo prezioso viaggiando in tutto il mondo per fare accordi con società e stati-nazione. Come per il FMI, il ricambio è minimo. La maggior parte dei membri della FIFA hanno mantenuto i loro posti di lavoro per più di 15 anni.
La FIFA è responsabile della commercializzazione di ogni singolo prodotto relativo al calcio professionale, sponsorizzazione e diritti TV. È l’epicentro di un mercato da 250 milardi di dollari. Nel 2009, ha fatturato 1 miliardo di dollari. Solo con i Mondiali in Sud Africa, ha incassato 3.8 miliardi.
Icona del capitalismo selvaggio, la FIFA non perde mai denaro. È pienamente assicurata. Per questa Coppa del Mondo e per la prossima nel 2014 in Brasile, che ammonta a 650 milioni di dollari. Come per i governi nazionali, gli accordi non sono così dolci. Il governo sudafricano ha pianificato di spendere 450 milioni di dollari per i Mondiali. I costi sono cresciuti come funghi almeno fino a 6 milioni – e continuano a crescere. Ciò include la costruzione di cinque nuovi stadi e la restaurazione di altri cinque. È previsto che Durban si trasformi in un punto di riferimento nello stile del museo Guggenheim di Bilbao.
Tuttavia, il tanto vantato treno ad altà velocità da Pretoria a Johannesburg è in ritardo – è stata solo aperta una distesa tra l’aeroporto di Johannesburg ed il lussuoso quartiere di Sandton, il più ricco (a maggioranza bianca) miglio quadrato africano, dove i 200 e rotti delegati della FIFA soggiorneranno e dove il suo presidente, super-burocrate Sepp Blatter dormirà, presso le false Torri di Michelangelo, protetto da cinque guardie del corpo e con accesso al disneyano bagno privato ed al mini-bar personalizzato fornito con il miglior chardonnay sudafricano e cubetti di ghiaccio della Evian.
Qualsiasi paese che voglia organizzare una Coppa del Mondo deve praticamente arrendersi alle regole della FIFA – compresi i cambiamenti nella legislazione nazionale. Quattro anni fa, il parlamento sudafricano ha attribuito ai Mondiali lo status di “evento protetto” regolato da leggi specifiche. Il paese organizzatore deve cedere alla FIFA i diritti per ogni cosa, dalla pubblicità ed il marketing fino al controllo del perimetro intorno agli stadi (la FIFA è di fatto uno stato sovrano attorno ad ogni stadio sudafricano). Come il FMI, la FIFA non è un ente umanitario. Per le aziende associate, il ruolo della FIFA è di aprire i mercati – in questo caso l’Africa. Ecco un esempio di come funziona realmente.
Lo stadio di Athlone, periferia povera a maggioranza nera di Città del Capo, avrebbe potuto fornire molti posti di lavoro necessari nella zona e fungere da catalizzatore per un processo di pavimentazione stradale, costruzione di nuove abitazioni e miglioramento del trasporto pubblico. Invece, la FIFA ha preferito lo stadio di Green Point, costruito tra il mare ed il monte Table, la cartolina preferita di Città del Capo, a cinque minuti da un lussuoso centro commerciale e vicino ad un campo da golf – e finanziato con fondi pubblici.
Un ispettore della FIFA ha dichiarato al quotidiano sudafricano Mail and Guardian che milliardi di telespettatori non vogliono vedere “povertà e baraccopoli” in TV. Come se la Coppa del Mondo non si svolgesse in un paese con quasi il 40% di disoccupazione e metà della popolazione che vive con meno di un dollaro al giorno. Per lo meno, il settimanale tedesco Der Spiegel ha messo un pò in chiaro le cose, pubblicando uno speciale che paragona la sete europea per i giovani calciatori sudafricani ad una nuova tratta di schiavi.
Una serie di studi accademici concordano sul fatto che per un paese che ospita i Mondiali è più ragionevole costruire le infrastrutture di cui ha bisogno piuttosto che spendere una fortuna su un evento che alla fine giova solo agli organizzatori ed agli sponsor. I prodotti in licenza disponibili nel paese durante la Coppa del Mondo sono tutti made in China. Quando l’11 luglio sarà tutto finito, non meno di 150.000 lavoratori sudafricani diventeranno disoccupati.
L’identità di dio
Tuttavia gran parte del mondo non si rende conto di tutte queste distorsioni; l’aspetto sfarzoso del calcio come mondo dello spettacolo è troppo seducente. In più, si tratta ancora di strati e strati di intrighi bizantini che alimentano la “guerra” – una guerra con comandanti e soldati decorati, dal “Roneey asiatico” Jong Tae-se, uno dei pochi nordcoreani che ha davvero fatto sorridere il caro leader Kim Jong-il, fino all’ex avventura di Paris Hilton e ragazzo-copertina di Vanity Fair Cristiano Ronaldo (“Non gioco da solo e non faccio miracoli”).
Ci sono poi gli eterni perdenti della Spagna, che sperano sempre sia giunto il loro momento – anche se l’attuale numero due nella classifica della FIFA ha una tale riserva di talenti che potrebbe effettivamente fare fuori il Brasile. C’è poi il catenaccio degli irriducibili italiani, detentori del titolo, che non possono essere esclusi come i grandi maestri di sempre che arrivano alle spalle.
Gli Stati Uniti potrebbero sorprendere con un gioco ultra-efficace e senza fronzoli – Bob Bradley è un allenatore astuto – ma sperare in una loro vincita è un pò esagerato. L’allenatore brasiliano Dunga – grossolano, lunatico, arrogante, ex-difensore centrocampista che preferisce mediocri cavalli da battaglia a geni creativi – è stato respinto da legioni di brasiliani che preferirebbero perdere con stile giocando un jogo bonito (“un bel gioco”). Oggi, un jogo bonito è più propabile per l’Olanda con Arjen Robben (se la sua spalla infortunata non gli impedirà di giocare), Wesley Sneijder e Robin van Persie in attacco. E finchè un jogo bonito va avanti, la maggior parte del mondo vorrebbe vedere una squadra africana metterci l’anima per raggiunere almeno le semifinali.
Poi c’è l’argentino Messi – che Diego “El Pibe” Maradona ha descritto come l’uomo che “palleggia con Gesù”. E poi Maradona stesso – il più grande, il più pantagruelico genio del calcio di tutti i tempi, l’ex colosso cocainomane, celebre ballerino ed ora allenatore dell’Argentina, che sta sbattendo la testa su come e dove disporre sei fantastici attaccanti che hanno realizzato in tutto 133 goal di campionato in questa stagione.
A parte le località sudafricane, è difficile trovare un posto più adatto nel mondo per seguire i Mondiali dei ruggenti bar di Buenos Aires, dove legioni di fanatici discuteranno fisicamente e metafisicamente di fonte agli schermi piatti su chi è davvero dio – se la vecchia incarnazione (Maradona) o la nuova (Messi). Sanzioni dell’Iran? Quali sanzioni? Passa il Malbec e attento agli infarti.
Pepe Escobar è l’autore di “Globalisation: How the Globalized World is Dissolving into Liquid War” [“Globalistan: Come il Mondo globalizzato si Dissolve nella Guerra liquida”, ndt] e di “Red Zone Blues: a snapshot of Baghdad during the surge” [Blues della Zona Rossa: un frammento di Baghdad durante il Surge”, ndt]. Il suo nuovo libro, appena pubblicato, è “Obama does Globalistan” [“Obama fa il Globalistan”, ndt].
È possible contattarlo tramite email: [email protected]
Fonte: www.atimes.com
Link: http://www.atimes.com/atimes/Global_Economy/LF12Dj02.html
11.06.2010
Traduizione per www.comedonchisciotte.org a cura di ROBERTA PAPALEO