DI PIERFRANCO PELLIZZETTI
ilfattoquotidiano.it
Eugenio Scalfari, il guru dell’establishment presunto progressista che iniziò la carriera professionale in Banca Nazionale del Lavoro, nella sua articolessa domenicale pontifica che il governo Monti «non ha alternative in questa legislatura». E probabilmente ciò è vero. Semmai è molto più difficile condividere il commento aggiuntivo: «Non ha neppure alternative per il futuro».
Al di là delle antiche “solidarietà bancarie” (magari con Corrado Passera) di chi emette tale sentenza, quanto ci attizza l’ipotesi della permanenza alla guida del Paese di una compagine intimamente convinta – come lo Scalfari, del resto – che i nostri mali discendono primariamente dalla crisi finanziaria ed economica causata dall’eccesso di garanzie (lavoro a tempo indeterminato, pensioni, sicurezza, accesso all’istruzione…)? Ma questo è quanto ci passa il convento della Grande Informazione autocertificatasi “liberal-socialista”. E se – invece – la matrice fosse culturale?
A tale proposito consiglio ai miei amici di dare un’occhiata a due testi che vado leggendo in parallelo; opere di grandi intellettuali, non di guru da establishment italiota: il saggio della filosofa morale Martha Nussbaum Non per profitto (Il Mulino) e la raccolta di interventi dello storico Tony Judt, recentemente scomparso, L’età dell’oblio (Laterza).
Due testi che riprendono sotto diverse angolature un tema che già ho trattato in questo blog: la guerra civile, seppure non dichiarata, degli abbienti contro i poveri. Una guerra che utilizza innanzi tutto armi provenienti dagli arsenali bellici dei modelli di rappresentazione. Il «mantra»– come lo chiama Judt – «delle forze del mercato globale» che imporrebbero l’esclusività delle proprie ragioni economicistiche quale critica distruttiva di ogni politica sociale europea.
«Altrimenti i posti di lavoro e gli investimenti lasceranno il viziato ed eccessivamente caro continente europeo in cerca di manodopera più economica e tassi di crescita più alti, in particolare in Asia» (pag. 397). E tutto questo in barba al fatto che le “tigri asiatiche” stanno rallentando; mentre sul loro ciclo economico gravano sempre di più i costi del controllo repressivo, reso necessario dalla compressione delle condizioni di vita dei lavoratori a Oriente.
Nel caso nostro, la Grande Menzogna è che la crescita economica andrebbe a risolvere automaticamente i problemi della diseguaglianza e del dominio (il mito mistificante che più la torta è grande, più “ce n’è per tutti”). L’idea ingannevole e ingannatoria che quanto conta davvero è solo l’aumento complessivo della ricchezza individuale, tradotto in quelle odierne politiche dell’educazione denunciate dalla Nussbaum: «La libertà di pensiero dello studente è pericolosa quando ciò che si vuole è un gruppo di lavoratori obbedienti, professionalmente preparati per realizzare i progetti delle élite che puntano tutto sugli investimenti dall’estero e sullo sviluppo tecnologico» (pag. 38). Difatti il Sudafrica dell’apartheid era in cima agli indici del Pil internazionale.
I fatti parlano chiaro: nell’Unione europea che si è bevuta la Grande Menzogna, ormai oltre il 17% dei cittadini vive sotto le soglie ufficiali di povertà; e – guarda caso – dopo il Portogallo, chi sta peggio è proprio il Regno Unito finanziarizzato, con il 22% delle persone sotto tale soglia (pari a 14 milioni di inglesi).
Tra l’altro un’indicibile dissipazione, anche dal proclamato punto di vista meritocratico. Si pensi soltanto alla quantità di talenti che si perdono, a danno dell’intera società, grazie alla castalizzazione (e alla conseguente emarginazione di tanti giovani delle fasce meno abbienti) che inizia in una scuola sottomessa all’interesse mercatistico. Dove non si coltivano più quei saperi umanistici (arte e letteratura) che rafforzano le virtù del cittadino; si rimuovono le attitudini critiche a vantaggio della passività.
Dunque, la Terribile Menzogna che calpesta l’intera civiltà umana nelle sue forme più alte, i suoi preziosi lasciti maturati sotto qualunque cielo. Nonostante le denunce di grandi uomini impegnati per la democrazia mondiale.
«La preparazione punta ormai su quel tipo di cose che una macchina ben programmata riesce a fare meglio di un essere umano», scriveva John Dewey nel 1915. «L’uomo morale, l’uomo compiuto, sta sempre più cedendo il passo all’uomo mercante, l’uomo dall’orizzonte limitato», gli faceva eco due anni dopo il premio Nobel indiano Rabindranath Tagore.
Testimonianze che inducono a pensare come la “guerra civile” in corso (di cui si è detto) possa essere rappresentata anche nell’alternativa secca tra “crescita economica” e “sviluppo umano”.
Pierfranco Pellizzetti
Fonte: www.ilfattoquotidiano.it
Link: http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/12/19/la-guerra-civile-tra-ricchi-e-poveri/178509/
19.12.2011