DI TRUMAN BURBANK
Comedonchisciotte.org
Un’opera astuta, che ricostruisce l’immaginario della Dolce vita a Roma dopo la decadenza. In sostanza è un sequel.
Sembra un’opera pensata per il pubblico dei film, il quale vuole avere una sua semplice sintesi mitica di una città. La sintesi ottenuta da Sorrentino è grottesca e lascia fuori innumerevoli aspetti di Roma. E’ proprio per questo che ha successo.
Delle infinite realtà della Roma polimorfica, politeista, multirazziale di oggi (1), il film sceglie di rappresentare quella delle classi privilegiate, le persone che dovrebbero essere spensierate e si rivelano invece come un branco di falliti.
La Roma che lavora, quella che fatica a mandare avanti la famiglia e crescere i figli, tartassata dal fisco e dagli usurai, è completamente assente. Il duro lavoro quotidiano, la necessità di inventare e costruire la propria vita per dare un futuro alla famiglia, non interessa Sorrentino (o meglio non interessa il suo target di spettatore).
Ma le persone rappresentate hanno difficoltà a trovare valori nella vita perché la scelta iniziale era proprio di partire dalle persone più vuote, i ricchi. Qui è la grande mistificazione del film.
Il film ha comunque parecchi contenuti (si presta a varie letture).
C’è l’acido realismo di chi ha superato molte illusioni e si fa beffe di tutti.
C’è il contrasto ripetuto tra sacro e profano.
C’è la ricerca di qualcosa di fondamentale, e qui qualche risposta viene fornita: “le radici sono importanti”.
Sullo sfondo una Roma notturna, quasi sempre buia ma non cupa. E’ un film senile ma non disperato. Non esiste la grande bellezza, ma ci sono tante piccole bellezze.
Se “La dolce vita” aveva dei riflessi esistenzialisti, “La grande bellezza” a volte sfiora il Tao, la perenne contraddizione della vita, all’interno della quale ci può essere qualche saggezza.
Truman
Fonte: www.comedonchisciotte.org
5.3.2014
NOTA:
1) A titolo di esempio, mi risulta che a Roma c’è la moschea più grande d’Europa. E ho visto di recente anche un’incredibile pagoda cinese.