LA GERMANIA DOVREBBE SALVARE IL CLUB MED O LASCIARE INTEGRO L'EURO?

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DI AMBROSE EVANS-PRITCHARD
telegraph.co.uk

La Germania sta affrontando un enorme dilemma. O il principale pagatore europeo accetta di sottoscrivere la manovra di salvataggio a favore della Grecia e lascia cadere la sua veemente opposizione ad una Unione Europea costituita da un governo economico, una tesoreria, e un’associazione di debito, oppure l’euro comincerà a disfarsi, e con lui gli investimenti strategici della Germania del dopoguerra.

Il picco del rendimento delle obbligazioni greche a dieci anni, fino a 400 punti sopra alle obbligazioni tedesche, è stato sorprendentemente rapido – ed è stato anche un avvertimento alla Gran Bretagna di come il mercato possa colpire improvvisamente qualunque paese accetti creditori.

Si potrà discutere se Grecia, Portogallo, o Spagna siano a rischio di venire costrette ad uscire dall’euro. Ma c’è un’altra questione scomoda: se gli eventi porteranno la Germania e i suoi satelliti a ritirarsi, lasciando in eredità la carcassa legale dell’EMU [Economic and Monetary Union, ndt] al blocco del Club Med.
Questo è l’unico scenario di rottura che abbia un senso. Un’uscita della Germania permetterebbe al Club Med di mantenere contratti in euro e svalutare con minor danno possibile al mercato del debito interno. Il blocco della Germania potrebbe godere di un guadagno inatteso. Il mercato tedesco si rafforzerebbe. I costi dei prestiti precipiterebbero. Il divario dovuto alla competitività nord-sud potrebbe essere colmato con minori disagi da entrambe le parti.

Senza dubbio la Germania è felicemente piazzata nell’attuale sistema dell’EMU. Comprimendo i salari per decenni ha battuto sul tempo l’EMU. I critici chiamano ingiustamente questa manovra la “politica dell’impoverimento del vicino”. In realtà si tratta semplicemente del modo di operare della società luterana, in profondo contrasto con il comportamento della società latina – contrasto culturale che avrebbe dovuto far riflettere molto tempo fa le élite europee, lanciate a capofitto nella loro avventura.

Le ricchezze della Germania stanno inondando il sud. Nei 12 mesi precedenti allo scorso Novembre l’asse Germania-Benelux ha registrato un surplus pari a 211 miliardi di dollari, mentre la Spagna aveva un deficit di 82 miliardi, l’Italia di 74 miliardi, la Francia 57 miliardi e la Grecia 37 miliardi. L’industria tedesca non rinuncerà facilmente a questo vantaggio. Ad ogni modo, la questione sarà risolta dalla democrazia. I cittadini tedeschi hanno ottenuto una promessa dai propri leader negli anni ’90, e sanno che le perdite del mercato tedesco non porteranno ad un dissesto monetario, né li lasceranno esposti al debito del Club Med. Questo è il contratto inviolabile dell’EMU.

“Politicamente”, ha detto il presidente della Bundesbank Axel Weber, “non è possibile dire agli elettori che stanno salvando l’economia di un altro paese in modo da impedirgli dolorose misure di austerità a cui loro stessi sono stati sottoposti. Un aiuto di questo tipo, sia consapevole che – ancor peggio – non consapevole, è controproduttivo”.

Il Dott. Weber ha ragione in entrambi i casi. Da nuovi prestiti alla Grecia non può venire nulla di vantaggioso, al momento. La Grecia ha già un debito pubblico che sta precipitando verso il 138% del PIL per il 2012 (secondo la Standard & Poor’s). Si trova già in una spirale di debito. Le élite dell’Unione Europea devono ancora ammettere che la Grecia e gran parte del Club Med hanno bisogno di donazioni – non prestiti – simili a quelli concessi alla Germania dell’Est in seguito all’unificazione, o ai sussidi permanenti da parte del Nord Italia nei confronti del Mezzogiorno.

Atene ha promesso di abbattere il disavanzo di bilancio del 10% del PIL in tre anni, sebbene il paese stia scivolando sempre più a fondo verso la recessione, si veda a dover affrontare il 20% di disoccupazione entro la fine dell’anno, abbia un sistema bancario vacillante e abbia già perso il controllo delle sue strade prima che i tagli alle spese siano cominciati. Un tipo di politica come questa è economicamente auto-fallimentare – poiché rischia di trascinare il paese nella depressione e causare un collasso delle imposte fiscali – ma sarà tollerata dalla società greca?

Il governo di Papandreou ha astutamente invitato la Commissione Europea ad istituire un ispettorato vicereale ad Atene, affinché diventasse il fulcro della rabbia popolare. I media parlano di “tutela”. Ta Nea, un quotidiano ateniese, scrive di “ultimatum” e “scadenze oppressive” per i tagli sugli stipendi e sulle pensioni. “O obbediamo agli ordini di un’austerità senza precedenti e affrontiamo il rischio di un diffuso fermento sociale, oppure ci rifiutiamo di mettere in pratica gli ordini”.

Le difficoltà della Spagna sono meno immediate, ma ha perso tanta competitività durante il boom iniziale dell’EMU quanta ne ha intrappolata il tasso di interesse reale negativo. Il debito con le aziende estere è pericolosamente alto. Il disavanzo di bilancio dell’anno scorso è stato dell’11.3% del PIL. Madrid si è avvicinata ai 50 miliardi di euro di tagli per addolcire i mercati, sebbene la disoccupazione sia già al 19%. I disoccupati ricevono tipicamente tra il 50% e il 60% del loro precedente stipendio per circa 18 mesi, poi la mannaia si abbatte. I problemi sociali colpiscono con un certo ritardo. Quante ristrettezze può ancora sopportare la Spagna, prima che il separatismo catalano, basco e galiziano scuota lo stato spagnolo?

In queste circostanze, è incoerente un’austerità fiscale priva di stimoli monetari e commerciali che forniscano un’ancora di salvezza. Queste politiche sono destinate a fallire, poiché sono basate sul pio desiderio dell’Unione Europea che le nazioni con alto debito possano riconquistare la competitività all’interno dell’EMU contro una Germania a zero inflazione. Una strategia del genere li porterebbe in una spirale di debito e deflazione.

L’Europa dovrà abbracciare il “federalismo fiscale”, se serve a tenere insieme l’unione monetaria. Quello sarà il momento in cui metteremo alla prova i limiti della solidarietà dell’EMU. Gli hedge fund stanno scommettendo che Berlino pagherà per assicurare la stabilità. Non ci sono dubbi che il Cancelliere Angela Merkel sia di questo avviso, ma il Partito Liberal Democratico tedesco non lo è, e non lo è nemmeno l’Unione Cristiano-Sociale in Bavaria, o la commissione finanziaria del Bundestag. Il ministro dell’economia Rainer Bruderle ha dichiarato la scorsa settimana che “non ci sarebbero state manovre di salvataggio”, senza alcun riguardo per i rischi all’EMU. È soltanto strategia del rischio calcolato?

Gli artefici dell’EMU sono stati avvisati all’inizio degli anni ’90 del fatto che l’unione monetaria sarebbe stata irrealizzabile, per come era stata costruita. Si erano fatti beffe di questi ammonimenti, sicuri che qualunque crisi sarebbe stata sfruttata per forzare il passo dell’unione economica. Il presidente della Commissione Romano Prodi ha poi ammesso quanto segue: “l’euro ci obbligherà ad introdurre una serie di nuovi strumenti di politica economica. È politicamente impossibile ora. Ma verrà il giorno in cui ci sarà una crisi, e saranno creati nuovi strumenti”.

Impareremo presto se questa scommessa avrà successo o si dimostrerà catastroficamente sbagliata.

Ambrose Evans-Pritchard
Fonte: www.telegraph.co.uk
Link: http://www.telegraph.co.uk/finance/comment/7119986/Should-Germany-bail-out-Club-Med-or-leave-the-euro-altogether.html
31.01.2010

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ELISA NICHELLI

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