Il nuovo alleato di Bush: la Francia?
DI DAVID IGNATIUS
Ogni cinque o sei settimane un consigliere diplomatico del presidente francese chiamato Maurice Gourdault-Montagne vola a Washington per incontrare la sua controparte, il consigliere per la sicurezza nazionale Stephen Hadley. Trascorrono alcune ore a coordinare le strategie sull’Iran, la Siria, il Libano e altre zone calde, e poi il francese ritorna in patria. Tra un incontro e l’altro, i due parlano spesso al telefono, di solito il martedì e il giovedì.
Benvenuti alla French Connection. Benché il legame tra i massimi consiglieri di politica estera dei presidenti Bush e Chirac sia quasi sconosciuto al mondo esterno, è emerso come un elemento importante nella pianificazione statunitense. A livello pubblico, la Francia può ancora essere oggetto delle beffe dei politici americani, ma in questi contatti diplomatici privati l’Eliseo è diventato uno degli alleati più importanti ed efficaci della Casa Bianca.Nel corso di questa settimana ho avuto l’occasione di parlare con fonti francesi che conoscono alcuni dei dettagli riservati. È un’intrigante storia di lavori di corridoio e di missioni segrete, ma illustra un più ampio cambiamento dell’approccio americano: resa malconcia dalla guerra in Iraq, l’amministrazione sta ora lavorando duramente per condurre la propria politica estera in tandem con i suoi alleati internazionali e, ove possibile, attraverso le Nazioni Unite.
L’intermediario cruciale dell’America nella sua ricerca del consenso internazionale è stata la Francia. Forse la senatrice Hillary Clinton ha usato un’iperbole politica, lo scorso mese, accusando l’amministrazione di “esternalizzare” la sua politica con l’Iran affidandola alla Francia e ad altri paesi europei, ma non aveva completamente torto. Un’amministrazione che durante il primo mandato è stata condannata per il suo eccessivo unilateralismo ha di fatto deciso di collaborare più strettamente con i propri alleati. Contrariamente a Hillary Clinton, ritengo che si tratti di uno sviluppo positivo e capace di rendere più efficace la politica statunitense.
L’impatto della French Connection è reso chiaro da alcuni esempi. Cominciamo con un viaggio segreto di Gourdault-Montagne a Damasco nel novembre del 2003 per incontrare il presidente siriano Bashar Assad. All’epoca, le relazioni franco-americane erano ancora congelate per il rifiuto di Chirac di appoggiare l’invasione statunitense dell’Iraq, ma i francesi stavano già cercando di controllarne i danni. Gourdault-Montagne portò al presidente siriano un messaggio di Chirac e di altri due leader contrari all’intervento in Iraq, il cancelliere tedesco Gerhard Schroeder e il presidente russo Vladimir Putin.
Il messaggio consisteva in questo: la guerra ha cambiato le cose in Medio Oriente, e anche lei deve dimostrare di essere cambiato – visitando Gerusalemme o facendo qualche coraggioso gesto di pace verso Israele. I francesi probabilmente speravano di esercitare un potere diplomatico su Washington agendo come intermediario di pace, ma Assad non la intese così: “È il portavoce degli americani?” chiese a Gourdault-Montagne. Preoccupato che Francia, Germania e Russia si stessero unendo ad una campagna di pressioni statunitensi, un nervoso Assad cominciò presto a cercare di consolidare il proprio controllo sul Libano. Impose la rielezione dell’arrendevole presidente filosiriano Emile Lahoud e cominciò a mettere con le spalle al muro la nemesi della Siria, il primo ministro Rafik Hariri. Il processo culminò nell’assassinio di Hariri nel febbraio del 2005.
Gourdault-Montagne intraprese i suoi discreti viaggi a Washington nell’agosto del 2004 per coordinare gli sforzi congiunti di Francia e Stati Uniti intorno alla risoluzione 1559 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che chiedeva il ritiro della Siria dal Libano. Tutto questo avveniva nel mezzo di una campagna presidenziale, ed i francesi cercavano chiaramente di tenere il piede in due staffe. Dopo l’omicidio di Hariri, Washington e Parigi collaborarono nell’imporre alla Siria il ritiro in base alla Risoluzione 1559. Per scongiurare un intervento della milizia sciita Hezbollah, nel corso di una visita segreta a Teheran, nel febbraio del 2005, Gourdault-Montagne disse agli iraniani di consigliare a Hezbollah di far finta di nulla.
Con Siria e Iran, i francesi e gli americani hanno giocato consapevolmente a poliziotto buono-poliziotto cattivo. Gli americani esigono dall’ONU un linguaggio deciso; i francesi tirano dentro i russi e i cinesi per una versione leggermente annacquata. È un classico minuetto diplomatico, ma probabilmente ha prodotto risoluzioni più aspre ed efficaci di quelle che sarebbero emerse se ciascuna parte avesse agito per conto proprio. Un esempio di ciò è il compromesso di questa settimana – la decisione di deferire l’Iran al Consiglio di Sicurezza per le sue violazioni degli accordi nucleari, ma di dargli un altro mese per adeguarsi prima che venga emessa una raccomandazione ufficiale. Secondo i francesi è ora fondamentale mantenere la solidarietà nazionale sulla questione dell’Iran, anche a costo di un breve ritardo. Quello che è interessante è che l’amministrazione Bush sembra essere d’accordo.
Hadley e Gourdault-Montagne si assomigliano perfino un po’. Entrambi sono magri, scattanti, occhialuti – il genere di uomini per i quali è stata coniata l’espressione “buttoned down” (nel senso di “convenzionale”). Parigi e Washington sono ancora aspramente in disaccordo sulla sostanza di molte questioni, ma sembrano aver concluso che otterranno di più se collaboreranno invece di bisticciare. Questa tranquilla cooperazione ha probabilmente tratto beneficio dal fatto che il mondo pensa ancora che Francia e America siano nemiche.
David Ignatius
Washington Post, 1° febbraio 2006
Fonte originale: Washington Post
Tradotto dall’inglese in italiano da Mirumir, membro di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguistica ([email protected]). Questa traduzione è in Copyleft.
Visto su: http://mirumir.blogspot.com/
13.02.06