DI MASSIMO FINI
ilfattoquotidiano.it
Per motivi legati ai tempi di una rubrica scrivo prima che sia iniziata la quarta votazione per il Quirinale (quella che potrebbe essere la decisiva perché richiede la maggioranza assoluta e non dei due terzi), ma quando il Pd si è ufficialmente ricompattato sul nome di Romano Prodi. È la fine del grande ‘grande inciucio’ che Pier Luigi Bersani e Silvio Berlusconi avevano tentato accordandosi sul nome di un frusto e sbiadito notabile dell’antico regime come Franco Marini. E probabilmente è anche la fine di Silvio Berlusconi che nei giorni scorsi aveva arrogantemente dichiarato: “Se fanno Prodi ce ne andiamo tutti all’estero”.E che ci vada (lui, non i suoi elettori che meritano rispetto), alle Bermude, possibilmente nel Triangolo. Perché l’energumeno, con la sua violenza in doppiopetto, col dispregio di ogni forma di legalità (“delinquente naturale” lo ha definito il Tribunale di Milano che lo ha condannato a quattro anni per il truffone sui diritti televisivi di Mediaset) è stato per quasi vent’anni un macigno sulla politica e la vita del nostro Paese, togliendo, fra le altre cose, alla maggioranza degli italiani quel poco di senso dell’onestà che gli era rimasto.
Sarebbe semplicemente pazzesco che i 5Stelle non votassero Prodi per insistere su Rodotà. È vero che nelle loro ‘quirinarie’ Rodotà è arrivato terzo e Prodi nono. Ma non si può essere così meccanici. E qui viene a galla la debolezza della democrazia diretta via web, che va bene, forse, per la scelta dei parlamentari o per l’approvazione di una legge, ma è troppo astratta per una partita a scacchi così complessa come quella del Quirinale.
Del resto Grillo avrebbe già potuto risolvere la questione se invece di avanzare i nomi dell’inutile Gabanelli o dell’improbabile Strada avesse puntato fin da subito sulla terna Zagrebelsky, Caselli, Rodotà che stavano pure nella ‘decina’ scelta dagli elettori 5Stelle. Il segretario del Pd non avrebbe potuto dirgli di no perché erano candidati graditissimi dai suoi elettori. Invece ha perso due giorni dando modo a Berlusconi e Bersani di tentare l’inciucio, per fortuna fallito. Adesso per Rodotà è troppo tardi. Perché Bersani dopo aver ricevuto uno schiaffone non potrebbe accettare un candidato che, con i suoi sponsor, gli si è messo di traverso.
Del resto fra Prodi e Rodotà c’è un abisso. Rodotà, deputato ‘indipendente’ del Pci nel ’79, del Pds nel ’83 e nell’87, presidente del Pds nel ’91 -’92, è un tipico esponente della sinistra radical-chic che tanto piace a Repubblica e a Scalfari. Basta vederlo in bermuda nell’isola esclusiva di Alicudi per capire chi è Stefano Rodotà. Che ci hanno a che fare i grillini?
Prodi ha tutt’altra caratura. Ma anche se non ha 80 anni non è nemmeno lui di primo pelo. Era ministro dell’Industria già nel 1978, è stato un boiardo di Stato, due volte presidente del Consiglio. Non è certamente “il nuovo che avanza”. Ma per intanto cominciamo a far fuori Berlusconi. Poi verrà la volta anche del Pd. Alle prossime elezioni. Allora la sarà finita, una volta per tutte, con una partitocrazia che per trent’anni ha rubato, taglieggiato, come la mafia, costituendosi in una oligarchia clientelare che ha umiliato il cittadino che ha voluto conservare la propria dignità rimanendo un uomo libero.
Massimo Fini
Fonte: www.ilfattoquotidiano.it
20.04.2013