DI SERGE LATOUCHE
ilfattoquotidiano.it
Il fatto che il principale promotore dello sviluppo sostenibile si sia rivelato un serial killer è quasi troppo bello per chi, come me, da anni si batte contro questo pseudo-concetto per denunciarne l’impostura. Quando ho letto che il miliardario svizzero proprietario dell’azienda di Casale
Monferrato, Stephan Schmidheiny (nella foto), altri non era che l’eroe di “Rio ’92”, non riuscivo a crederci. Dopo tutto uno Schmidheiny vale l’altro; vale, ad esempio, suo fratello Thomas
che nella suddivisione dell’impero di famiglia ha avuto la sorte di ereditare solo il reparto cemento.
Ho dovuto consultare Internet per verificare che l’industriale condannato dal Tribunale di Torino a 16 anni di reclusione era proprio il paladino dell’ecologia industriale e della responsabilità sociale delle imprese, fondatore del World Business Council for Sustainable Development, che sul suo sito
si presenta come un filantropo.
Il mito secondo cui il concetto di “sviluppo sostenibile” sarebbe stato coniato da ecologisti in buona fede e poi snaturato dalle multinazionali avide di denaro e maestre di “greenwashing”, l’ecologismo di facciata dei furbi e da politici senza scrupoli, è un mito duro a morire. Alla fine degli anni Settanta lo “sviluppo sostenibile” fu concepito per sostituire l’espressione più anodina di “ecosviluppo”, adottata nel 1972 dalla Conferenza di Stoccolma, su pressione della lobby industriale americana e
grazie all’intervento personale di Henry Kissinger.
Lo “sviluppo sostenibile” fu lanciato come una nuova marca di detersivo e “messo in bella mostra” alla Conferenza di Rio del giugno 1992 da un altro miliardario canadese del petrolio, Maurice Strong, presidente dell’UNDP (Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo).
L’operazione di seduzione ebbe successo oltre le più rosee previsioni.
Il socialista August Bebel, amico di Marx, aveva l’abitudine di
chiedersi cosa aveva in mente la borghesia quando l’applaudiva
al Reichstag. I no global seguaci dello “sviluppo sostenibile”
avrebbero dovuto farsi qualche domanda vedendo che il presidente Jacques Chirac si era affrettato a creare un ministero con questa denominazione e
che Michel Camdessus, ex presidente del Fondo Monetario Internazionale, aveva firmato un
manifesto per lo “sviluppo sostenibile” che circolava tra le celebrità e che vedeva tra i suoi più
strenui sostenitori alcuni dei più grandi inquinatori del pianeta quali la British Petroleum, la
Total-ELF-Fina, la Suez, la Vivandi e persino la Monsanto, la Novartis, la Nestlé, la Rhone-Pulenc ecc.
Il grande stregone, l’inventore e manipolatore eccelso di questa
gigantesca impostura è Stephan Schmidheiny. Consigliere di
Maurice Strong, Schmidheiny ha pubblicato un manifesto presentato a Rio de Janeiro poco
prima dell’apertura della Conferenza del 1992: cambiare rotta,
riconciliare lo sviluppo dell’impresa con la tutela dell’ambiente. “Nella nostra qualità di dirigenti d’impresa accettiamo il concetto di “sviluppo sostenibile” che permetterà di rispondere ai bisogni dell’umanità senza compromettere le possibilità delle future generazioni”. Yves
Cochet, ex ministro dell’Ambiente, ci aveva avvertito. In seguito, grazie anche al confronto
con alcuni intellettuali seri, il marchio di fabbrica ha perso un
po’ del suo fascino tanto che oggi in Francia si preferisce parlare di “crescita verde” – altro bell’ossimoro.
Se la tragedia di Casale Monferrato non è sufficiente a farli rinsavire, vuol dire che non c’è speranza.
Si dovrà in ogni caso mettere la sordina alle celebrazioni del ventennale di Rio’ 92.
Schmidheiny, che non è responsabile di aver ereditato Eternit, ha la sua buona parte di schizofrenia e l’attaccamento dell’emisfero destro del suo cervello alla causa ecologica è sincero tanto quanto l’attaccamento del suo emisfero sinistro alla causa del profitto amorale.
Ma il buon dottor Jekyll-Schmidheiny ha fatto di tutto per salvare il malvagio mister Stephan-Hyde e viceversa. Negli anni 70, secondo il suo avvocato, ha investito 72 miliardi di lire
in sicurezza. Non è poco, ma si sapeva già che il sistema di aspirazione era molto poco efficace
e che si sarebbero moltiplicati i morti tra i dipendenti dell’azienda e tra i residenti della zona maledetta. Tra il 2001 e il 2005 Schmidheiny ha pagato un milione di euro ad una agenzia di
lobbying milanese per far spiare il procuratore della Repubblica
Guariniello e organizzare una rete in grado di manipolare le informazioni sull’amianto. Nello
stesso periodo ha pagato una sedicente giornalista, Maria Cristina Bruno, per infiltrare l’associazione delle vittime di Casale Monferrato.
Infine, qualche giorno prima del processo ha proposto al comune di Casale Monferrato, che è pieno di debiti, di rinunciare alla presenza
in aula come parte civile dietro versamento della somma di 18,3 milioni di euro oltre al versamento di 60.000 euro di risarcimento ai familiari delle vittime e 20.000 euro ai malati. Stando così le cose è difficile sostenere la dissonanza cognitiva per lavare il sangue versato a profusione e annacquare la propria responsabilità con una vasta operazione di “greenwashing ”.
Serge Latouche
Fonte: www.ilfattoquotidiano.it
6.03.2012