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La Redazione

 

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LA DONNA DELLA PACE

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A cura di Davide
Il 1 Novembre 2004
51 Views

DI ROBERT FISK

Margaret. Margaret Hassan. Colei che mi ha detto che presto – molto presto – «ci sarà più di una generazione perduta» in Iraq. Rapita mentre si recava al lavoro, Margaret Hassan è direttrice di Care International. Margaret Hassan è stata una nemica delle sanzioni Onu nei confronti dell’Iraq ed è il simbolo di tutti coloro che credono che l’Iraq – un Iraq realmente libero e non occupato – abbia un futuro.
Anch’ella è entrata a far parte della legione di non persone, di “scomparsi”, della lista di quanti – a causa della lingua o del colore degli occhi o della nazionalità – sono finiti nel buco nero dell’Iraq. Ieri l’ultima sciagura è consistita nell’ascoltare diplomatici inglesi che hanno appoggiato quelle tragiche sanzioni piangere lacrime di coccodrillo per “Margaret”. Margaret. Margaret Hassan. Colei che mi ha detto che presto – molto presto – «ci sarà più di una generazione perduta» in Iraq. Rapita mentre si recava al lavoro, Margaret Hassan è direttrice di Care International. Margaret Hassan è stata una nemica delle sanzioni Onu nei confronti dell’Iraq ed è il simbolo di tutti coloro che credono che l’Iraq – un Iraq realmente libero e non occupato – abbia un futuro.
Anch’ella è entrata a far parte della legione di non persone, di “scomparsi”, della lista di quanti – a causa della lingua o del colore degli occhi o della nazionalità – sono finiti nel buco nero dell’Iraq. Ieri l’ultima sciagura è consistita nell’ascoltare diplomatici inglesi che hanno appoggiato quelle tragiche sanzioni piangere lacrime di coccodrillo per “Margaret”.

Tony Blair si è affrettato a dire che la Gran Bretagna farà tutto il possibile per garantire il suo rilascio. “In questa fase c’è un limite a quello che posso dirvi, ma ovviamente faremo tutto il possibile”, ha detto stando in piedi accanto al segretario generale dell’Onu Kofi Annan a Londra. “Il fatto che possano rapire una persona come questa vi dimostra con che genere di persone abbiamo a che fare. Non sappiamo di che gruppo si tratta”. Ma Tony Blair ha appoggiato le sanzioni che Margaret Hassan detestava.

L’ho incontrata quando The Independent aveva pubblicato alcuni servizi sull’impiego da parte di americani ed inglesi di munizioni ad uranio impoverito durante la guerra del Golfo del 1991 e dell’esplosione negli anni seguenti di casi di cancro e leucemia tra i bambini iracheni. I lettori dell’Independent avevano donato 250.000 dollari per le medicine e Care – organizzazione per la quale Margaret lavorava – si assunse il compito di distribuire i vaccini in tutti gli ospedali dell’Iraq. Margaret e la sua collega di Dublino Judy Morgan trovarono i camion per trasportare questi vitali medicinali in tutto il paese nel tentativo di salvare le piccole creature ricoverate nei “reparti della morte” pediatrici. Ho visto Margaret persuadere gli autisti dei camion, supplicare gli ospedali, mercanteggiare perché fossero recapitati nei reparti pediatrici la vincristina e altri farmaci durante un caldissimo mese di ottobre.
Margaret è una donna impegnata. Ogni settimana, ogni giorno, ogni ora la realtà di una tragedia umana di proporzioni immani – il disastro delle sanzioni dell’Onu che potevano fare poco o nulla per alleviare – prendeva corpo sui tavoli dell’ufficio di Care in un malridotto edificio di Baghdad.

Riprendo un vecchio taccuino con la copertina azzurra nel quale è annotata una intervista con Margaret. La data è quella del 5 ottobre 1998. Sul margine ho scritto di lei: “quando parla non alza la voce, ma la sua indignazione – che si fa sentire sovrastando il sibilo dell’aria condizionata – arriva come l’urlo rabbioso e frustrato di qualcuno che è stanco di ascoltare i soliti luoghi comuni”. Erano giorni neri. “Questo disastro è opera dell’uomo”, mi disse colpendo con la mano destra il palmo della sinistra. “Sì, alcuni hanno tratto vantaggio dalle nostre iniziative. Ma non possiamo risolvere il problema dell’Iraq. Non esiste più una economia irachena. E non possiamo sostituirla con gli aiuti”. In quel giorno del 1998 Margaret Hassan spinse da parte sulla sua scrivania una grossa pila di carte poi aggiunse: “In che modo possiamo essere di aiuto qui?”, chiese. “Se questo fosse un paese del terzo mondo potremmo far arrivare delle pompe per l’acqua che ci costerebbero poche centinaia di sterline e ci consentirebbero di salvare migliaia di vite umane. Ma l’Iraq non era un paese del terzo mondo prima della guerra del 1991 – e non si può mandare avanti una società sviluppata con gli aiuti. Quello che non funziona con il sistema idrico è il prodotto di guasti e rotture di sistemi di purificazione dell’acqua complessi e molto costosi. E le riparazioni costano centinaia di migliaia di sterline – solo per una regione del paese. I medici sono eccellenti – molti hanno studiato in Europa oltre che in Iraq – ma a causa delle sanzioni sono otto anni che non possono sfogliare una rivista medica. E in campo scientifico quali ripercussioni ha una cosa del genere?”

Margaret Hassan sospettava che gli occidentali si fossero in qualche modo allontanati dai normali cittadini iracheni durante i 13 anni delle sanzioni dell’Onu. “Non credo che li vediamo come persone”, mi disse. “Se vediamo qualcuno soffrire – e abbiamo un briciolo di umanità – dobbiamo fare qualcosa. Le sanzioni sono disumane e quello che stiamo facendo non può porre rimedio a questa disumanità. Le sanzioni sono contrarie alla Carte delle Nazioni Unite che contempla i diritti dell’individuo. È una contraddizione, una ipocrisia – è dottor Jekyll e Mr. Hyde. Le sanzioni dell’Onu sono in palese contrasto con i diritti individuali sanciti nella Carta delle Nazioni Unite. Chiunque esamini la situazione con obiettività non può che giungere a queste conclusioni”.

Ricordo un pomeriggio nel quale, dopo aver inviato i nostri medicinali ai bambini di Baghdad condannati dal cancro, Margaret Hassan sembrava sconfitta. “La gente soffre, soffre moltissimo”, mi disse. “Ma abbiamo idea di cosa vuol dire per una madre svegliarsi ogni mattino senza sapere come sfamare i propri figli? Non credo che gli occidentali vedano gli iracheni come normali persone”. Sembra uno scherzo del destino che una donna che è stata coraggiosa, buona e dignitosa al punto da opporsi alle vergognose sanzioni con le quali abbiamo scelto di punire gli iracheni, sia stata sequestrata a Baghdad. Se c’era una vera amica degli iracheni questa era Margaret Hassan. Coraggiosa, schietta, risoluta, insomma una vera eroina. I suoi sequestratori dovrebbero sentirsi umiliati sapendo di poter parlare con una donna straordinaria come lei.

Robert Fisk
Fonte: www.unita.it
Traduzione di Carlo Antonio Biscotto
20-10.04

The Independent

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