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LA DEVOLUTION PER LA SCOZIA E LA CORONA BRITANNICA

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A cura di Davide
Il 22 Novembre 2012
78 Views

DI NIKOLAI MALISHEVSKI
strategic-culture.org

Questo ottobre, Londra ha delegato al parlamento scozzese l’autorità di indire un referendum per l’indipendenza. Verrà chiesto all’opinione pubblica di rispondere a questa domanda: “La Scozia dovrebbe continuare a far parte del Regno Unito o diventare uno stato indipendente?”. La data del referendum coincide con il 700° anniversario della battaglia di Bannockburn, nella quale gli scozzesi, inflitta una grossa sconfitta sugli inglesi, riconquistarono la loro indipendenza. Secondo il ministro di Stato britannico per la Scozia David Mundell, “la volontà di una nazione che si concretizzerà nell’autunno del 2014”.
Per molti anni, i nazionalisti del Partito Nazionale Scozzese (SNP) hanno evidenziato la questione di un referendum per l’indipendenza dal Regno Unito. Il SNP, sulla base del successo economico di Irlanda e Islanda, lo aveva programmato già nel 2008, ma la crisi economica lo ha impedito. L’idea di un referendum venne fuori nuovamente nel 2011, a seguito della vittoria elettorale dello SNP, che permise ai nazionalisti di dare vita ad un governo a “partito unico”. Il primo ministro della Scozia, Alex Salmond, aveva immediatamente promesso di indire un referendum per l’indipendenza dall’Inghilterra e il 25 maggio 2012 ha annunciato il lancio della campagna per il “SI”, ideata per convincere gli scozzesi a votare per l’indipendenza.

Gli stessi scozzesi, in realtà, parlavano di indipendenza già anni fa, quando si svolse un referendum sul ripristino dei poteri al Parlamento scozzese, a seguito del quale il SNP ottenne la maggioranza assoluta. Se i promotori del referendum ottenessero la vittoria, dal 2016 la Scozia diventerebbe un paese completamente indipendente, dopo più di 300 anni in cui ha fatto parte del Regno Unito.

Oltre a ragioni interne (petrolio e gas) ed esterne (a causa della crisi economica del 2008, in quel momento non fu possibile indire un referendum per l’indipendenza, ma l’avvento al potere dei nazionalisti ha aperto la strada, diventando un ulteriore incentivo per questo referendum – sostenendo che i piccoli Stati sono migliori a far fronte alla crisi rispetto a quelli di grandi dimensioni), si possono distinguere due gruppi di fattori che stanno spingendo gli scozzesi verso l’indipendenza.

Fattori politici. I giornalisti, in riferimento alle elezioni, da diversi anni hanno notato che «la maggior parte degli scozzesi sono scontenti della politica estera di Londra, la partecipazione del Regno Unito alle campagne militari in Iraq e Afghanistan ha infatti reso il paese un obiettivo per il terrorismo internazionale, in aggiunta alla costosa manutenzione dello status di grande potenza tramite il programma di modernizzazione dell’arsenale nucleare del paese». Questa è la ragione per cui i nazionalisti sono a favore di una Scozia indipendente, che rimarrà un membro dell’Unione Europea, ma non della NATO, e della rimozione dal loro territorio dei missili nucleari Trident inglesi e dei sottomarini nucleari che si trovano sulla costa occidentale della Scozia.

Fattori economici. Oltre alla speranza di esportare whisky e timori sulla costante migrazione verso la Gran Bretagna (soprattutto da parte dei giovani), la popolazione della Scozia è in costante calo, la motivazione principale per il desiderio di indipendenza sono i giacimenti di petrolio e gas del Mare del Nord. Sulla piattaforma adiacente, la Scozia possiede riserve di petrolio e di gas che sono tra le più grandi in Europa; sovvenziona le regioni della Gran Bretagna in quanto i proventi di petrolio e gas (circa 20 miliardi di dollari l’anno) vanno direttamente a Londra. Non a caso, l’attuale nazionalismo scozzese è sbocciato sotto lo slogan di «It’s Scotland`s oil (è petrolio scozzese)». Secondo le stime pro-indipendenza, le entrate provenienti dalle risorse naturali dovrebbero essere più del 10% del PIL e una Scozia indipendente consentirà uno sviluppo dinamico dell’economia locale.

Secondo una ricerca sociologica, il numero di persone in Scozia che desiderano l’indipendenza e quello di coloro che desiderano restare sotto il Regno Unito è quasi equivalente, circa il 40%. E quest’ultimo è pure leggermente più alto! Tuttavia, a patto che lo standard di vita aumenti, il numero dei favorevoli all’indipendenza aumenterà per la metà – a due terzi degli scozzesi.

Anche l’atteggiamento degli inglesi in materia è tutt’altro che chiaro. Da un lato, parte della presentimento britannico è che la secessione sia una brutta cosa, in quanto la Gran Bretagna potrebbe crollare (cessare di esistere come stato) negli anni a venire. Anche i funzionari di alto rango lo ammettono apertamente. Ad esempio, nel mese di dicembre del 2001, l’ex segretario di gabinetto Gus O’Donnell disse in un’intervista rilasciata al The Daily Telegraph: «Nei prossimi anni dovremo far fronte a sfide enormi, come quella di riuscire a mantenere il nostro regno unito».

Ci sono varie ragioni per questo pessimismo. Ci sono tendenze separatiste in Irlanda del Nord (Ulster), Galles, Isola di Man e perfino la Cornovaglia, patria del leggendario Re Artù, dal territorio molto ricco di stagno, esige l’autonomia. Chi vive in queste zone sono i discendenti dei Celti (e non gli anglosassoni) e dal 1990 sono stati della stessa idea della Scozia sulla questione dell’indipendenza. Esistono molti problemi economici, ne cito solo alcuni tra i più importanti: in termini di debito estero (oltre 9.800 miliardi di dollari) la Gran Bretagna è il secondo stato al mondo. Il debito britannico supera di 18 volte quello della Grecia, e il debito estero supera il 435% del PIL; c’è un buco enorme di 42 miliardi di dollari nel bilancio, costringendo tagli alle spese militari: ciò significa che se questo trend continua l’esercito scomparirà a partire dal 2020 (ha dichiarato il comandante John Muxworthy, fondatore e capo della UK National Defense Association), vi sarà un alto tasso di disoccupazione (oltre l’8%), saranno vendute infrastrutture a stranieri (cinesi e indiani) e scompariranno intere industrie (quale l’industria automobilistica), che sono da sempre state considerate un simbolo del potere britannico…

Tuttavia i sondaggi mostrano che gli inglesi sono più favorevoli alla separazione della Scozia che contrari (circa il 40% a favore e il 30% contro). In primo luogo, molti britannici ritengono che questo avrà un impatto positivo sull’economia, non solo in Scozia, ma anche in altre parti del Regno Unito. Un tempo, nel 1707, la Scozia volle unirsi volontariamente all’Inghilterra, in cambio di benefici economici, come l’accesso al mercato nella stessa Inghilterra e nelle sue colonie, e di benefici politici, quali l’autonomia. Fino ad oggi la Scozia è stata “autonoma” all’interno del regno Unito – ha un proprio parlamento, la Chiesa e un sistema giuridico, che offre notevoli sussidi di assistenza sociale, specialmente per giovani e anziani. Ad esempio, l’istruzione nelle università scozzesi è gratuita per i residenti locali, mentre uno studente inglese deve pagare circa 9000 sterline l’anno. In generale, in termini di spesa pubblica, gli scozzesi ricevono all’anno più di quello che ricevono i residenti in Inghilterra (circa 1.600 sterline a persona all’anno). Queste vengono dal bilancio dello stato, direttamente dal conto dei contribuenti inglesi.

Ad ogni modo, anche nel caso in cui la Scozia ottenesse lo status di stato indipendente, la regina d’Inghilterra Elisabetta II avrebbe ancora l’incarico di Capo dello Stato (come per gli altri paesi del Commonwealth, quali Australia, Canada, ecc.). Il «capo separatista», il primo ministro scozzese Alex Salmond e il suo vice, Nicola Sturgeon, sottolineano che non si tratterebbe di una «rottura» con il Regno Unito, ma di una «separazione» da esso, perché «avremo ancora molto in comune, ma l’indipendenza permetterebbe agli scozzesi di prendere le proprie decisioni in materia di politica e di economia. Inoltre Londra mantiene controlli sufficienti, se non di bloccare la volontà della nazione scozzese (o di interrompere il referendum o mettere in discussione i suoi risultati), quindi usarli per ottenerne il massimo vantaggio e allo stesso tempo di «tenere a freno» specialmente i separatisti più accaniti dal punto di vista economico.

Tanto per cominciare, si potrebbero concretizzare le seguenti domande: quando e come una Scozia indipendente sarà in grado di pagare 287 miliardi dell’attuale debito al Regno Unito? Come e chi investirà nell’economia di una Scozia indipendente? Riusciranno eventuali investitori nazionali a diventare internazionali? Che ne sarà di imposte, dazi doganali e valuta, in particolare nel caso in cui la Scozia diventasse membro dell’Unione europea e della conversione di sterline in euro? E infine la carta vincente da giocare più importante – l’uso del separatismo contro gli stessi separatisti. Il petrolio, che è un fattore chiave nel separatismo scozzese si trova in abbondanza nelle isole Orcadi al Nord e nelle Isole Shetland, un tempo appartenenti alla Norvegia. I loro abitanti non amano gli scozzesi ed esprimono apertamente il loro desiderio di essere indipendenti, o di restare nel Regno Unito, se questo fosse un vantaggio.

La secolare esperienza coloniale dimostra che la Corona Britannica, quando non era in grado di fermarne il processo, ha tentato di condurlo e di dirigere questa energia a proprio vantaggio. In linea di principio, anche oggi sarebbe possibile un simile scenario. All’interno del Regno Unito, una Scozia sovrana potrebbe essere di grande aiuto per la risoluzione di problemi economici. Al di là di questo, il percorso di frammentazione anglosassone ha influssi nell’Unione Europea, nei Balcani, in Eurasia e perfino in Canada, dove quest’autunno il partito del Quebec ha vinto le elezioni, sostenendo la creazione di uno stato sovrano indipendente dal Canada, membro del Commonwealth britannico.

Nikolai Malishevski
Fonte: www.strategic-culture.org
Link: http://www.strategic-culture.org/news/2012/11/10/devolution-for-scotland-and-the-british-crown.html
10.11.2012

TRADUZIONE a cura DI ASIA per www.comedonchisciotte.org

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