DI EUGENIO BENETAZZO
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Il prossimo anno vi sarà in questo periodo la ricorrenza della scomparsa decennale di Ronald Reagan, il quarantesimo presidente degli USA, tra gli uomini che con il loro operato ed il loro pensiero hanno maggiormente influenzato il secolo passato. Reagan è sovente ricordato come l’attore cinematografico che è diventato presidente, esaltando il messaggio del sogno americano che chiunque può farcela. I suoi due mandati hanno inciso profondamente sul piano economico e politico degli anni ottanta nella vita di tutte le economie avanzate dell’Occidente. Le sue scelte di politica economica si concentrarono prevalentemente sul taglio delle aliquote fiscali (quindi sensibile riduzione delle tasse) e sull’aumento della spesa pubblica, soprattutto vennero incrementate le spese per la difesa in piena Guerra Fredda con l’URSS. Affascinato dalle teorie liberiste di Milton Friedman, si fece portavoce di una limitata ingerenza del governo nella vita economica del paese, abrogando precedenti regolamentazioni nella convinzione che ogni economia debba essere regolata solo dalle forze del libero mercato. Riecheggiano ancora le sue storiche parole al primo discorso di insediamento: il governo non è la soluzione del nostro problema, il governo è il problema.
La Reaganomics, così vennero battezzate le misure economiche implementate dal Governo Reagan, venne esportata anche oltre Atlantico, in Inghilterra per la precisione, ottenendo notevole successo sotto la guida di Margaret Thatcher, tanto che per i decenni successivi il modello economico di stampo Thatcheriano-Reaganiano divenne il nuovo Vangelo per tutte le business school di prestigio accademico. Oggi a distanza di trent’anni sappiamo quanto fallimentari sono state, soprattutto l’idea che l’economia di un paese non debba essere regolamentata ma semplicemente lasciata a se stessa. Gli ultimi cinque anni sulla scena mondiale hanno dimostrato proprio il contrario ovvero senza stato e senza salvataggi di stato saremmo ritornati al Medio Evo. Ritornando comunque agli inizi degli anni ottanta (allora la Cina ed il Brasile non facevano paura proprio nessuno), Reagan oltre che da Friedman rimase affascinato anche da un altro giovane economista, Arthur Laffer, docente alla California University, il quale convinse Reagan a diminuire le aliquote sulle tasse al fine di far aumentare il gettito fiscale. Per chi legge, un assunto simile potrà sembrare una follia, infatti come è possibile che il gettito fiscale di un paese possa aumentare se diminuiscono le aliquote di imposizione ?
Arthur Laffer lo spiegò proprio a Reagan, si dice addirittura scarabonchiando il tutto sopra un tovagliolo di carta in un ristorante, attraverso un grafico che riportava una curva a campana, in cui nelle ascisse vi era indicato il gettito fiscale atteso e nelle ordinate il prelievo fiscale imposto. Questa curva è conosciuta come la Curva di Laffer: secondo l’economista californiano, vi è un livello di tassazione oltre il quale non ha più senso lavorare, inoltre mantenere tali livelli di fiscalità produrrà una flessione o caduta ingente del gettito fiscale. Immaginate una pressione fiscale complessiva al 75% o 85%, chi andrebbe ancora a lavorare o a rischiare i propri capitali se il ritorno economico fosse così limitato. Per definizione il gettito fiscale è dato dalla pressione fiscale media moltiplicata per il PIL: secondo Laffer esisteva un livello di pressione fiscale oltre il quale un aumento delle imposte avrebbe disincentivato l’attività economica e quindi ridotto il gettito, in misura crescente anche a causa di fenomeni economici che sono a quel punto fisiologici come l’evasione, l’elusione o la sottrazione di imponibile (intesa quest’ultima come delocalizzazione di attività produttive verso giurisdizioni fiscalmente meno oppressive).
Ora soffermatevi a pensare al caso italiano e di come governi attuali e precedenti si sono approcciati alla Curva di Laffer. Proprio la scorsa settimana il Segretario della CISL, Raffaele Bonanni, ha auspicato uno shock fiscale, commentando gli ennesimi dati infelici sulle proiezioni del PIL e sulla disoccupazione giovanile. In Italia sarebbe possibile intervenire per iniziare ad abbattere la pressione fiscale, partendo con l’abolizione dell’IMU sulla prima casa e sugli immobili adibiti ad attività d’impresa, oltre all’IRAP e ad un significativo ridimensionamento dell’IRES: si tratta infatti di implementare tagli alla spesa pubblica di pari entità, una stima attendibile parla di un importo tra i 70 e gli 80 miliardi di euro. Se ci pensate bene rappresentano appena il 10% degli 800 miliardi che spende l’amministrazione pubblica italiana. Ancora il precedente Governo Monti aveva individuato svariati capitoli di spesa da aggredire ancora nel breve periodo identificando tanto gli sprechi (coordinamento dei centri di acquisto per il settore sanitario) quanto le spese destinate a istituzioni da riformare completamente (abolizione delle province ed accorpamento enti locali). Mi auguro che anche noi italiani non dovremo aspettare un attore alla guida della nazione per capire l’importanza e l’impatto sulla vita di tutti noi della Curva di Laffer, ma sia più che sufficiente un nuovo leader politicamente trasversale ed economicamente lungimirante.
Eugenio Benetazzo
Fonte: http://www.eugeniobenetazzo.com
Link: http://www.eugeniobenetazzo.com/curva-di-laffer.htm
21.06.2013