LA CRISI, IL “FALLACISMO” E LA CENSURA

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DI HS
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Quando ho visionato per la prima volta la magnifica pellicola dei fratelli Coen “Non è un paese per vecchi”, parabola sulla quotidianità e casualità della violenza, sono rimasto particolarmente colpito dal dialogo fra i due sceriffi, i quali, come pervasi da antica saggezza, constatavano che, al principio della fine, si palesa l’incapacità di dire il semplice “grazie”.

Senza esagerare la questione educativa, il rapportarsi con gli altri che, alla fine dei conti, costituisce il principio del “fare politica” non sarà mai abbastanza sottolineato… Quando ho soppesato quelle parole mi è tornato alla mente il nostro, vostro mondo quotidiano. Ormai quasi non ci salutiamo più, abbiamo difficoltà a dire e rispondere “buongiorno” o buonasera”, guardiamo i nostri vicini in cagnesco e quando c’è la cortesia essa ha un che di simulato e affettato. Penso ancora alla “mia” Milano, città che ormai non posso fare a meno di detestare. Sui marciapiedi le persone procedono veloci e feroci come carroarmati. Si urtano e si scontrano, anzi, chissà quanto inconsapevolmente, cercano l’impatto. Sui mezzi pubblici si svolgono veri e propri combattimenti quando sono colmi di bestiame umano, a causa di un servizio sempre più inefficiente. Ma la lotta non risparmia nessuno: gli anziani e le donne incinte hanno solamente da penare. A volte penso che se noi italiani avessimo alle spalle quella “cultura delle armi da fuoco” così diffusa negli USA, saremmo a rischio di costante ecatombe.


Quando rimugino sul presente, su quel che mi circonda, alle volte vorrei che fosse resa obbligatoria una pausa anche di soli dieci minuti giornalieri in cui a tutta la cittadinanza fosse concesso di mettersi davanti ad uno specchio per farsi le seguenti domande: “Chi sono io veramente ?”, “Che cosa sto facendo ?” e “Che cosa sto dicendo ?”. Partendo da domande intime e individuali, forse potremmo darci risposte collettive…

Ve lo ricordate il celebre slogan del movimento No Global – o New Global se preferite – “Un mondo diverso è possibile” ? Sembra passato un secolo, eppure quell’aria di ottimismo che anch’io respiravo con piacere si è esaurita nell’arco di qualche stagione. Si poteva ancora sognare, ci si poteva opporre con decisione a quel neoliberismo selvaggio imposto da multinazionali e corporations per privatizzare ed accaparrarsi tutte le risorse del pianeta. Quello è stato un tempo di transizione, un soffio di vento che non tornerà mai più… Un mondo parzialmente diverso sotto certi aspetti, ma figliolato dal precedente, bussava alle porte. Frastagliato, disperso in tanti rivoli, ricco di sogni e di pensiero ma privo di una direzione precisa, senza una visione autenticamente e genuinamente “ideologica” del mondo, il movimento ha barcollato e si è dissolto, almeno per quel che riguarda la sua parte “occidentale”, quella sorta sotto i cieli statunitensi ed europei. Diviso ormai fra scontati radicalismi e l’integrazione “umanitaria”, il movimento dei movimenti è stato la prima vittima collettiva dell’era che si affacciava al mondo, l’offerta sacrificale di un millennio che ora promette paura ed insicurezza. Nei fatti la paura e l’insicurezza, unite allo spettro della repressione, hanno ucciso quel moto radicalmente antiliberista.

Siamo entrati in una nuova fase della nostra storia senza riflettere fino in fondo su quell’ingresso.
Da tempo ci dibattevamo nell’era della Crisi, ma abbiamo voltato gli occhi dall’altra parte illudendoci che, in fin dei conti, poco fosse cambiato.
Il cambiamento ha riflessi non indifferenti, non misurabile, la mutazione ancora in corso…
Se la cifra del neocapitalismo occidentale postmoderno è stata la crescita nel tripudio dell’orgia edonistica , il neocapitalismo del nuovo millennio che con un fastidioso neologismo potremmo chiamare postpostmoderno “evolve” sotto il segno della Crisi e della sostanziale decrescita.
Mentre il neocapitalismo postmoderno poteva garantire la relativa crescita di reddito e l’apparente aumento del benessere dei cosiddetti “ceti medi”, quello postpostmoderno ha la coperta ormai troppo corta e i ceti medi scivolano sempre più in basso.
La Crisi che non è solo economica, ma politica, morale, culturale ed ambientale viene da parecchio lontano e solo oggi esplode in tutta la sua gravità, ma i sintomi per diagnosticare questa febbre c’erano tutti almeno fin dal 2001. Se Stanley Kubrick fosse ancora vivo girerebbe “2001 : Odissea nello strazio”, il viaggio di un uomo in un tempo diverso da quello che mai si sarebbe aspettato.

Chi ha ancora nella mente e nella memoria le immagini di quell’annus horribilis rammenterà la disastrosa guerriglia urbana , gli abusi polizieschi e le torture durante il G8 di Genova. Si trattava, appunto, di porre il movimento No Global – o New Global – di fronte alla realtà di una nuova ondata repressiva, la minaccia nei confronti di chi non aveva l’intenzione di rimettere il treno sui “giusti” binari. La paura… L’11 settembre ha rappresentato la somma di tutte le paure possibili, la messa in scena spettacolare della fine del mondo contemporaneo postmoderno (e postpostmoderno).
La paura ancora di scena per instillarci nella mente e nei cuori che laggiù, fuori dall’Occidente, c’è un nemico pronto a combattere per distruggerci con le armi del peggiore terrorismo. L’evocazione di un pericolo che, per quanto reale in certi suoi aspetti, aveva la funzione di distogliere i cervelli dalla vera Crisi di un mondo degradato ove i guasti climatici ed ambientali da un lato e la saturazione di un mercato sempre più dominato dalla rendita e dalla finanza svincolata dalle regole sono sempre meno eludibili. Chi ha “rappresentato” l’11 settembre sapeva… sapeva che il mondo era (è) in ebollizione… Era quindi necessario spostare tiro ed attenzione sulle questioni più comode, individuando un nemico delineato semplicisticamente ma concreto. Il passo verso la “guerra permanente”, “la guerra al terrorismo” e allo “scontro delle civiltà” artificiosamente pompati dalla grancassa mediatica di giornali e televisioni è stato veramente molto breve. Si è cercato di prendere due piccioni con una fava : individuare il capro espiatorio più adatto a coprire i reali responsabili della situazione “mondiale” – nel senso di occidentale – e giustificare azioni belliche allo scopo di trarne il massimo profitto economico, strategico militare, politico e di immagine. In quel contesto è stato molto agevole per l’ex Presidente Bush jr. dichiarare la guerra del Bene contro il Male sfoderando un manicheismo che non si ravviserebbe neanche nella serie di “Guerre stellari”.

Questa propaganda e diffusione dell’immagine dell’”altro” come nemico o peggio come mostro, essere abietto da abbattere è entrata facilmente in un quotidiano sempre più caratterizzato da paure, insicurezze e frustrazioni. L’individualismo insito nel neocapitalismo postmoderno poteva essere contenuto nell’alveo della competizione sul lavoro e nei consumi, ma l’individualismo del neocapitalismo postpostmoderno, della decrescita e della Crisi rompe gli argini ed è guerra di tutti contro tutti. Ognuno rispolvera la sua uniforme e si mette il suo elmetto, armandosi lingua e mani nel migliore dei casi. Così ci si urta, ci si scontra, ci si combatte quotidianamente… L’Altro diventa proprio “altro” da sé, alieno per razza, per etnia, per fede religiosa o politica, per classe, per censo, per cultura, per genere sessuale o, più semplicemente è un altro individuo. Ogni categoria per dividere sé dagli altri diventa il mero pretesto per un interminabile e snervante guerra di tutti contro tutti, gruppo contro gruppo, banda contro banda, individuo contro individuo. Oltre alla comune esperienza quotidiana si guardino gli spettacoli televisivi, ad esempio, talk show politici, programmi sportivi, realities, ecc… Anche se molto v’è di simulato e spettacolarizzato il panorama è sconcertante: voci che si sovrappongono, urlano uno sull’altro, risse verbali al limite dello scontro fisico, scenate isteriche, ecc…

E’ forse questa la guerra civile atomizzata di cui scriveva anni fa Hans Magnus Enzensberger ? Di sicuro dietro ogni guerra di tutti contro tutti sia annida il Leviatano, qualunque forma esso decida di assumere. Accanto alla sindrome neoconservatrice della “sicurezza globale” da perseguire a costo di bombardare intere popolazioni si assiste all’invocazione di politiche securitarie volte a ristabilire l’ordine urbano nei confronti dell’immigrazione, della piccola delinquenza e delle intemperanze giovanili con accenti sempre più torvi, sinistri e liberticidi. E’ il grande paradosso postpostmoderno: la condizione di massimo disordine alimentato dalla guerra di tutti contro tutti coincide con la massima espressione di autorità e controllo che le cosiddette “democrazie” occidentali abbiano mai potuto concepire.
Su tutto la spessa cappa della paura che ci attanaglia e ci domina: il terrore della crisi e della conseguente povertà, il terrore per l’incertezza del futuro, il terrore per la presenza dell’Altro…

La bandiera del capitalismo postpostmoderno sventola al vento di una minaccia e di un pericolo indecifrati ma incombenti.

Poco dopo l’11 settembre, poco prima che le grandi guerre di civiltà e le piccole guerre di tutti contro tutti cominciassero a deflagrare con tutte le loro perniciose conseguenze, tornò in auge una grande firma del giornalismo italiano ormai assente dalle scene da una decina d’anni. In effetti il ritorno di Oriana Fallaci, con tutta la sua carica di rabbia e di livore, non ha mai cessato di influenzare un parte importante del nostro quotidiano e del nostro immaginario.
Non ci si è mai interrogati abbastanza sul significato e sulla portata dell’operazione “Fallaci” promossa dal Corriere della Sera e dalla RSC che appiccicarono il loro prestigioso marchio alla nuova produzione libresca della giornalista.

Operazione commerciale ed editoriale ? Certamente, ma non sono da sottovalutare gli effetti e le impronte lasciate a livello culturale – e qui il termine và inteso nel più ampio senso possibile -, nel linguaggio e sui modelli comportamentali. Innanzitutto l’avvio dell’operazione “Fallaci” con la sua celebre trilogia aperta con “La rabbia e l’orgoglio” cade fra gli attentati dell’11 settembre e la dichiarazione di guerra permanente da parte di Bush jr. Un caso ? Sicuramente coloro che si occupavano delle strategie di marketing hanno ben intercettato gli umori successivi all’11 settembre, a seguito del quale venne cercata immediatamente la responsabilità nella rete di Bin Laden. Quegli umori, quegli impulsi a malapena controllati sono stati “sdoganati” dalla firma celebre della Fallaci. Se l’ha scritto la più importante giornalista italiana del mondo perché si dovrebbe tacere ? Al contempo si è aperta la strada ad una scrittura e all’uso di un linguaggio estremamente aggressivi che un tempo sarebbero stati confinati nel territorio degli estremismi, ma degli estremismi più beceri, privi di argomenti.

Stupisce assai, quindi, che l’operazione “Fallaci” sia stata promossa dal Corriere, il più importante e conformista foglio italiano con una fama di misura e di moderazione. I De Bortoli, i Mieli, i Zincone, i Della Loggia, i Panebianco, le illustri firme del Corriere insomma, si prestarono ad un’opera di appoggio e fiancheggiamento della Fallaci. Come mai il più importante giornale italiano, tempio inchiostrato della grande industria e della finanza e con una forte presa sulla pubblica opinione, si è gettata in quest’avventura dai contorni non proprio limpidi ? Difficile dare una risposta definitiva, ma i contorni culturali ed “intellettuali” della vicenda non sono da trascurare. In primo luogo si ricorderà che a quel tempo ancora reggeva l’idillio fra il Corriere e, quindi, la creme della finanza e dell’industria italiana, e il Cavalier Berlusconi. Indubbiamente il linguaggio violento, offensivo, aggressivo e volgare della Fallaci rispecchiava gran parte del panorama del centrodestra di oggi come di allora. La grande firma ha riabilitato i leghisti e il più rozzo Borghezio per compatibilità di toni e di contenuti anche se l’Oriana nazionale non sopportava il regionalismo della Lega. Se c’è differenza, poi, fra lo stile berlusconiano e quello della giornalista e scrittrice risiede nel fatto che, mentre il disprezzo palesato nei confronti dell’avversario da parte del Cavaliere è studiato e, in qualche modo, “spettacolarizzato”, l’Oriana nazionale estrinseca umori che sono autenticamente i suoi, che vengono dalla sua “pancia” per il semplice fatto che non da anni non sta bene. Sola nel suo appartamento a New York, gravemente malata e non più integra neanche nella psiche la Fallaci non è più la formidabile e lucida cronista di guerra del tempo che fu e i suoi colleghi del Corriere lo sanno benissimo. Diviene strumento dell’operazione di un grande quotidiano che, conformandosi ad umori ed opinioni, le rimescola e “riconforma”. Fiutato il clima del post 11 settembre non resta che “preparare” la pubblica opinione alla guerra permanente che, soprattutto, si forma nell’ambito della cultura e della percezione. La penna fallaciana, poi, è particolarmente adatta perché ruvida, già forgiata da innumerevoli scenari bellici e cosa potrebbe rappresentare meglio i sentimenti pronti per una chiamata alla guerra di civiltà e al quotidiano scontro fra l’Altro contro l’Altro ? Non si inventa nulla. Si porta alla luce e si amplifica con effetti che non sono di breve durata. Non lo sapevamo, ma eravamo già nel mezzo della Crisi…
La voragine si è moltiplicata e ha partorito altre voragini…

Nell’analizzare il “Fallaci – pensiero”, il “pensiero fallace” o “fallacismo” se volete, degli ultimi anni di vita della scrittrice ci si è giustamente soffermati sull’”islamofobia” manifestata con acredine tale da far invidia a un leghista su cui non v’è molto da aggiungere. Per la Fallaci gli arabi e i musulmani erano diventati ai suoi occhi poco più che insetti intenti ad insozzare le nostre strade e le nostre piazze. Mai più si è levata una voce così fragorosa nell’inveire verso il melting pot !
Quel che però è stato sottovalutato del successo della giornalista e dei suoi ultimi libri risiede in quella “potenza”, certamente negativa, che hanno esercitato su modelli di linguaggio, di comunicazione e di comportamento fino ad entrare nel quotidiano e nel senso comune, perché se è vero che l’invettiva anti islamica e la carica di irrefrenabile rabbia hanno catturato e affascinato innanzitutto le “destre” di cui l’Oriana nazionale è diventata un’icona, non bisogna neanche dimenticare che neanche gli ambienti di “sinistra” sono rimasti immuni alle sue modalità espressive. Qui và si al di là e oltre l’avversione radicale alla cultura musulmana, per investire la stessa essenza del confronto e del modo di rapportarsi agli altri, siano pure avversari o nemici da combattere. Muta il bersaglio, non l’arma impugnata…
Se si volesse definire in maniera precisa se non definitiva il “fallacismo”non esiterei ad affermare che è puro “non pensiero”. Il “fallacismo” è parola che sgorga direttamente dalle viscere senza mediazione alcuna e sputata come bile. Solo in questo modo è possibile rovesciare sul malcapitato di turno – e qui non importa se esso sia musulmano, ebreo o cristiano ; di sinistra ma, alle volte, pure di destra – una valanga, la marea montante fatta di violenza ed aggressività verbale, insulti, volgarità, odio e disprezzo. Se si ha il tempo di fermarsi un attimo, di contare fino a dieci o di guardarsi allo specchio e riflettere forse la mente assassinerebbe le parole delle viscere, ma non tutti hanno la necessaria dimestichezza con il pensiero. Inoltre di demagoghi che sfruttano la “visceralità” della masse è pieno il mondo anche se, in costoro, il “fallacismo” non è più naturale, ma artificio da adoperare alla bisogna. Come abbiamo visto il sorriso da caimano del Cavalier Berlusconi, falso e velenoso, docet…

Il rapporto fra “fallacismo” ed “estremismi” è inevitabile e rispetto al passato si manifesta un surplus di impulsività ed umoralità. Per quanto violenti fossero, ad esempio, gli estremismi degli anni Settanta certo carichi pure di elementi prepolitici , si sentiva sempre l’urgenza e la necessità di “giustificare” dal punto di vista “ideologico” le azioni delittuose. Oggi le cose stanno diversamente… Le cosiddette nuove BR, con tutto il loro frusto armamentario veteromarxista utilizzato per rivendicare gli atti di “giustizia proletaria” sembrano realmente un residuo del passato prossimo postmoderno. I nuovi “estremismi” postpostmoderni si affidano a slogan sempre più semplici affidandosi al clima diffuso di incertezza, paura e frustrazione. Non dimentichiamoci poi che quel che un tempo era esclusivo retaggio di talune forme di estremismo, oggi fa parte del senso comune. Anche i sedicenti “moderati” si servono di un vocabolario ed adottano gesti e comportamenti di cui un tempo molti non moderati si sarebbero vergognati.

In definitiva, se oggi si cerca il facile scontro piuttosto che il confronto serrato, duro ma anche spossante, se si cede alla facile tendenza di scorgere nell’Altro il volto del “nemico mostruoso”, quindi da abbattere senza tanti complimenti, se, tralasciando coloro con cui ci identifichiamo e dai quali riceviamo l’approvazione, ci rassegniamo a “urtare” gli altri senza preoccuparci delle conseguenze, dobbiamo molto all’”educazione” che il “fallacismo” ci ha inflitto quasi come una condanna. Non si può essere incazzati per tutta la vita se non per una valida ragione…
Non possiamo scordare che il “fallacismo” è stato il prodotto culturale venduto con il contributo di un personaggio che, a causa della grave malattia che la divorava, ormai non era più nel pieno possesso delle sue facoltà mentali.
Ma se il “fallacismo” è stato in qualche modo il parto di una “follia” non dovrebbe essere anche trattato esso stesso come caso clinico ? Una bella forma di esorcismo e di “smitizzazione”…

La “rete” si sta sempre più affermando come una realtà fluida, complessa e sfuggente, ineludibile in ogni caso. Il suo stesso carattere magmatico non si presta ad un reale controllo totale anche se le tentazioni sono evidenti e sotto gli occhi degli addetti ai lavori. L’emendamento D’Alia è stato oggetto di inevitabili discussioni e di comprensibili critiche, ma io non mi addentrerò nel merito dell’argomento, né mi soffermerò nei tecnicismi. Mia intenzione è allargare il raggio tematico ed investirlo sull’eterna questione della censura, della sua legittimità e della sua applicabilità. Che si respingano i tentativi di imporre il controllo e la sorveglianza sulla rete per reprimere e censurare in qualche modo le opinioni e le informazioni “scomode” mi pare più che doveroso, tanto più doveroso in tempi come questi tenendo conto delle tentazioni autoritarie più volte espresse dal leader di questo governo. La “rete” può essere molte cose, ma sicuramente dà l’opportunità di poter fare sentire voci diverse e differenti da quelle dei media ufficiali, voci anche ben degne di essere ascoltate e con le quali confrontarsi. Il problema, però, in sé della censura non si può liquidare con una posizione magari pregiudizievole e liquidatoria data la sua complessità.
Certo: tutti siamo d’accordo che le istigazioni a delinquere, le esaltazioni mafiose, la pedopornografia vanno perseguite severamente.
Certo: ci troviamo d’accordo in linea di massima a respingere i tentativi “statuali” di controllare informazioni ed opinioni nella “rete”.

Poniamoci, tuttavia, delle domande che, investendo le questioni della censura e anche della repressione in senso più ampio, ineriscono pure il concetto stesso di libertà e la sua portata.
Dove iniziano e dove finiscono i confini della mia libertà e dove iniziano e dove finiscono i confini della libertà degli altri da me ? Come si ripercuote ciò sulla libertà di espressione ?
Già occorrerebbe prendere atto di una semplice e pura realtà : giornali, riviste, telegiornali, giornali radio, blog, ecc… hanno tutti e ripeto tutti una linea editoriale che traccia una frontiera più o meno precisa su quello che può o non può essere scritto e detto dagli operatori e dai collaboratori.
Non esiste, quindi, media che non sia “tendenzioso” anche dietro le apparenze di una pretesa neutralità o dietro lo schermo di un comodo conformismo o che garantisca effettivamente a chiunque di esprimersi come vuole e sugli argomenti che vuole… Questa però è verità banale e allora allarghiamo lo sguardo e affrontiamo direttamente il tema dei confini della legittima opinione. Siamo tutti d’accordo nello stabilire che i comportamenti palesemente criminali e la loro propagazione non devono avere diritto di cittadinanza nella “rete”. Essendo media e di dominio pubblico, si presterebbe all’istigazione a delinquere. Siamo quindi pure d’accordo se per caso qualcuno manifestasse l’intenzione di uccidere o istigasse la sua utenza ad uccidere un individuo. Orbene, può valere la stessa argomentazione se l’oggetto delle attenzioni non proprio amorevoli di un blog o della sua utenza fosse un soggetto collettivo definito dalla razza, o dalla fede religiosa o politica, dall’etnia, dalla classe, dal genere sessuale e via discorrendo ? Può rientrare nell’ambito della “normale” opinione politica l’istigazione allo sterminio o al linciaggio di un’intera collettività ? Non sono questioni così pacifiche… Se si accetta il principio della responsabilità, della responsabilità individuale non si può far passare l’idea che l’opinione diffusa e propagata dai media sia “normale” ed innocua, perché a monte delle pietre e dei proiettili ci sono sempre state le parole e, vorrei ribadire, che spesso coloro che hanno lanciato le prime pietre e sparato le prime pallottole in forma di inchiostro e di parola sono stati anche i primi a tirarsi indietro vigliaccamente lasciando che altri pagassero il prezzo di quelle scelte sciagurate. Ad esempio non si possono scindere e separare le BR – che, come ho sempre riconosciuto, sono state anche il frutto amaro della provocazione – dal caldissimo clima della sinistra extraparlamentare di quegli anni.
A maggior ragione non può che essere ribadito il principio della responsabilità anche per le opinioni quando vengono propalate attraverso i media.

Un altro problema che soprattutto la “fluidità” della rete pone è riconducile proprio al “fallacismo” e ai suoi nefasti effetti. Mi spiego: assodata la diffusione della “rete” a livello di massa conseguentemente la sua rappresentatività per quanto riguarda la società intera, occorre prendere atto come anch’essa sia intrisa di “fallacismo”. Non fraintendete, so benissimo che la “visceralità” “fallace” o “fallaciana” è stata veicolata attraverso giornali e produzione libraria, però bisogna ammettere che la (relativa) garanzia di anonimato fornita dalla “rete” incoraggia modalità espressive che appartengono a quel repertorio. Lasciamo perdere i provocatori di vocazione e di professione e coloro che si divertono a seminare zizzania come se fossero nel mezzo di un videogame interattivo. Se si guarda ai topic e alle discussioni vedrete come l’utenza si azzuffa virtualmente e prende parte a risse verbali dando sfogo alla propria istintualità ed emotività. Si può anche assistere a contese e blogwar sorte da inimicizie e antipatie che sfociamo in piccole ma irritanti guerre fra gruppi, branchi e bande. Non è un bello spettacolo, ma, soprattutto, non c’è nulla di veramente costruttivo. Il confronto anche duro e serrato in questo modo viene bandito per lasciare spazio a “microconflitti” di soggetti che, pur rivendicando la propria alterità e diversità, si menano reciproci fendenti utilizzando lo stesso linguaggio aggressivo. Non occorrerebbe, poi, rammentare nuovamente quanto sia pernicioso il linguaggio “fallaciano”, adatto alle guerre fra invasati. In questi casi, senza che intervenga nessuna censura “statuale” si spinge una buona fetta di utenti ad abbandonare la navigazione e la discussione sulla “rete”. Il “fallacismo” produce sia pur piccole “implosioni…

Al termine di queste argomentazioni sono piuttosto sicuro che molti lettori penseranno che HS stia tentando di far rientrare dalla finestra ciò che aveva fatto uscire dalla porta, che alla fine di tutte le fiere stia subdolamente invocando interventi censori. In realtà dico solo che, se non si vogliono concedere pretesti al Potere per imporre interventi repressivi e censori, occorrerebbe che – ma questa, ribadisco, è solo una mia idea – fossero i bloggers stessi, almeno i bloggers coscienziosi, ad attivarsi e concordare una carta che stabilisca delle regole di discussione e confronto collettivamente valide per conciliare il principio della responsabilità con quello di libertà di espressione e di opinione. So bene che è un compito arduo e difficile, ma , a mio parere, varrebbe la pena tentare. Non dimentichiamoci che è anche dallo stile, dal tono e dalle modalità di espressione che si sostanziano i comportamenti. Non è importante solo l’idea e l’opinione in sé, ma anche e soprattutto l’azione che si concreta anche a partire dal modo in cui si esprime e l’idea e l’opinione.
Per il resto – e ci mancherebbe ! – il “fallacismo” costituisce non solo un problema per la “rete”, ma per la società intera e che non può essere affrontato diversamente se non toccando la questione educativa. Gli agenti di socializzazione dovrebbero essere valorizzati in tal senso…

Ricapitoliamo :

– Il neo capitalismo postmoderno, globalizzante ed “americaneggiante” deve la sua forza soprattutto al fatto di riuscire a mantenere, in certa misura, la crescita economica e il relativo benessere dei “ceti medi”.

– La coperta diventa sempre più corta e il sistema entra in crisi suscitando incertezze e frustrazioni proprio a partire dai “ceti medi”. Le paure per il futuro generano anche rabbia e malcontento.

– Coloro che, sostanzialmente, possiedono le chiavi o, comunque, le informazioni che reggono il Mercato, hanno ampiamente previsto i tempi della crisi e, prendendone atto, sviano l’attenzione portandola verso altri presunti problemi ed identificando il Nemico da combattere. L’identificazione è tanto più efficace quanto più il nemico costruito è “reale”.

– La Guerra diviene la panacea di tutti i mali del neocapitalismo perché concentra altrove le tensioni. E’ “guerra di civiltà” e “guerra di tutti contro tutti”, di “vicinato”.

– Al contempo, per perseguire obiettivi economici e strategici e per promuovere politiche securitarie all’insegna della “zero tolerance” la diffusione del “clima da guerra” risulta sempre utile ed in tal senso al Potere occorre amplificare, enfatizzare, espandere… In questo contesto quel che è successo in Italia con la diffusione del “fallacismo” è assai significativo. L’operazione mediatica, culturale e commerciale del “fallacismo” coglie ed ingigantisce la visceralità dei tempi.

– Dopo l’11 settembre e con il “fallacismo” siamo già al neocapitalismo postpostmoderno contrassegnato dalla Crisi. In luogo della solidarietà vengono incentivate e si diffondono il reciproco odio e disprezzo fino alle esplosioni di microviolenza fisica e verbale. E’ l’altro segno della “guerra di civiltà”, quella dal basso. Le persone faticano ad incontrarsi e spesso si urtano come per un insopprimibile bisogno.

– Il nuovo clima pone problemi che investono la stessa libertà di opinione e gli strumenti censori, in primo luogo nella “rete”.

Dopo l’11 settembre eravamo già altrove, già trapassati…

Eravamo già dentro, ma non lo sapevamo…

HS
Fonte: www.comedonchisciotte.org
17.03.2009

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