DI SPENGLER
I vertici militari diedero inizio alla pianificazione bellica basata sugli indici demografici antecedentemente alla Prima Guerra Mondiale, calcolando quanti uomini in età di leva potessero essere dati in pasto alle mitragliatrici. La Francia optò per una guerra entro tempi brevi, giacché la stagnazione demografica interna non avrebbe prodotto abbastanza soldati, da lì a una generazione, per poter fronteggiare la Germania. Oggi quello israeliano è l’unico Stato Maggiore a tener d’occhio gli indici demografici, onde tracciare, in prospettiva, i confini entro cui sarà racchiusa la futura maggioranza ebraica.Gli studi demografici continuano a fornire informazioni di vitale importanza strategica, sebbene per altre vie. Gli islamisti di oggi la pensano come i francesi nel 1914. L’Islam ha a disposizione una sola generazione per
imporre una teocrazia globale, prima di incappare in una barriera demografica.L’Islam ha giovani uomini a sufficienza – si prevede che il bacino degli Arabi disoccupati raggiunga i 25 milioni entro il 2010 – per combattere una guerra nei prossimi 30 anni. A causa della massiccia immigrazione in Europa occidentale, la parte peggiore della guerra potrebbe essere combattuta sul suolo europeo.
Sebbene il tasso di natalità islamico sia oggi il secondo più alto nel mondo (dopo quello dell’Africa sub-sahariana), esso sta calando più velocemente del tasso di natalità di tutte le altre culture. Entro il 2050, secondo le ultime proiezioni dell’ONU, il tasso di crescita demografica del mondo mussulmano sarà pari a quello degli Stati Uniti (sebbene ancora molto più alto rispetto a quello di Europa e Cina).
Il calo della fertilità è una misura della crescente influenza della modernità nel mondo mussulmano. Il tasso di alfabetizzazione, specialmente tra le donne, è la migliore spiegazione della differenza tra gli altissimi tassi di fertilità della società pre-moderna e i moderati tassi di fertilità delle nazioni industriali, come ho dimostrato in un recente studio (Death by secularism: The statistical evidence, August 1, 2005).
E’ evidentemente il caso del mondo mussulmano, dove il tasso minimo di alfabetismo tra gli adulti corrisponde al massimo tasso di crescità demografica. L’alfabetismo spiega da solo il 58% delle variazioni nel tasso di natalità tra le nazioni mussulmane.
In assenza di radicali contromisure, l’urbanizzazione,
l’alfabetizzazione e le aperture al mondo moderno finiranno per rendere sterili i grembi mussulmani.
In un nuovo volume di saggi sul pensiero islamico moderno, gli islamisti Suha Taji-Farouki e Basheer M Nafi osservano: “Piuttosto che che di uno sviluppo di una tradizione culturale generato dall’interno, per il pensiero
islamico del XX secolo si può parlare di una natura sostanzialmente reattiva; si tratta, in pratica, di una risposta alle sfide esterne” [1]. La sfida proviene dalla trasformazione dello stile di vita mussulmano:
“Nel Medio Oriente del 1900, per esempio, meno del 10% della popolazione era costituito da residenti urbani; nel 1980 tale cifra era salita al 47%. Nel 1800 la popolazione del Cairo ammontava a 250.000 abitanti, saliti a 600.000
agli inizi del XX secolo. L’afflusso senza precedenti di immigrati dalle aree rurali ha portato la popolazione del Cairo a quasi 8 milioni nel 1980. La massiccia urbanizzazione ha alterato gli stili di vita, l’alloggiamento e
l’architettura, la relazione umana con lo spazio e il territorio, il commercio, le occupazioni, il consumo e l’essenza della struttura familiare e della gerarchia sociale. [2]
Il netto calo del tasso di natalità presso le popolazioni mussulmane è espressione dell’estrema fragilità della società tradizionale. Tradotto nella terminologia del vocabolario islamico (citando nuovamente Taji-Farouki e Nafi ), ciò significa che:
“Il senso di vulnerabilità e lo sdegno del Mussulmano è ulteriormente esacerbato dall’apparentemente inarrestabile intrusione della cultura popolare americana, dalle mode del consumismo e dall’evidente ipocrisia della retorica americana riguardo le libertà e i diritti universali. Esso è inoltre alimentato dalle ambivalenze dell’Occidente in rapporto alle disparità economiche nel mondo [3]
Di certo, una rapida urbanizzazione ha prodotto, in ogni caso documentato, crescenti sofferenze. La Gran Bretagna trasferì il suo eccesso di popolazione prima in America e poi in Australia,includendo lo sgombero forzato di interi villaggi scozzesi, imbarcati a forza per il Canada.
L’urbanizzazione del mondo arabo ha creato soltanto un bacino stagnante di povertà urbana. Come sintetizzato dal London Economist, secondo lo “United Nations Arab Development Report for 2002”:
Un arabo su cinque vive ancora con meno di 2$ al giorno . E negli ultimi venti anni la crescita del reddito pro-capite, con un tasso del 5% annuo, è stata la più bassa del mondo, eccezion fatta per l’Africa sub-sahariana. A questa velocità, afferma la relazione, l’arabo medio impiegherebbe 140 anni per raddoppiare il proprio reddito, un risultato che in altre aree è raggiunto, in base alle previsioni, in meno di dieci anni. La crescita stagnante, unita ad una popolazione in rapida crescita, significa posti di lavoro in meno. Circa 12 milioni di persone, il 15 % della forza lavoro, sono già disoccupate e al ritmo attuale tale cifra potrebbe raggiungere i 25 milioni entro il 2010. [4]
Escludendo l’Indonesia, il tasso di alfabetizzazione del mondo mussulmano si attesta solo al 53%, contro l’81 % della Cina; l’alfabetizzazione araba è appena del 50% . Solo l’1% della popolazione possiede un personal computer.
E’ deprimente pensare che il mondo arabo, che oggi esporta quanto la Finlandia (petrolio a parte) potrebbe arrivare a competere con la Cina, l’India e il resto dell’Asia nel mercato globale di beni e servizi.
Proprio mentre la popolazione raggiunge il suo picco, l’unica grazia che la natura ha concesso agli Arabi, ovvero il petrolio, comincia a diminuire.
Secondo il Dipartimento dell’Energia americano, la produzione del petrolio convenzionale raggiungerà il suo picco appena prima del 2050, fermo restando l’attuale tasso di crescita della produttività al 2%.
In breve, da qui a cinquant’anni, il mondo mussulmano può attendersi soltanto il peggio. Esso ha generato solo due, grandi, surplus: uomini e petrolio.
Dalla metà del secolo avranno entrambi iniziato a discendere la Cina. Ma al momento possiede 25 milioni di giovani inoperosi. Non c’è leader che potrà restare al potere senza dar loro una meta verso cui marciare.
Questo non significa in nessun modo che ognuno di questi 25 milioni di uomini diverrà un dinamitardo kamikaze, ma una gran parte di essi emigrerà probabilmente in Europa, inclusa quella orientale, dove la crescità demografica è stagnante e prossima al declino. Un predominio mussulmano sull’Europa Occidentale rientra sicuramente tra gli esiti possibili.
Fonte:/www.atimes.com
link: http://www.atimes.com/atimes/Front_Page/GH23Aa01.html
23.08.05
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di WATU
Note
[1] Suha Taji-Farouki and Basheer M. Nafi, Islamic Thought in the Twentieth Century (Tauris: London 2004), p 9
[2] Ibid, p 2
[3] Op cit, p 14
[4] Economist, July 4, 2002
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NOTA DELLA REDAZIONE: La redazione, pur non condividendo il punto di vista dell’autore, pensa che l’articolo fornisca prospettive da valutare.