Una controversa, ma interessante intervista a Chomsky sul Guardian e le sue reazioni.
Intervista di Emma Brockes a Noam Chomsky
D: Prova rimorso per aver sostenuto quelli che affermano che il massacro di Srebrenica fu un’esagerazione?
R: Il mio solo rammarico è di non averlo fatto abbastanza energicamente.
DI EMMA BROCKERS
Malgrado sia convinto che la maggior parte dei giornalisti siano degli inconsapevoli sostenitori dell’imperialismo occidentale, Noam Chomsky, il radicale dei radicali, accetta di incontrarmi nel suo ufficio di Boston. Egli lavora come professore di linguistica, una specie di alter ego alla Clark Kent del suo Superman attivista, con la sua maglia a quadri, grandi scarpe sportive bianche ed una giacca da nonno con una tasca disegnata appositamente per contenere un termos. Sulla scrivania c’è un pacchetto semivuoto di biscotti ai fichi.
Tale è l’effetto di un’ora trascorsa con Chomsky che, scrivendo questo, mi chiedo: è sbagliato citare i biscotti al gusto di fico quando a El Salvador continua una sofferenza non documentata?
A dire il vero sono qui perché Chomsky, 76 anni, è stato votato dalla rivista Prospect come il più importante intellettuale del mondo, ma egli non sembra mostrarne interesse.Crede che ci sia un fraintendimento su ciò che significa essere intellettuale. Non è una questione di intelligenza, come per il numero 5 della lista (Christopher Hitchens) o di dono poetico per il numero 4 (Vaclav Havel), o un tipo di eloquenza che si presta nelle apparizioni televisive, come il numero 37, colui che pensa come una ragazza pin-up, Michael Ignatieff, che Chomsky chiama un apologeta della classe dominante ed una dispensa di “immondizia”.
Chomsky, al contrario, parla con una voce rauca appena udibile, e delle sue apparizioni televisive, che non hanno incontrato molto successo, ha scritto in modo superficiale: “La bellezza della concisione sta nel fatto che puoi solo ripetere opinioni convenzionali.” Essere intellettuale, egli crede, è funzione di una ricerca delle prove faticosa e lenta “usando la propria intelligenza per decidere ciò che è giusto”.
Questo è, naturalmente, ciò che Chomsky ha fatto negli ultimi 35 anni, e le sue conclusioni rimangono polemiche: vale a dire che ogni presidente USA a partire dalla Seconda Guerra Mondiale è stato colpevole di crimini di guerra; che nel contesto interno della storia della Cambogia, i Khmer Rossi non erano così cattivi come tutti credono; che durante la guerra in Bosnia il “massacro” di Srebrenica fu ingigantito (Chomsky usa le virgolette per contraddire ciò che non condivide e, almeno sulla carta, può apparire meno accademico e più disdegnosamente ragazzino; come per esempio nell’affermazione Srebrenica non fu un massacro.)
Mentre i suoi critici lo considerano un revisionista ossessivo, adesso più che mai la tendenza prevalente di Chomsky è il disgusto per l’espansione del governo Bush; il libro che ha pubblicato dopo l’attacco alle torri gemelle, intitolato 9-11, ha venduto 300.000 copie. Dato il fatto che fino a poco tempo fa ha lavorato a tempo pieno al Massachusetts Institute of Technology, rimangono dei sospetti su come egli sia apparentemente riuscito a diventate un esperto di ogni conflitto abbia avuto luogo a partire dalla Seconda Guerra Mondiale; si può presumere dalle sue critiche che egli abbia colmato i vuoti di sapere con la propria ideologia.
Chomsky sostiene che questa è solo pigrizia dei ruoli di chi critica e aggiunge “i migliori scienziati non sono quelli che conoscono la maggior parte delle informazioni; ma coloro che sanno ciò che stanno cercando.”
Inoltre, di tutti gli intellettuali della lista di Prospect, Chomsky è colui che spesso è maggiormente accusato di impantanare un dibattito in spazzatura intellettuale, ciò che lo scrittore Paul Berman chiama “la sua abituale bufera di informazioni incomprensibili”. Gli chiedo se ha una memoria fotografica e Chomsky sorride. “Al contrario, non ricordo i nomi, non ricordo le facce. Non possiedo talenti particolari che nessun altro ha.”
La sua dose quotidiana di notizie proviene regolarmente dalla stampa nazionale e dal pescare qua e là su riviste specialistiche. Immagino sia un fan di Internet, data la sua bassa opinione dei mass media di governo (per riassumere: Internet sarebbe usato più per “ragioni economiche che da una cospirazione di persone”. Vorrei discutere di questo ma non voglio sprecare tutto il tempo a disposizione con Chomsky) .
Rimango sorpresa quando egli dice che va online “a caccia di documenti, o dati storici. Internet è un mezzo consuma-tempo incredibile. Una buona cosa di Internet è che tu puoi creare tutto quello che ti piace, ma significa anche poter creare qualsiasi cosa senza valore. Se le agenzie di Intelligence avessero saputo ciò che stavano facendo, avrebbero stimolato le teorie di cospirazione solo per allontanare la gente dalla vita politica, tenerla lontana dal fare domande serie. Esiste un tipo di presunzione, che se qualcuno scrive una cosa su Internet, allora è vera”.
Esiste questa presunzione? È chiaro, immediatamente, che l’opinione di Chomsky può sfaldarsi come quella di ogni altra persona; egli la afferma solo più vigorosamente. Gli dico che molta gente che conosco non crede a niente di ciò che legge su Internet e lui dice, chiaramente, “anche questo è pericoloso”. Le sue risposte alle critiche variano da questo tipo di moderato interesse, durante la nostra successiva irascibile conversazione sulla Bosnia, all’abitudine di criticare i suoi oppositori che egli chiama “isterici”, “fanatici “ e “confusionari arrabbiati”. Io sospetto che essere il destinatario di posta proveniente da svitati, come egli li chiama (riceve almeno quattro e-mail al giorno che lo accusano di essere un agente del Mossad, un agente CIA o un membro di al-Qaida), gli abbia fatto assumere una posizione difensiva piuttosto fortificata. Chomsky sospira e dice che non ha mai dichiarato di avere il monopolio della verità, poi sembra contento per un momento e dice che la sola persona che lo fa è sua moglie, Carol. “I miei nipoti la chiamano Bocca della Verità. Quando li stuzzico e non si fidano che di ciò che dico, si girano verso di lei a chiederle: Bocca della Verità, è vero?”
L’attivismo di Chomsky affonda le sue radici nella gioventù. È cresciuto negli anni trenta della grande depressione, figlio di William Chomsky e Elsie Simonofsky, immigrati Russi a Philadelphia. Egli descrive la famiglia come appartenente alla “classe lavoratrice ebrea”, molti dei quali erano disoccupati, anche se i suoi genitori, entrambi insegnanti, furono abbastanza fortunati da trovare lavoro. Non prevaleva la sensazione che l’America fosse una terra promessa: “non fu nient’altro che un luogo nel quale alla mia famiglia fu concessa un’opportunità,” egli dice, sebbene fosse un posto migliore rispetto alle violente sommosse popolari antiebraiche russe di quel tempo [conosciute con il nome di Pogrom, inizio ‘900] che Chomsky considera “non male, per gli standard contemporanei di quel tempo. Nel peggiore dei principali massacri, penso che rimasero uccise circa 49 persone.”
La casa di Philadelphia fu affollata, di zie e cugini, molte di loro erano sarte che sopravvissero alla depressione grazie all’aiuto dei sindacati, gli International Ladies Garment Union. Chomsky aveva quattro anni quando fu testimone, a bordo di una macchina, di scioperanti picchiati dalla polizia fuori da uno stabilimento tessile. A dieci anni scrisse il suo primo opuscolo politico, contro l’ascesa del fascismo in Spagna. “Rifletteva parte di quell’atmosfera” egli dice.
I Chomsky erano una delle poche famiglie ebree in un quartiere di tedeschi e irlandesi, e Chomsky e suo fratello facevano spesso a pugni per strada; egli ricorda che ci furono i festeggiamenti quando Parigi cadde in mano ai tedeschi. I suoi genitori tennero la testa bassa fino alla loro morte, egli dice, “ non si conosceva niente di ciò che accadeva oltremare”. Chomsky ebbe la scelta tra diversi modelli di vita. C’era la famiglia di suo padre a Baltimora, che era “ super-ortodossa”. “ Essi regredirono alla stadio in cui erano anche prima che abitassero a shtetl [termine yiddish con cui si è soliti indicare le comunità ebraiche di un tempo, che nell’Europa orientale vivevano strette a sé; termine comprensivo non solo di mutua solidarietà, comunanza religiosa, politica e razziale, tendenza all’autogoverno e all’autodifesa, ma di tutto ciò che, nella Diaspora, contrastava maggiormente l’assimilazione – quest’ultima minaccia massima all’identità ebraica], che è insolito tra le comunità di immigrati. Una tendenza per ravvicinarsi e tornare indietro per esaltare le radici culturali da cui provieni.” Poi sorride ed afferma: “E’ un mondo aggressivo”.
Oppure c’era la famiglia di sua madre a New York, affollata in un appartamento del governo e sostenuta soltanto dal reddito di uno zio disabile, a cui fu data dallo stato una bancarella di giornali per la sua condizione di disabilità.
Il radicalismo di Chomsky si sviluppò per tutto il tempo che trascorse, dai 12 anni, recandosi a New York nel week-end per dare il suo aiuto alla bancarella di giornali.
“Diventò come un bar,” egli dice. “Mio zio non ebbe alcuna educazione formale ma fu un uomo intelligente – partecipò a tutti i gruppi di sinistra, dai Comunisti ai Trotzkisti agli anti-Leninisti; fu molto coinvolto nella psicoanalisi. C’erano molti emigrati tedeschi a New York a quel tempo e la sera si riunivano attorno alla bancarella dei giornali per discutere. Mio zio finì per diventare un ricco analista sulla Riverside Drive.” Scoppia in una risata.
Era un periodo, dice Chomsky, durante il quale nessuno sapeva ciò che stava accadendo. Discutevano la possibilità di una rivoluzione socialista, o di un completo collasso della nazione. Tutto sembrava possibile. Influenzato da questo tipo di discussioni, arrivò alle scuole superiori e più tardi al college, “inutile e stupito” afferma..
Stava pensando di lasciare l’Università della Pennsylvania quando incontrò il suo secondo mentore, Zellig Harris, un professore di linguistica che lo incoraggiò a coltivare i suoi interessi accademici.
Chomsky è cresciuto in una famiglia in cui il linguaggio era molto importante; i suoi genitori parlavano Yiddish [lingua parlata dagli ebrei dell’Europa dell’Est, miscuglio tra tedesco ed ebraico] e suo padre scrisse un PhD [dottorato di ricerca] sull’Ebraico del 14-esimo secolo, che il giovane Chomsky lesse con interesse. Così egli continuò gli studi di linguistica e molti anni dopo formulò una teoria rivoluzionaria, quella della “grammatica universale”, l’idea che la struttura del cervello per il linguaggio sia congenita piuttosto che una funzione dell’esperienza. Che dal mio punto di vista lo potrebbe far apparire come un giovane uomo che pensava, con alcune giustificazioni, di sapere più di quando insegna.
Ma Chomsky si irrita nel sentire la parola arrogante e dice: “No. Presumevo di sbagliare, e riconobbi che l’approccio standard [alla linguistica] era corretto.”
Anche se continuò i suoi studi ad Harvard, in una rara concessione di sentimentalismo egli si considera “autodidatta”.
Ci furono solo un paio di anni a metà dei ’50 quando egli abbandonò l’attivismo. Incontrò e sposò Carol Schatz, una collega linguista, ed ebbero tre figli. Chomsky dovette scegliere se continuare con l’attivismo o lasciar perdere. Le proteste della guerra del Vietnam stavano ricevendo forti attacchi, c’era il pericolo reale di una condanna alla prigione, così probabile che Carol si riscrisse al college in caso avesse dovuto diventare il solo sostegno per la famiglia. Ma Chomsky non era, egli dice, il tipo di persona che poteva partecipare ad una dimostrazione occasionale e poi sperare che il mondo si fosse aggiustato il solo.
“Si, mia moglie cercò di scoraggiarmi, proprio come fa adesso. Ma sa che posso essere inflessibile e che andrò avanti con questo fino a alla fine.”
In questi giorni, Carol accompagna suo marito alla maggior parte delle apparizioni pubbliche. E’ stato chiesto a Chomsky di prestare il suo nome anche per le cause più idiote e Carol tenta sempre di intervenire per tenere la sua agenda sotto controllo. La scelta di una causa sbagliata riguardò delle accuse avanzate dalla rivista Living Marxism secondo cui durante la guerra in Bosnia, i proiettili usati nel documentario della ITN [1992] su un campo di detenzione serbo erano falsi. La rivista fallì dopo la causa con ITN, ma la controversia esplose di nuovo nel 2003 quando una giornalista di nome Diane Johnstone fece simili accuse su una rivista svedese, Ordfront, uscendo in edicola con il numero ufficiale di vittime sul massacro di Srebrenica. (Diane Johnstone affermò che il numero era esagerato).
Nel successivo scalpore, Chomsky prestò il suo nome ad una lettera di elogio per “il lavoro irrisolto” di Diane Johnstone. Si rammarica di averla firmata? “No,” afferma indignato. “E’ un caso irrisolto. Il mio solo rammarico è che non l’ho fatto abbastanza energicamente. Può essere sbagliato, ma è un lavoro molto attento ed irrisolto”.
Come può, mi chiedo, un giornalista sbagliarsi e continuare a sostenere la sua tesi?
“Guarda,” dice Chomsky, “c’è stato un fanatismo isterico sulla Bosnia nella cultura occidentale maggiore di una appassionata convinzione religiosa. Era come uno Stalinismo vecchio stile: se ti allontanavi un paio di millimetri dalla linea del partito, era considerato un traditore, ed eri distrutto. E’ totalmente irrazionale. E Diane Johnstone, che ti piaccia o no, ha fatto un serio ed onesto lavoro. E nel caso della rivista Living Marxism, per una grande corporation mettere fuori dal mercato un piccolo giornale per aver pubblicato un articolo falso, è oltraggioso.”
“Non pensavano” fosse falso, ma questo è quello che fu provato in tribunale.
Ma Chomsky insiste che Living Marxism probabilmente aveva “ragione” e che, questo è irrilevante. “Non ha niente a che con il fatto se Living Marxism o Diane Johnstone avessero ragione o torto. “E’ una questione, egli dice, di libertà di parola. “E se si sbagliavano, ok; ma non ingigantire la questione perché se dici che sei a favore di questo allora sei a favore di mettere gli ebrei nelle camere a gas.”
Eh? Nessuno che è in disaccordo con lei è un “fanatico”, dico io. Esistono oneste e serie persone.
“Come chi?”.
“Come il mio collega, Ed Vulliamy.”
Il lavoro di Vulliamy per il Guardian sulla guerra in Bosnia gli valse il premio di reporter internazionale dell’anno nel 1993 e 1994. Fu presente quando fu realizzarono il documentario di ITN sul campo di concentramento in Bosnia e sostenne la loro causa contro Living Marxism magazine.
“Ed Vulliamy è un giornalista molto bravo, ma gli accadde di essere coinvolto in una storia che probabilmente non è vera”. L’ex presidentessa serbo-bosniaca Biljana Plavsic fu riconosciuta colpevole di crimini contro l’umanità [condannata ad 11 anni].
“Certamente era colpevole. Ma se vogliamo inquadrare la situazione da un punto di vista critico va anche detto che il Generale Lewis MacKenzie che era il generale canadese che si occupava del caso, ha scritto che gran parte delle storie erano completamente senza senso”.
E così va avanti la conversazione, con Chomsky piuttosto irritato verso il modo con cui Vulliamy ha raccontato la storia della guerra. Io suggerisco che se avranno una diatriba sarà risolta dai sopravvissuti di Srebrenica e dalla minimizzazione delle loro esperienze. A questo punto Chomsky si altera. “Questa è proprio la posizione dell’Europa occidentale. Siamo abituati a premere il nostro stivale da marinaio sui colli della gente, così non vediamo le nostre vittime. Io le ho viste: vai nel Laos, ad Haiti, a El Salvador. Vedrai gente che soffre realmente per la brutalità. E questo non ti dà il diritto di mentire sulla loro sofferenza”. E questo credo sia il motivo per cui ITN andò in tribunale.
Potete prendere una quantità innumerevole di conflitti per iniziare un discussione accesa con Chomsky. Vedendo la piega irascibile ha preso questa intervista, ritengo che possiamo continuare su questa linea e gli chiedo se non trova ironico che, dato il suo punto di vista sul sistema capitalistico, egli ne beneficia. “Bene, quale sistema capitalistico? Tu usi il computer? Usi Internet? Prendi l’aereo? Questo fa parte di un settore dell’economia. Io certamente sono un beneficiario di questo sistema basato sullo stato, quasi di mercato; significa che non dovrei cercare di migliorare la società?”.
Ok, prendiamo la situazione base, che somiglia ad un sistema di mercato. Lei possiede un portafoglio di titoli azionari? Si guarda intorno.
“Dovrei chiedere a mia moglie. Di sicuro lo tiene lei. Non vedo perché non dovrebbe. Aiuterei la gente se andassi nel Montana e vivessi su una montagna? Solo alla mente degli occidentali privilegiati – ben educati ed inoltre profondamente irrazionali – balena sempre questa idea. Quando visito i contadini del sud Colombia, non mi fanno queste domande.”
Io lascio intendere che alla gente non piace sentirsi chiedere della propria vita da qualcuno che considerano ipocrita. “Non ci sono elementi di ipocrisia”.
Egli mi sorride e finiamo qui l’intervista.
Fonte:
books.guardian.co.uk
Scelto e tradotto per www.comedonchisciotte.org da Manrico Toschi
31.10.05
Allarme media: screditare Chomsky – il Guardian nel disonore
Introduzione
Il 31 Ottobre, il Guardian ha [pubblicato un’intervista di Emma Brockes a Noam Chomsky, “Il più grande Intellettuale?” (The Guardian, 31 Ottobre 2005, ).
Il motivo dell’articolo era apparentemente in risposta al fatto che la settimana prima Chomsky era stato votato come il più importante intellettuale pubblico dalla rivista Prospect. Chomsky descrive il trattamento che ha ricevuto da parte del quotidiano come “uno dei comportamenti più disonesti e codardi che io ricordi di aver mai visto nei mass media” (Copia dell’ email inviata a Media Lens, 2 Novembre 2005).
Il sottotitolo all’introduzione dell’articolo recitava:
“D: Prova rimorso nel supportare chi sostiene che il massacro di Srebrenica da lei descritto fu un’esagerazione?
R: Il mio solo rammarico è di non averlo fatto abbastanza energicamente.”
Sorprendentemente, e molto stupidamente, questa risposta attribuita a Chomsky era in realtà riferita ad un’altra domanda rivolta durante l’intervista. Nella lettera all’editore pubblicata nel Guardian il 2 Novembre, Chomsky ha spiegato:
“Ho espresso il mio rammarico: specificamente per non avere sostenuto il diritto di Diana Johnstone di rendere pubblico quando il suo libro fu ritirato dall’editore a seguito di disonesti attacchi, che io ho riesaminato in una lettera aperta e che ogni giornalista poteva facilmente reperire. Il resto dell’articolo della Brockes continua sulla stessa linea. Anche quando le parole che mi si sono attribuite hanno qualche somiglianza con la verità, non mi assumo alcuna responsabilità per queste, a causa dei contesti inventati nei quali queste parole appaiono.”
“Riguardo alla sue [di Brockes] personali opinioni, interpretazioni e distorsioni, naturalmente è libera di pubblicarle, e io certamente le riconosco il diritto di farlo nella consapevolezza che chiarisca di non aver capito.” Noam Chomsky (‘Falling out over Srebrenica,’ The Guardian, Novembre 2, 2005)
Ecco come la Brockes ha presentato la discussione nel suo articolo:
“Si rammarica [Chomsky] di averla firmata [una lettera per supportare il lavoro della Johnstone]? “
“No,” egli afferma indignatamente. “E’ un caso irrisolto. Il mio solo rammarico è che non l’ho fatto abbastanza energicamente. Può essere sbagliato, ma è un lavoro molto attento ed irrisolto”.
L’incompatibilità delle domande contenute nel sottotitolo della Brockes con le risposte è un autentico scandalo – un profondo cinismo nel quale anche i giornalisti fiancheggiatori del governo raramente sprofondano.
Nel terzo paragrafo dell’articolo, la Brockes ha scritto che le “conclusioni di Chomsky rimangono polemiche”, specificando:
“vale a dire che ogni presidente USA a partire dalla Seconda Guerra Mondiale è stato colpevole di crimini di guerra; che nell’ interno contesto della storia della Cambogia, i Khmer Rouge non erano così cattivi come tutti credono; che durante la guerra in Bosnia il “massacro” di Srebrenica fu ingrandito (Chomsky usa le virgolette per contraddire ciò che non condivide e, almeno sulla carta, può apparire meno accademico e più disdegnosamente ragazzino; come per esempio nell’ affermazione, Srebrenica non fu un massacro.)”
Noi abbiamo scritto alla Brockes:
“Qual è la fonte della tua affermazione secondo cui Chomsky non era d’accordo con l’idea che ci sia stato un massacro a Srebrenica? Dove, per esempio, egli ha usato le virgolette in riferimento al massacro? (Email, 2 Novembre 2005)
E’ una domanda importante, perché Chomsky è ostinato nell’affermare che tali fonti non esistono. Egli ci ha scritto riguardo alla Brockes:
“…nella sua argomentazione, che afferma che io metto la parola ‘massacro’ tra le virgolette. Pura fabbricazione. Ella e gli editori sanno perfettamente che non c’è niente di questo scritto, o in altro modo, certamente non in una intervista: le persone non parlano usando le virgolette. Ecco perché le hanno consentito di riferirsi vagamente alla frase che ha inventato, così da insinuare che fosse stata scritta – ed ella sa, gli editori sanno, che è una menzogna. Provate a chiederle di fornire la prova.” (Email a Media Lens, 2 Novembre 2005)
Non abbiamo ricevuto risposta dalla Brockes.
Abbiamo impiegato pochi minuti per fare una ricerca su Internet e scoprire che numerose citazioni contraddicevano totalmente le affermazioni della Brockes. Per esempio, nel suo articolo di Gennaio/Febbraio 2005, “Presidenza Imperialista”, Chomsky descrive l’assalto Usa a Falluja del Novembre 2004 come “un crimine di guerra per il quale la leadership politica avrebbe potuto essere condannata a morte secondo la legge degli Stati Uniti. Ed ha aggiunto:
“Si può menzionare almeno uno dei recenti eventi paragonabili a questo, come la distruzione Russa di Grozny 10 anni fa, una città delle stesse dimensioni. O Srebrenica, quasi universalmente descritto come un ‘genocidio’ nell’ Est. In quel caso, come sappiamo in dettaglio dal rapporto del governo olandese e da altre fonti, la comunità Musulmana nel territorio Serbo, inadeguatamente protetta, fu usata come base per gli attacchi contro i villaggi Serbi, e quando avvenne la scontata reazione, fu un’atrocità. I Serbi scacciarono tutti eccetto maschi anziani ufficiali dell’esercito, e dopo entrarono per ucciderli.” (Chomsky, “Presidenza Imperialista”, Canadian Dimension, Gennaio/Febbraio 2005)
E’ chiaro, perciò, che Chomsky considera Srebrenica nient’altro che un equivalente ai crimini “per i quali la leadership politica potrebbe essere condannata a morte sotto la legge degli Stati Uniti”.
Allo stesso modo, a pagina 208 del suo libro Egemonia o Sopravvivenza (Hamish Hamilton, 2003), Chomsky si riferisce al massacro di Srebrenica – nessuna virgoletta è stata usata né qui né sull’indice:
Queste non sono le parole di qualcuno che insiste nell’apparire “disdegnosamente ragazzino”: “Srebrenica non è stato un massacro.” Non sono le parole di qualcuno che crede che il termine massacro dovrebbe essere messo tra virgolette nella descrizione di Srebrenica. Ed inoltre questo non è ciò che la Brockes ha dichiarato nel quotidiano nazionale.
Perché allora la Brockes non ci ha risposto? Si trova nell’impossibilità di farlo? Se così fosse, non è il Guardian moralmente obbligato a correggere questo disonore, o farlo correggere in pieno da Chomsky? Perché l’editore del Guardian, Alan Rusbridger, ed il difensore civico, Ian Mayes, hanno anch’essi rifiutato di rispondere alle email che noi ed altri abbiamo mandato loro?
Le critiche su Chomsky sono presenti nel pezzo della Brockes, le sue ammissioni principalmente assenti. Le critiche affermano che Chomsky “abbia colmato i vuoti di sapere con la propria ideologia”. Noi leggiamo che “tra tutti gli intellettuali della lista di Prospect, Chomsky è colui che spesso è maggiormente accusato di impantanare un dibattito in spazzatura intellettuale, ciò che lo scrittore Paul Berman chiama “la sua abituale bufera di informazioni incomprensibili”.
Il recensore di libri George Scialabba ha espresso un commento sulle “incomprensibili informazioni” della critica su The Nation:
“Dopo la guerra in Indocina, scrive Berman, Chomsky non ebbe modo di spiegare le atrocità in Cambogia.
Egli inoltre partì con l’ intenzione, basandosi sulla sua ‘solita bufera di… incomprensibili informazione (un commento insolente, questo, che proviene dall’autore di un libro così documentato ed illuminante come Terrore e Liberalismo), di dimostrare che ‘in Indocina nonostante tutto quello che è stato pubblicato sui giornali… non c’è mai stato un genocidio.’ O se c’è stato, è stata tutta colpa dell’ America”.
Scialabba ha spiegato che ciò che Chomsky ed Edward Herman in verità volevano nell’Economia Politica dei Diritti Umani era “mostrare come i crimini degli ufficiali nemici sono trattati diversamente e concepiti dai mass media americani di governo rispetto a quelli commessi dagli ufficiali alleati o dalla stessa America. Accettando senza argomento l’ esistenza di ‘considerevoli e orribili atrocità del dopo guerra in Cambogia, Chosmky e Herman hanno rivisto le fonti su cui fecero affidamento i media di governo mostrando quanto erano mediocri nel raccontare una storia conveniente ed ugualmente credibile provenienti da fonti sottoposte all’ influenza Americana ignorando generalmente altre fonti non convenienti (per esempio riguardo a Timor est in Indonesia).
Ma Berman rimane da solo nel distorcere la Politica Economica dei Diritti Umani, ha fatto notare Scialabba:
“Trattare in modo giusto il disaccordo del libro richiede un grado di discriminazione, attenzione ai dettagli e scrupolo polemico, cortesie raramente accordate a Chomsky dalla sua critica.” (Scialabba, ‘Clash of Visualizations,’ The Nation, April 28, 2003)
E certamente non dalla Brockes del Guardian.
In realtà, ciò che è così incredibile di Chomsky è che fa affidamento su fonti impeccabili – autorità riconosciute nel loro campo, documenti declassificarti del governo, giornalisti dell’establishment e così via – tutte fonti meticolose scelte in modo che i lettori possano controllarne l’affidabilità. Non può esser in altro modo, come Chomsky ha fatto notare molte volte – i dissidenti sfidando il potere dell’establishment devono raggiungere uno standard di conoscenza sugli argomenti più alto degli scrittori che sostengono il governo perché saranno destinatari degli attacchi più feroci.
La Brockes ha chiesto a Chomsky se egli possedesse un “portafoglio di titoli azionari”. Chomsky “si guarda intorno” ci è stato detto. Dall’alto della sua saggezza e virtù la Brockes ha consigliato ad uno dei più altruisti ed etici avversari dell’oppressione: “alla gente non piace sentirsi chiedere della propria vita da parte di qualcuno che considera ipocrita.”
4 Novembre 2005
Traduzione di Manrico Toschi
VEDI ANCHE: NOAM CHOMSKY RISPONDE AL THE GUARDIAN