LA CONQUISTA E LA PERDITA DELL’ARTICO

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DI MANUEL GUERRERO BOLDO

tiempodeactuar.es

L’Artico si trova nel pieno di un circolo vizioso di disgelo. Questo si genera come conseguenza dell’aumento della temperatura dovuto alle emissioni di gas serra, che a sua volta provoca altri fenomeni: la sparizione del ghiaccio che libera bolle di metano millenario (gas da effetto serra che contribuisce al riscaldamento globale) e la diminuzione dell’effetto albedo (1) che spiegheremo in seguito, accelerando e aggravando così il cambio climatico (due grandi cicli di feedback positivi).

Di norma quando si pensa alle conseguenze del cambiamento climatico per l’Artico si intuiscono immediatamente le problematiche relative al suo ecosistema o alla fauna artica. Ma non avvertiamo gli effetti più “sistemici” che possono alterare in maniera determinante le condizioni che rendono possibile la vita dell’uomo sul nostro pianeta. Questa logica si inserisce bene in un discorso che vuole costruire una normalizzazione, che analizzeremo più avanti.

Di norma quando si pensa alle conseguenze del cambiamento climatico per l’Artico si intuiscono immediatamente le problematiche relative al suo ecosistema o alla fauna artica. Ma non avvertiamo gli effetti più “sistemici” che possono alterare in maniera determinante le condizioni che rendono possibile la vita dell’uomo sul nostro pianeta. Questa logica si inserisce bene in un discorso che vuole costruire una normalizzazione, che analizzeremo più avanti.

Risulta pertanto conveniente citare alcuni degli effetti più perniciosi e meno evidenti, sia sull’ecologia che sulla politica economica, provocati dalla perdita dell’Artico per come lo conosciamo. Alcune delle conseguenze ecologiche verrebbero tranquillamente sfruttate come “sinergie” da alcuni operatori economici, compagnie petrolifere o governi più o meno vicini.

Come abbiamo segnalato, il cambiamento climatico che provoca il disgelo dell’Artico sarà stimolato dalla scomparsa di questa superficie ghiacciata, ma ciònon è dovuto solo alla liberazione delle bolle di metano. Non dobbiamo dimenticare l’effetto albedo, ossia il fatto che questa superficie gelata riflette la luce del sole più dell’acqua marina, e quindi respinge i raggi del sole di nuovo nello spazio e aiuta a mantenere più fresco il clima globale. La riduzione della superficie gelata implica che l’oceano assorba più calore e che l’arretramento dei ghiacci acceleri, producendo a sua volta un feedback positivo che aggrava il cambiamento climatico. L’albedo è la percentuale di radiazione riflessa da una qualsiasi superficie.

La temperatura, tra l’altro, cresce ai poli a una velocità maggiore che in qualsiasi altra parte del pianeta (1) e l’importanza geostrategica dell’Artico aumenta in maniera proporzionale al disgelo causato da queste elevate temperature.

L’Artico funge quindi da regolatore e influisce sulla temperatura globale, ma si è soliti pensare che l’aumento del livello dei mari contribuisca al disgelo dell’Artico come una delle conseguenze logiche più o meno “accettabili” nella normalizzazione della catastrofe per il nostro senso comune. Il problema “nasce dalla mancanza di affidabilità delle nostre sensazioni, che, abituate come sono alla nostra vita normale, trovano difficoltà nell’accettare il fatto che il flusso della nostra quotidianità possa avere dei problemi”(2). Non per questo dobbiamo sottovalutare, ovviamente, le gravi conseguenze che possono essere provocate dall’innalzamento del livello dei mari, dallo scioglimento del ghiaccio della Groenlandia e dal ritiro dei ghiacciai artici, che contribuiscono al 40% della media annua vicina ai 3 mm.

Figura 1. Fattori che influenzano l’aumento dei livelli del mare

aumento nivel del mar

Fonte: IPCC [3] (Nostra elaborazione)

Il disgelo dei ghiacciai, così come l’arretramento del ghiaccio marino, si ripercuote anche nella modifica della circolazione globale degli oceani. Questo comporta conseguenze rilevanti nei processi meteorologici mondiali, dato che il flusso oceanico regola il clima globale. Il ghiaccio dell’Artico influisce la corrente oceanica, facendo sì che i flussi di acqua salata che provengono dal sud dell’Atlantico diventino più salati, freddi e densi, tanto da miscelarsi una volta raggiunto l’Artico. Questa corrente d’acqua, più fredda, sarebbe inoltre trasportata a latitudini più meridionali grazie alla circolazione termoalina. Questa è responsabile della circolazione dell’acqua salata degli oceani e funziona come un “nastro trasportatore”, essendo determinata dalla densità e dalla differenza di temperatura e salinità. Ha un incidenza considerevole nel flusso di calore che va dai tropici ai poli, e in sua assenza non si riuscirebbe a comprendere il funzionamento del clima terrestre.

La forza della corrente termoalina dipende dalla quantità di ghiaccio presente nell’Artico, per questo la sua scomparsa può modificare il normale funzionamento delle correnti marine, e così impattare le condizioni atmosferiche. Inoltre, quando il fronte dei ghiacci arretra apporta acqua dolce al mare (l’acqua quando congela perde salinità), contribuendo a colpire il flusso della corrente termoalina perché l’acqua dolce è meno densa e leggera. Non si miscela come farebbe con l‘acqua salata.

L’alterazione dell’Artico contribuisce ad aggravare i disastri meteorologici, così come si afferma in un rapporto di Greenpeace “L’Artico e gli effetti del cambio climatico in Spagna”:

Ciò modifica della circolazione globale degli oceani, con conseguenze potenzialmente importanti per i processi meteorologici mondiali. […] Esistono sempre maggiori prove che il rapido riscaldamento dell’Artico possa già essere un responsabile delle modifiche dei modelli climatici e nei cambi di frequenza e intensità dei fenomeni meteorologici estremi alle latitudini più basse. (4)

Nell’addentrarci nei conflitti geostrategici, e nelle motivazioni di carattere economico che li alimentano, dobbiamo sapere che esiste un vuoto legislativo sulla delimitazione degli spazi marittimi che possono essere sfruttati per un saccheggio. Le frontiere terrestri sono ben regolate, lo stesso non si può dire di quelle marittime:

Secondo la Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto Marino, appartengono ai paesi limitrofi le risorse naturali dei fondali marini e del sottosuolo, fino a 200 miglia dalle loro coste. Possono, tra l’altro, chiedere l’estensione fino a 350 miglia, sempre che provino che suddetta estensione faccia parte della loro piattaforma continentale.(5)

È grazie a questa “soluzione”, sottoposta a una sorta di verifica, che aumentano quei dissidi che provocheranno conflitti in futuro. È doveroso segnalare che, per sfruttare le ricchezze dell’Artico, sono necessari enormi investimenti e progressi tecnologici, che sommati al disgelo ritarderanno l’esplosione di questi conflitti di interesse. Questa impasse deve essere sfruttata per trovare una soluzione al problema dell’Artico ,come la si trovò a suo tempo per l’Antartide risolvendo la questione con il Trattato Antartico. Questo trattato, entrato in vigore nel 1961, stabilì che la zona fosse una riserva scientifica e vi proibì le attività militari. Un’integrazione molto importante per questo trattato fu poi aggiunta nel 1998, fissando il divieto di una qualsiasi attività relazionata alle risorse minerarie, ad eccezione di quelle a fini scientifici.

Il disgelo dell’Artico permetterà l’accesso a depositi di idrocarburi che stanno già provocando una nuova “febbre dell’oro nero”, così come a nuovi giacimenti di minerali, stock di pescato e nuove rotte commerciali per il trasporto marittimo e turistico. In Alaska possiamo trovare un esempio paradigmatico della necessità di trovare nuovi giacimenti che possano soddisfare la domanda di petrolio greggio. L’approvvigionamento fornito dall’oleodotto Trans-Alaska (6) è stato fondamentale per gli Stati Uniti dopo che avevano esaurito le risorse del versante nord (che fornivano il 20% delle estrazioni petrolifere del paese)(7).

A quanto risulta, secondo il servizio geologico degli Stati Uniti (USGS), le riserve di petrolio nell’Artico non superano i 90 miliardi di barili, una quantità sufficiente a soddisfare la domanda mondiale solo per tre anni (8). Quello di cui è ricco l’Artico sono invece le riserve di gas.

La fauna dell’Artico, ovviamente, sarà duramente colpita da queste modifiche al clima e dall’attività depredatrice delle risorse che verrà poi. La pesca industriale sarà una delle maggiori minacce, viste le nuove aree che si renderanno disponibili; va segnalato che la banchisa finora ha funzionato da protezione naturale per queste specie. Questi processi di disgelo saranno un pericolo anche per gli habitat cruciali per la sopravvivenza delle alghe e del krill, che sono alla base dell’alimentazione di altre specie.

Non dimentichiamoci poi dei nativi del Polo Nord, che da centinaia di anni abitano queste regione e che, a causa del cambiamento climatico, rischiano di perdere le loro terre e le fonti di sostentamento. A Shishmaref, in Alaska, come segnala un resoconto di Greenpeace, il disgelo fa sì che il mare si infiltri nell’acqua potabile cittadina, provocando lo sgombero degli abitanti e mettendo a rischio le loro risorse costiere.

Qualsiasi sia la nostra scelta di vita, di economia e tecnologia da utilizzare, non potrà implicare la destabilizzazione delle condizioni che rendono possibile la vita umana sul pianeta. Di sicuro la logica capitalistica contribuisce non poco alla distruzione di queste condizioni, e non sembra una scelta possibile all’interno di queste premesse.

Come segnala Slavoj Zizek, è possibile che le catastrofi ecologiche, ben lontane dal minare il capitalismo, servano a un altro scopo (9). Uno scopo che servirà a sostenere i discorsi di normalizzazione per sfruttare le nuove opportunità offerte dall’Artico. Noi “beneficeremo” di nuove rotte marittime, nuovi giacimenti petroliferi, della nascita di nuovi prati verdi e nuove specie di alberi e arbusti in Groenlandia (10), un qualcosa che potrà appassionare il business del turismo. Tutte giustificazioni che possono farci star bene psicologicamente , “normalizzare” questi eventi. Può essere visto come il corso normale delle vita, nonostante la crescente coscienza “ecologica”.

Il disastro meteorologico di Katrina a New Orleans o il terremoto sottomarino del 2004, che ha provocato numerosi tsunami devastanti sulle coste dei paesi affacciati sull’Oceano Indiano, sono esempi di catastrofi naturali sfruttati dal capitalismo, come viene indicato nell’influente opera di Naomi Klein, “La dottrina dello shock”:

Quando Katrina distrusse New Orleans la rete dei think tanks repubblicani e dei costruttori iniziò a parlare di un “nuovo corso” e di allettanti opportunità; era chiaro che si trattava di un nuovo metodo delle multinazionali per conseguire i loro obiettivi: beneficiare dei momenti di trauma collettivo per dare definitivamente il via a nuove riforme economiche e sociali basate su tagli radicali (11).

Questo tentativo di “reductio ad absurdum” è ciò che incoraggia e promuove la normalizzazione della catastrofe da parte dei media e della nostra coscienza storica. Di conseguenza, come già segnalato prima, la componente psicologica, assieme al senso comune, gioca pure contro la prevenzione delle catastrofi e quindi contro la stessa umanità, e seguendo la logica di pensiero di Zizek: “Sappiamo che una catastrofe ecologica è possibile, anzi probabile, ma pensiamo che non succederà.”

Figura 2. Evolución del volumen de hielo del Ártico desde que se tienen registros.

deshielo ártico

Fonte: satellite Cryosat-2, Agenzia Spaziale Europea

MANUEL GUERRERO BOLDO

Link: La conquista y la pérdida del Ártico

03.01.2014

Traduzione per www.comedonchisciotte.org di GIANLUCA MARTIN

Note:

[1] Vedi: NASA (04/06/2011), What’s causing the poles to warm faster than the rest of the Earth?l
[2] S. Zizek, En defensa de causas perdidas, Akal, Madrid, 2011, p. 458.
[3] Vedi: http://www.climate2013.org/images/uploads/WGI_AR5_SPM_brochure.pdf
[4] http://www.greenpeace.org/espana/Global/espana/report/cambio_climatico/Artico/articoespana.pdf
[5] B. Palacián de Inza e I. García Sánchez, «Geopolítica del deshielo en el Ártico», Política exterior, luglio/agosto 2013, p. 90.
[6] Vedi http://es.wikipedia.org/wiki/Sistema_de_oleoducto_Trans-Alaska
[7] Vedi http://www.greenpeace.org/espana/Global/espana/report/cambio_climatico/Artico/articoespana.pdf
[8] Vedi U.S. Energy Information Administration (2009), Arctic Ocean Oil and Natural Gas Potential.
[9] Vedi http://www.egs.edu/faculty/slavoj-zizek/articles/el-futuro-como-ciencia-ficcion-una-nueva-guerra-fria/
[10] Vedi http://www.huffingtonpost.es/rosa-m-tristan/groenlandia-se-rompe_b_3842515.html
[11] Naomi Klein, La doctrina del shock, Paidos, pp. 29-30.

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