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La Redazione

 

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La Comunità Politica Europea: un buco nell’acqua

Le relazioni internazionali sono immobili dall’inizio dell’operazione militare russa in Ucraina. Le posizioni non mutano. Il presidente Macron ha creduto di poter modificare le regole del gioco rimescolando le carte in una riunione dei fratelli-nemici europei, la Comunità Politica Europea. Ma il presidente Putin l’ha battuto sul tempo, cambiando i confini della Russia e quindi il gioco stesso.
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A cura di Redazione CDC
Il 14 Ottobre 2022
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Gli invitati al vertice di Praga erano stati scelti in quanto unanimemente concordi, in teoria, nel condannare la Russia; in pratica però le cose stanno diversamente.

Di Thierry Meyssan, voltairenet.org

Il presidente francese Emmanuel Macron non sa prendere decisioni che risolvano le crisi, si limita a rimescolare le carte per aprire spiragli di nuove soluzioni. Un atteggiamento che, a maggio scorso, rilevando l’assenza di confronto sul conflitto ucraino, l’ha indotto a lanciare un’iniziativa: la Comunità Politica Europea.

Dopo la Confederazione Europea di François Mitterrand e l’Unione per il Mediterraneo di Nicolas Sarkozy, l’Eliseo si è perciò sforzato di convincere i partner dell’utilità di questa nuova “cosa”. Detto per inciso, la Francia cambia spesso idea: la Confederazione di Mitterrand caldeggiava l’alleanza fra l’Europa Occidentale e l’Europa Orientale, fra Bruxelles e Mosca; la Comunità di Macron vuole invece aizzare l’una contro l’altra.

La Francia, che nel primo semestre 2022 presiedeva il Consiglio Europeo, ha ovviamente sollecitato il suo presidente permanente, l’ex primo ministro belga Charles Michel, che vi si è buttato a capofitto: pensava di far da collante attorno alla UE, ritagliandosi un ruolo da primadonna, a scapito della presidente della Commissione, la rivale Ursula von der Leyen. I diplomatici francesi l’hanno pazientemente rimesso al suo posto, tant’è che durante la conferenza stampa finale non era sul palcoscenico. Quanto a von der Leyen, è stata invitata solo per salvare la forma.

La CPE è stata allestita con le risorse dell’Unione, ma non in suo nome. Infatti le riunioni preparatorie non si sono svolte nei locali dell’Unione, bensì al castello belga di Val Duchesse. Non si sarebbe potuto fare altrimenti, dal momento che all’iniziativa sono stati associati Regno Unito e Turchia. La Londra post-Brexit è ferma nel rifiuto di una struttura sovranazionale; dal canto suo Ankara bussa alla porta dell’Ue da troppo tempo per non temere di essere dirottata su un altro binario morto. Il Regno Unito ha persino sottilizzato sulla denominazione Comunità Politica Europea, che gli rammenta l’ormai sepolta Comunità Economica Europea, antenata dell’Unione Europea. La Turchia ha da parte sua preteso garanzie che la partecipazione alla CPE non sarebbe stata l’ennesimo diversivo per indurla a pazientare.

Alla fine al forum sono intervenuti 44 Stati: tutti quelli europei, a eccezione ovviamente di Russia e Bielorussia, i nemici dichiaratamente designati. Malauguratamente ci sono voluti sei mesi per preparare la rimpatriata, che quindi arriva troppo tardi. Nella fase preparatoria si trattava di alleare il continente contro i sempiterni nemici russi, che hanno invaso la giovane democrazia ucraina. Ovviamente alcuni Stati non la vedevano così. La Turchia badava a barcamenarsi tra alleati ucraini e occidentali da un lato e l’alleato russo dall’altro; nonché la Serbia che, come la Turchia, rifiutava di applicare le sanzioni contro la Russia, senza nemmeno darsi la pena di nascondere la propria russofilia. Nella UE, Austria e soprattutto Ungheria manifestavano palesemente la loro amicizia con Mosca, pur ripetendo a fior di labbra le tesi degli altri. Ma ecco che all’ultimo momento il presidente Vladimir Putin ha giocato la carta vincente mobilitando 300 mila veterani e facendo aderire quattro oblast ucraini alla Federazione di Russia. In questo modo ha scompigliato le carte molto meglio di Emmanuel Macron, che se l’è presa solo con le regole del gioco.

Infatti, se la Nato continuerà a trasferire armi, non sarà più per attaccare le repubbliche non riconosciute del Donbass, nonché le non-invitate forze armate russe in Ucraina, ma direttamente la Federazione di Russia, colpendo quello che ora è diventato un suo territorio. Trent’anni fa i britannici ritenevano russi Crimea, Novorossia e Donbass. Il fatto di giudicare oggi l’adesione di queste regioni «annessione» non cambierà la realtà.

La Nato calpesterà per giunta il diritto all’autodeterminazione dei popoli, che legittima l’indipendenza di queste regioni e la loro libera adesione alla madrepatria. Agli Stati ex-colonie apparirà allora chiaramente la natura dell’Alleanza: una coalizione di revanscisti che cerca disperatamente di salvare il secolare dominio sul mondo.

Ma d’altro canto, se la Nato decidesse di fermarsi, i suoi capi, che hanno continuato a proclamarsi a gran voce difensori della pace e della giustizia, sembrerebbero «tigri di carta», secondo la formula di Mao Zedong. Sarà così evidente a tutti che il dominio degli Occidentali è finito.

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Il 15 marzo il primo ministro ceco Petr Fiala, nonché gli omologhi polacco e sloveno, sono stati i primi capi di governo a recarsi a Kiev. Sarà l’unico atto di Fiala che rimarrà nella storia. Le sue uscite contro gay e riscaldamento climatico saranno obnubilate dal suo atlantismo sfrenato.

La riunione è stata aperta dall’accanito russofobo Petr Fiala, primo ministro ceco, che ha immediatamente dato il la alla seduta in chiave anti-Putin – la propaganda personalizza sempre i politici degli Stati. Fedele a se stesso, l’inevitabile presidente ucraino, l’attore Volodymyr Zelensky, intervenendo da remoto ha annunciato che i carrarmati russi avrebbero molto presto «marciato su Praga [sede della riunione] e su Varsavia» (sic). Con stoicismo, l’uditorio si è limitato ad applaudire educatamente, senza entusiasmo.

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L’UE invierà una «missione civile» per aiutare a definire le frontiere fra Azerbaijan e Armenia. Una decisione che non c’entra nulla con il summit di Praga. È però diventato urgente occuparsi di problemi che solitamente si lasciano imputridire.

Le riunioni a margine del summit sono state fallimentari, a eccezione del vertice armeno-azerbaijanese che, dopo un tiepido avvio, è continuato in serata.

Gli incontri tematici hanno permesso di conoscere l’opinione nel merito di ciascuno. Il sabotaggio dei gasdotti Nord Stream ha indotto i partecipanti ad accennare a una protezione delle infrastrutture comuni; non era però chiaro se si trattava di semplice preoccupazione oppure anche di una denuncia della sovranità statunitense. L’atto terroristico contro il ponte di Crimea non c’era ancora stato.
Dietro le quinte tutti si mettono d’accordo per acclamare le prodezze delle Forze Speciali Usa, ma al tempo stesso si domandano fino a che punto si spingerà Washington.

Non era prevista una dichiarazione comune a conclusione del vertice; né sarebbe stata possibile. È stato però concordato il calendario dei prossimi incontri: fra sei mesi in Moldavia, l’anno prossimo in Spagna, poi nel Regno Unito. Nessuno dei partecipanti sa però perché parteciparvi né se la CPE sussisterà.

È inutile combattere la propria natura. La riunione è stata coperta da Eurovision, struttura creata negli anni Cinquanta dalla Nato, che nell’ultimo concorso canoro ha premiato l’Ucraina. Alla riunione della Comunità Politica Europea è seguita una seduta informale del Consiglio Europeo, ove i 27 membri hanno tratto le conclusioni di questo vertice ciarliero e inutile.

Di Thierry Meyssan, voltairenet.org 
11.10.2022
Traduzione
Rachele Marmetti
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