LA CIA INDAGATA IN ITALIA

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DI CRISTIANO TINAZZI

Il 17 febbraio 2003 un uomo viene “prelevato” da sconosciuti a Milano vicino alla sua abitazione in via Conte Verde. Di fronte allo sguardo di alcuni testimoni, tre uomini a volto scoperto lo fanno salire a forza su unfurgoncino. L’uomo è Osama Moustafa Nasr, noto come Abu Omar, indagato dalla procura milanese perché nella sua casa di Milano avrebbe ospitato Es Sayed, “riconosciuto” come uno dei fantomatici capi di Al Qaeda. Chi si ricorda della notizia, apparsa su tutti i quotidiani, ricorda anche che gli inquirenti erano convinti che dietro la misteriosa sparizione ci fossero i servizi segreti egiziani. Il 3 marzo, a due settimane dalla sua scomparsa, l’intelligence americana solitamente molto riservata si fa avanti. Segnala al governo italiano che “secondo notizie che non si è in grado di verificare, Abu Omar può essere nei Balcani”. E’ un evidente depistaggio. Nessuno in quel momento è in grado di verificare la notizia.Il 9 dicembre 2004 viene fatta una interrogazione parlamentare in merito alla misteriosa sparizione dell’uomo dal deputato dei Verdi Mauro Bulgarelli. Nell’interrogazione, rivolta al Ministro dell’interno, si chiede se è vero che “alcune intercettazioni e il metodo utilizzato hanno convinto gli inquirenti che i rapitori sono agenti dei servizi segreti, presumibilmente americani e, forse, italiani. È questo infatti il metodo usato dagli americani per far sparire almeno 70 terroristi veri o presunti; Secondo una ricostruzione ancora ufficiosa Abu Omar sarebbe stato trasportato in una base americana in Italia, probabilmente Aviano, e quindi portato in Egitto dove, quattordici mesi dopo il rapimento, viene scarcerato per poche settimane di libertà vigilata; l’Italia è quindi già divenuta teatro di una vera e propria guerra sporca al terrorismo dove si considera lecito un arresto illegale”. Bulgarelli chiede inoltre “di quali elementi informativi il Governo disponga in merito a quanto delineato in premessa, e quali iniziative intenda adottare al riguardo notizie ufficiose, che indicavano la probabile detenzione del rapito nella base di Aviano americana in Italia con scalo aereo e quindi portato in Egitto dove, quattordici mesi dopo il rapimento viene scarcerato ma solo per poche settimane di libertà vigilata”. La notizia rimbalza “di striscio” sul Corriere della Sera il 18 dicembre 2004.

In un articolo intitolato “Le celle fantasma di Guantanamo” si parla anche del misterioso rapimento. Il sei febbraio 2005, il Sunday Times pubblica un articolo di Stephen Grey sulla vicenda. Grey intervista alcune persone: “Non è sicuro che siano stati italiani o americani a prenderlo”, dice Imad, uno dei frequentatori della Moschea. “Ma sicuramente erano occidentali. Non sono stati gli egiziani a prenderlo”. Poi il 17 febbraio, un altro articolo, questa volta di Repubblica, rende note delle intercettazioni telefoniche fatte dalla D.I.G.O.S. di Milano l’8 maggio 2004 tra Abu Omar e l’Imam della moschea di via Quaranta, Mohammed Ridha. Dice Abu Omar: “I due che mi hanno sequestrato sembravano italiani, almeno dall’aspetto, ma non so dire se fossero italiani. Pensavano di avermi stordito con lo spray, ma quando il furgone è ripartito sono riuscito a mettermi sulle gambe. Mi avevano messo un cerotto sulla bocca, ma avevo gli occhi liberi e mi era stato lasciato l’orologio. Abbiamo viaggiato per circa cinque, sei ore…Ho avuto la sensazione di essere in una base militare americana, perché ho potuto riconoscere le insegne sul timone di alcuni aerei. I due che mi avevano sequestrato, mi hanno portato e lasciato solo in una stanza.

Dopo circa un’ora, sono arrivati altri quattro. Mi hanno interrogato fino alle tre del mattino. All’inizio provavano a parlare italiano, ma lo parlavano male e quindi sono passati all’inglese. Insistevano sempre sullo stesso punto: “Tu fai propaganda contro l’intervento americano in Iraq, aizzi l’odio contro gli americani. E’ vero? …Poi sono cominciate le botte. Mi hanno pestato fino a notte fonda. Poi, saranno state le tre, mi hanno messo su un aereo, su un piccolo aereo con pochi posti, abbiamo volato per circa quattro ore e all’alba abbiamo fatto scalo in un’altra base militare americana. Credo fosse una base nel Mar Rosso”. L’aereo riparte dopo poco e in un’ora è all’aeroporto civile del Cairo. “Appena sceso dalla scaletta mi hanno preso in consegna ufficiali egiziani. Mi hanno bendato e portato prima a Lazoughli, in una camera di sicurezza dei servizi segreti, di lì un altro trasferimento e mi sono ritrovato in una stanza del ministero dell’Interno egiziano. Qui sono stati sbrigativi. Mi hanno detto: “Se vuoi tornare in Italia, puoi farlo in meno di 24 ore. A una condizione: che tu ti metta a lavorare per noi”. Abu Omar si rifiuta. Il 18 febbraio 2003 viene trasferito a Tora, una città carceraria. “Gli interrogatori sono stati leggeri, pesanti sono state le torture. Mi hanno infilato in una cella frigorifera completamente nudo, doveva essere almeno a venti gradi sottozero, perché sentivo le ossa del mio corpo che si sbriciolavano. Quando ero quasi assiderato, mi hanno trascinato in una stanza che bruciava come il fuoco, almeno cinquanta gradi. Un’altra volta mi hanno disteso su un pavimento bagnato su cui hanno gettato cavi elettrici. A forza di quelle scosse ho cominciato a non muovere più bene le gambe, a non sentire più una parte della schiena”. Il 19 aprile 2004 è libero. Ma le telefonate tra il 20 di quel mese e l’8 maggio, riferite dai giornali italiani, lo rimandano in carcere.

Abu Omar ha perso parzialmente l’uso delle gambe e dell’udito. Dalla seconda carcerazione, di lui, non si hanno più notizie.
Secondo le indagini dal procuratore di Milano Armando Spataro, lo stesso gruppo di cellulari (con schede italiane), che si trova in via Guerzoni intorno alle dodici di quel giorno è lo stesso che si muove verso Aviano. E da quei cellulari partono telefonate al consolato americano di Milano e a un’utenza della Virginia, dove ha casualmente sede la CIA. Un cellulare di quel gruppo viaggerà fino al Cairo il giorno dopo. Dai telefonini gli investigatori sono risaliti a chi ha utilizzato le schede telefoniche in quei giorni e, dalle schede, alcuni nomi. Con questi è stato rintracciato l’albergo di Milano dove il gruppo ha alloggiato e l’agenzia di noleggio auto dove hanno preso in affitto il furgone e delle auto dell’operazione. Quindi la magistratura ha in mano tutte le carte che servono per perseguire gli autori di un sequestro di persona, perché è di questo che si tratta. Potrà arrestarli o come sempre, gli yankee hanno garantita l’impunità sul territorio italiano, cinquantunesimo stato (senza diritti) dell’impero americano? Pisanu avrà il coraggio di dire la verità sui fatti, o farà come al solito orecchie da mercante? E Castelli riuscirà a fare il Ministro della Giustizia, per una volta, o lascerà passare ancora una volta i crimini degli americani sul nostro territorio?

Purtroppo, la risposta possiamo immaginarla, supportata anche da una notizia di questi giorni: il “giustizialista” leghista Castelli, ha firmato di suo pugno la richiesta di rinuncia da parte dello Stato Italiano a processare un americano colpevole di stupro nei confronti di una ragazzina che all’epoca dei fatti aveva 14 anni, in base alla convenzione di Londra, demandando il tutto ad un tribunale militare. Americano. Che non processerà il militare.

D’altronde un Paese che ha una classe politica schiava degli interessi stranieri non potrà mai essere libero. E Tantomeno potrà essere giusto nei confronti del proprio popolo.

Cristiano Tinazzi
Fonte:www.rinascita.info
21.02.05

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