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La Redazione

 

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LA BOLLA DEL CARRY TRADING

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A cura di Davide
Il 8 Giugno 2007
89 Views

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DI EUGENIO BENETAZZO

Diventa terribilmente preoccupante conoscere come è stata finanziata la folle corsa di quel prototipo da corsa con il motore taroccato che porta il nome di globalizzazione.
La globalizzazione presuppone che i capitali vengano investiti nei paesi in cui l’investimento risulta maggiormente profittevole, ma allo stesso tempo che anche l’indebitamento si realizzi nei paesi in cui è più conveniente prendere a prestito il denaro.

Infatti così è successo. Come gli stabilimenti sono stati spostati in Cina o in India, perché lì era più profittevole insediarsi, così i grandi debiti d’esercizio delle multinazionali sono stati contratti in yen giapponesi.

E perché è stato scelto lo yen giapponese ? Semplice perché il tasso di sconto in Giappone è dello 0,25 % (quindi un tasso irrisorio). Vale a dire che se vi indebitate in Yen allora pagherete alla banca giapponese che vi ha acceso un finanziamento, un tasso di interesse passivo veramente ridicolo.
Questa tecnica speculativa è definita carry trading, e consiste appunto nel prendere a prestito denaro (in valuta) ad un tasso passivo ed investirlo altrove in un’altra divisa con un tasso attivo di rendimento notevolmente superiore.

In termini pratici, immaginate di indebitarvi in yen allo 0,25 % e di investire questa liquidità in dollari al 5 % (per investimento possiamo considerare quasi tutto: impieghi in azienda, rifinanziamenti, certificati dei deposito, obbligazioni e via così).
L’appeal di questa opportunità è stata talmente stuzzicante che nessuno ha saputo resistervi, infatti ad oggi circa i 2/3 del mondo occidentale industrializzato è indebitato in yen. State certi che non è assolutamente una notizia rassicurante.
La Banca Centrale del Giappone si è infatti comportata in questi ultimi tre, quattro anni come un grande fornitore di liquidità a quasi costo zero, e questa liquidità è stata presa in prestito con una disinvoltura veramente epocale per i più svariati usi: fusioni aziendali, ammodernamenti, investimenti, rinegoziazioni di debiti ed infine anche investimenti speculativi.
Cerchiamo di capire perché non è rassicurante sapere che una grande mole di debiti (quasi tutti di esercizio) è stata contratta in yen giapponesi. La risposta a questa domanda è illuminante: i tassi di interesse in Giappone sono destinati a salire e di conseguenza questo farà rivalutare prepotentemente lo yen contro le altre valute.
Ma facciamo un esempio pratico per capire in che modo si possono verificare effetti domino a catena molto pericolosi per il sistema finanziario globale e per ogni soggetto che si sia indebitato eccessivamente in yen.

Se sono una potente azienda multinazionale posso avere preso a prestito 250 milioni di dollari, che corrispondono a 30 miliardi di yen al tasso di cambio 120.00 (questo significa che per ogni dollaro mi danno 120 yen). Questo tasso di cambio è legato generalmente a variabili economiche, ma anche al livello di tasso di sconto in Giappone, che come abbiamo detto è dello 0,25 % (in USA è del 5,50 %).
Per la corporation multinazionale il debito è contabilizzato in un controvalore in dollari, ma ricordiamoci che è stato contratto in yen ed in yen dovrà essere restituito. Pertanto qualora la Banca Centrale del Giappone iniziasse ad aumentare il tasso di sconto, portandolo anche solo allo 1,00 % dall’attuale 0,25 %, il tasso di cambio dollaro/yen subirebbe nel tempo una consistente deprezzamento, dovuto al fatto che lo yen si è rivalutato contro il dollaro, portandosi magari a 100.00 (significa che mi danno 100 yen per ogni dollaro).

Le conseguenze per l’azienda multinazionale potrebbero essere finanziariamente devastanti in quanto i 30 miliardi di yen iniziali di debito iniziale (pari appunto a 250 milioni di dollari) si sono nel frattempo trasformati in 300 milioni di dollari !
Il debito ricordiamo deve essere estinto nella stessa divisa in cui è stato contratto: pertanto, l’azienda presa ad esempio si troverebbe aumentato il proprio debito del 20 % più il pagamento degli interessi che sono triplicati (dallo 0,25 % allo 0,75 %).
Naturalmente poteva accadere anche il contrario ovvero che il tasso di cambio dollaro/yen avrebbe potuto apprezzarsi ulteriormente così che il debito da restituire sarebbe diminuito. Molte aziende infatti hanno fatto questa proiezione ovvero di indebitarsi in yen per sfruttare l’effetto rivalutazione del tasso di cambio ed il livello dei tassi di interessi particolarmente bassi.
Ma qualcosa ha iniziato a non andare secondo le aspettative: innanzitutto il Giappone sembra stia definitivamente uscendo da una crisi deflazionistica durata quasi vent’anni, la sua economia (ricordiamo che il PIL giapponese è il secondo al mondo) ha recentemente dimostrato segni di forte ripresa grazie alle politiche di rilancio dell’attuale governo.
Sono molti gli analisti che consigliano il Giappone come mercato su cui concentrasi nei prossimi anni: un mercato che potrebbe rivelare delle inaspettate sorprese. Un pò meno sorprese e molti guai invece, si deve aspettare chi si fosse indebitato in yen. Capite perciò la criticità della attuale situazione di indebitamento da parte del sistema industriale globalizzato che ha fatto la parte del leone sin tanto che il gigante del sol levante è stato in letargo.

Tuttavia al suo recente e lento risveglio, un suo sbadiglio (accenno al rialzo dei tassi) è stato percepito come un ruggito, e tutte le corporations indebitate si sono trasformate da leoni a conigli bagnati con la coda fra le gambe, che adesso tremano e tentano di riparare in qualche modo. A Wall Street insegnano che il denaro non dorme mai, i polli invece spesso.
Non è finita, infatti, si deve aggiungere alla montagna di debito facile creato dalla globalizzazione anche una seconda montagna, pronta a franare da un momento all’altro: quella del boom degli strumenti finanziari derivati (come le opzioni, i futures ed i certificati).
Prima di proseguire mi è doveroso spiegare che cosa sono gli strumenti derivati a chi non lo sapesse: con questo termine si indicano quei titoli mobiliari quotati il cui valore di mercato è derivato da altri titoli (detti sottostanti) quotati su altri mercati, come indici di borsa, tassi di cambio e tassi di interesse.

Sono strumenti finanziari molto sofisticati che possono avere un duplice utilizzo: quello di copertura di un determinato rischio finanziario e quello di investimento con leva finanziaria (così detto utilizzo speculativo) vista la loro elevata volatilità.
Nel primo caso mi permettono, a fronte di un modesto investimento a fondo perduto, di proteggere un patrimonio consistente: per esempio per proteggere un portafoglio di titoli azionari dal rischio di un ribasso degli indici, posso acquistare una opzione PUT, destinata ad apprezzarsi in caso di effettivo ribasso delle quotazioni.
Quindi quello che perderò dalla svalutazione del portafoglio titoli, lo guadagnerò dalla rivalutazione dell’opzione PUT: considerate quindi lo strumento derivato, in questo caso, come una vera e propria assicurazione. L’esempio appena fatto è replicabile con tutto, obbligazioni, tassi di interesse, oro, petrolio ed ogni sorta di materia prima.
Nel secondo caso invece l’approccio si fa molto più complesso in quanto si presuppone di non possedere il così detto sottostante (tecnicamente il bene quotato da cui derivano il loro valore).

Nel caso in questione, immaginate di essere interessati a speculare solo sulla compravendita dell’opzione PUT per realizzare un profitto senza avere il portafoglio di titoli azionari. Questo approccio è dedicato solo ai professionisti di borsa, agli speculatori molto aggressivi.
Proprio come abbiamo anticipato prima, originariamente gli strumenti derivati venivano negoziati per proteggersi da andamenti e scenari dell’economia avversi rispetto alle attese. Erano strumenti poco diffusi ed al tempo stesso molto sofisticati. Negli ultimi cinque anni, tuttavia, hanno alimentato una pericolosa bolla finanziaria a causa del loro sempre più crescente appeal speculativo. Questo è stato accentuato ed al tempo stesso accelerato dalla nascita e presenza consistente sul mercato di grandi operatori istituzionali come gli hedge funds e le banche di investimento speculativo, che sfruttano l’effetto leva per moltiplicare i loro profitti.
L’effetto leva è una caratteristica tipica che contraddistingue gli strumenti derivati: consiste nella capacità di movimentare e negoziare grandi some di denaro avendo la disponibilità solo di una piccola parte.
Non voglio entrare troppo nel dettaglio in quanto rischierei di annoiarvi, immaginate semplicemente che potete acquistare o vendere determinali valori mobiliari (come azioni od obbligazioni) del controvalore di 1.000.000 $ mettendo semplicemente a garanzia di questa operazione una piccola frazione in percentuale, ad esempio il 5 %, quindi solo 50.000 $.

Perciò se quello che avete acquistato si è rivalutato del solo 2 % (quindi 20.000 $ su 1.000.000 $), in realtà l’investimento che avete effettuato ha reso il 40 %, in quanto i 20.000 $ devono essere rapportati all’esborso finanziario effettivo, quindi 50.000 $.
La potenzialità speculativa degli strumenti derivati è pertanto impensabile per l’uomo medio della strada, sfruttando l’effetto di leva finanziaria, è possibile realizzare enormi profitti dell’ordine del 100/200 % sull’investimento effettuato (che sarebbe invece rispettivamente la performance del 5/10 % realizzata dal sottostante).
Tuttavia come posso guadagnare il 40/100 %, con la stessa facilità, in caso di fenomeni economici avversi ed improvvisi, potrei perdere il 40/100 % di quanto ho investito.

Ora, a causa del preoccupante volume di controvalore che hanno generato i prodotti derivati, oltre i 300 trilioni di dollari (pari a 30 volte il PIL degli USA), i mercati finanziari si sono trasformati in gigantesche cattedrali costruite su impegni e debiti finanziari, castelli di carte che hanno basato le loro fondamenta su patrimoni piramidati con ingenti rischi esposti alla leva finanziaria.
Ed è proprio la globalizzazione con tutte le sue false illusioni ad avere reso possibile questi meccanismi perversi di allocazione del denaro attraverso il ricorso agli strumenti finanziari.

Di fatto quindi ci troviamo innanzi ad uno stadio evolutivo terminale, in quanto la corsa spropositata e disinibita alla negoziazione e sottoscrizione di strumenti derivati, ha notevolmente amplificato i rischi del mercato, anziché eliminarli.
Questo perché l’utilizzo e la diffusione è avvenuta con scopi prevalentemente speculativi: in questo momento i patrimoni di fondi speculativi e grandi banche d’affari investiti in prodotti derivati hanno esposto tutti i mercati finanziari (dalle obbligazioni alle azioni) ad un rischio di default finanziario su scala planetaria senza precedenti storici, amplificando anche la possibilità di fallimento di intermediari finanziarie e grandi gruppi industriali.
Non a caso si è sviluppato un mercato di strumenti finanziari specificatamente dedicati al rischio generico di default finanziario, i così detti CDS (acronimo di Credit Default Swaps). Questi strumenti finanziari derivati hanno lo scopo di trasferire l’esposizione creditizia di un soggetto nei confronti di altre parti: vengono spesso utilizzato con scopi assicurativi come, ad esempio, la copertura di prestiti obbligazionari.
La logica che li sostiene è pertanto la copertura di un mancato pagamento. Immaginate perciò l’attuale sistema finanziario del pianeta che non ha eguali con il passato, visto che utilizza toppe di carta a copertura di altre toppe di carte.

In definitiva il leit motiv è sempre lo stesso: non c’è denaro e mi invento, attraverso l’ingegneria finanziaria, qualcosa di idoneo a sostituire il denaro per coprire un debito. Nessuno di voi immagina che dimensione abbiano raggiunto solo questi CDS ed il ruolo salvachiappe che hanno per grandi fondi speculativi e banche d’affari.

Lo scenario globale che ne esce, pertanto, rispetto ad esempio al 1987, ha una potenzialità di detonazione finanziaria decisamente superiore, in quanto in quel periodo storico il ricorso all’utilizzo degli strumenti finanziari non era ancora molto diffuso e globalizzato come ad oggi.

Eugenio Benetazzo
Trader Professionista

www.eugeniobenetazzo.com/tour.html
www.youtube.com/eugeniobenetazzo

tratto da BEST BEFORE edito da Macro Edizioni

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