LA BOLIVIA ALLA SVOLTA

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Dal Centro de Documentacion e Informacion Bolivia – cedib

“La situazione boliviana è caotica. La possibilità di trovare soluzioni ai problemi strutturali del paese non si vede nemmeno. Il paese è ancora una volta scosso da blocchi stradali, scioperi della fame e mobilitazioni popolari e imprenditoriali.

Il governo ha fatto un passo indietro rispetto alla sua intenzione di aumentare il prezzo dei carburanti, cosa che ha causato le ire dell’FMI. I dirigenti civici di Santa Cruz sono decisi a convocare un referendum per l’autonomia come conditio sine qua non dell’unità nazionale. Se la convocazione di un’Assemblea Costituente si vede come àncora di salvezza di fronte al naufragio, oggi si nutrono molti dubbi sulla sua fattibilità. L’anticipo delle elezioni presidenziali potrebbe permettere di tirare il fiato in mezzo alla disgregazione dei partiti politici, con l’eccezione del Movimento Al Socialismo (MAS) di Evo Morales che, senza dubbio, ha perso molti voti, dal 21 al 18%, nelle elezioni municipali del 2004 rispetto a quelle presidenziali del 2002. Le ultime mobilitazioni di El Alto hanno costretto Mesa a rompere il contratto con l’azienda Aguas del Illimani, della multinazionale Suez, mentre l’ambasciata degli Stati Uniti esige che la Cámara de Diputados ratifichi il trattato di impunità a favore dei suoi “marines”, l’ingresso della Bolivia nell’Alca e l’approvazione di una nuova legge sugli idrocarburi che non tocchi i privilegi delle multinazionali.

Andres Soliz Rada – Avvocato, giornalista ed ex parlamentare boliviano”

Nell’ultima sessione del Foro del Sud 2004 si è giunti alla conclusione che, così come stanno le cose nel paese, per questo 2005 il tema principale che dovrà trattare il governo sarà il prezzo degli idrocarburi: mantenerlo congelato significherebbe il fallimento del Tesoro Generale della Nazione, mentre aumentarlo significherebbe far fallire l’economia popolare…

Effettivamente, dall’inizio dell’anno il Governo è sul punto di cadere perché ha preteso di trovare soluzione al problema aumentando il prezzo degli idrocarburi. Attenzione: non siamo noi quelli che affermano che il governo è sul punto di cadere, ma è il Presidente che continua a parlare del pericolo imminente di una sua possibile rinuncia.

I prezzi del carburante

Qui la situazione è molto più delicata. Giorno dopo giorno il paese è stato legato mani e piedi ai contratti in vigore con le multinazionali petrolifere, e una delle conseguenze è che i prezzi interni del petrolio e dei suoi derivati si stabiliscono in accordo ai prezzi internazionali e non in accordo ai costi di produzione come succedeva prima della legge sugli idrocarburi di Gonzalo Sanchez de Lozada datata aprile 1996.

Per questa legge i boliviani, che hanno petrolio proprio e capacità interna di raffinarlo, non hanno alcuna possibilità di pagarlo al prezzo reale di costo (circa 10 dollari al barile), ma al prezzo imposto dalle speculazioni mondiali (che oggi supera i 40 dollari al barile!). E nelle condizioni di adesso questa è una bomba ad orologeria per l’economia popolare e anche per l’economia delle imprese (in special modo per l’agrindustria di Santa Cruz). Da qui, l’ultimo governo di Banzer era stato costretto a congelare i prezzi dei carburanti anche se questo era costato al tesoro Generale della nazione il dover accettare un compromesso: versare alle multinazionali la differenza tra il prezzo mondiale e quello congelato. Con questa trovata, la mossa tocca di nuovo al Tesoro. Che fare?

Il governo insiste che l’aumento del diesel e della benzina è l’unica soluzione possibile per riequilibrare il deficit fiscale, per poter pagare le spese del settore sanitario e dell’educazione, e per evitare il contrabbando di diesel e la sua conseguente diminuzione di scorte. Però i fatti non stanno dimostrando che questa è la soluzione (questo è già stato ampiamente dimostrato con il fatto che il costo della vita è aumentato, così come sono aumentati i passaggi di mano e, per questo, sono aumentati i costi di quasi tute le produzioni).

L’unica soluzione seria è quella che sta progettando la Comisión Económica del Congresso con la nuova legge sugli idrocarburi: con il recupero della proprietà degli idrocarburi da parte dello stato si potrà determinarne il prezzo interno sulla base del costo reale e non sulla base dei prezzi stabiliti dal mercato mondiale. E’ il vantaggio di possedere petrolio proprio: sapete quanto costa la benzina in Venezuela? 25 centesimi di boliviano! Non è un errore, tre centesimi di dollaro. Qui nessuno chiede cose simili ad un ribasso (cosa che suppone una sovvenzione statale che la Bolivia non si può permettere) solo si chiede che i prezzi smettano di aumentare. Ma il presidente Mesa, obbediente alle consegne dei poteri stranieri, nega di accettare questa possibile soluzione e preferisce una soluzione a discapito dell’economia popolare (e nazionale). E l’ultimo ribasso del prezzo del diesel equiparato a quello della benzina è servito a poco perché non fa che scaricare il problema per metà sulle spalle del Tesoro e per metà sulle spalle del popolo, ed è chiaro che nessuno dei due può sopportare una simile incombenza.

La responsabilità del governo

E’ innegabile che in questo stato di convulsione partecipano attivamente molti settori popolari, espressi dalla Central Obrera Departamental, dalla Federación de Juntas Vecinales e da altri, di cui è ovvio dire che sono meri fanalini di coda del Comité Cívico, ma che nei fatti riempiono le strade e permettono che si affermi che tutta Santa Cruz sta insorgendo per una supposta protesta contro il “dieselazo” (l’aumento del prezzo del diesel). Però, chi ha fornito all’oligarchia cruceña [credo voglia dire “di Santa Cruz – nota di Truman] l’argomento per cui appare come alleata degli interessi popolari accusando il Governo di stare incrementando la fame della gente?

Niente meno che il presidente Mesa, che fin dal primo giorno del suo governo non ha chiesto di governare con i movimenti sociali né di assumere l’agenda di Ottobre, e che ora ha preferito risolvere la crisi del Tesoro a costo dell’economia popolare e non al costo delle garanzie delle multinazionali che continuano a resistere in quella che è chiamata una legge sugli idrocarburi. Lui che confisca, che continua a chiedere al Parlamento che si approvi l’immunità per le truppe statunitensi (con il ricatto che, in caso contrario, non ci sarà denaro per installare il gas a domicilio) e che oltre al decreto di fine d’anno ha emesso un altro decreto che autorizza le Forze Armate ad intervenire con armi da guerra nel caso di convulsione sociali (lui che è disposto a rinunciare anziché uccidere, allo stesso tempo è disposto ad autorizzare che altri uccidano impunemente, siano nordamericani o boliviani). Lui che autorizza le imprese petrolifere a registrare le proprie concessionarie secondo il Diritto Reale… Non è provocare il popolo?

Conclusioni

Evidentemente chi chiede la rinuncia del presidente, senza avere un’alternativa concreta da proporre, sta danneggiando il paese. Però qui c’è un governo che non ha alternativa, che si sottomette ai poteri stranieri fino all’estremo di provocare la popolazione, e che regala argomenti e bandiere popolari ai settori più reazionari dell’oligarchia, che sta facendo tutto questo a danno al paese. Per questo abbiamo detto di essere ad una svolta. E non sembra che noi si possa venir fuori da questo pasticcio né con gli sforzi (abbastanza ridicoli e poco convincenti) di chi tenta di costituire una bancata parlamentare oficialista, né con l’accorato e sentito “messaggio alla nazione” del capo del Mas, né con l’anticipare le elezioni generali (la mancanza di proposte politiche concrete e la mancanza di unità dei movimenti sociali le rendono inutili). E una eventuale successione presidenziale da parte dell’attuale presidente del Senato (il mirista Vaca Díez, uomo rappresentativo del peggiore e vecchio sistema, e uomo di fiducia dell’oligarchia cruceña) peggiorerebbe addirittura le cose.

Le speranze tuttavia non sono perdute, lì dove i settori indigeni e campesini delle Tierras Bajas (le Terre Basse) hanno iniziato a gestire una unità sociale che prima si era chiamata “Bloque Oriente” (Blocco Orientale, l’unico settore che si è saputo tirar fuori dal Comité Cívico di Santa Cruz) e che lentamente si va unendo alle Tierras Altas con il “Patto di Unità”. E’ una piccola speranza che tuttavia si vede ancora lontana anche perché, tra le altre cose, le manca molto per coinvolgere le masse dei poveri delle città. Ma è quello che c’è.

tratto da Selvas

Traduzioni di Giovanna Vitrano

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