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di Gilberto Trombetta
L’Italia inizierà a pagare da quest’anno per qualcosa che ancora non esiste, il Recovery Fund.
Come se non bastasse, escludendo i prestiti che per definizione vanno restituiti, l’Italia contribuirà al fondo attraverso il bilancio UE con cifre maggiori a quanto riceverà.
Eh sì perché a fronte di un paio di miliardi in media di contribuiti netti che l’Italia potrebbe ricevere (potrebbe, non riceverà) dovrà contribuire al nuovo bilancio UE per circa 50 miliardi di euro netti nel settennio 2021/2027 (grafico 1) a causa della Brexit e dei rebates strappati dai Paesi centrali (circa 2 miliardi di contributi netti in più all’anno che dovremo versare).
Vuol dire che dal 2000 al 2027 l’Italia avrà versato circa 140 miliardi di euro alla UE (grafico 2). A cui bisogna aggiungere i quasi 60 miliardi versati tra MES, EFSF e prestiti bilaterali vari.
Cioè un totale di circa 200 miliardi di euro sottratti ai lavoratori italiani. Quelli sì, davvero a fondo perduto. Altro che pioggia di miliardi.
Ma non basta ancora.
Perché l’erogazione dei fondi potrà essere interrotta in qualsiasi momento se non verranno rispettati i folli criteri del patto di stabilità e crescita che è solo temporaneamente sospeso e che tornerà presto in vigore. Nella sua forma originala, ovviamente.
C’è scritto sul regolamento del Recovery Fund, non sull’Eco del sovranista.
Insomma, dispiace dirlo, ma aveva ragione chi – avendo letto i documenti europei e conoscendo l’anima marcia su cui si fonda la UE – sosteneva che il Recovery Fund altro non fosse che un MES mascherato, con pesantissime condizione ex ante (deciderà la UE come dovremo spendere quei soldi che però sono i nostri) ed ex post (la UE deciderà fino al 2058 le manovre di bilancio dell’Italia per far rientrare il rapporto debito/PIL dall’attuale 158% al 133% – grafico 3).
Come? Ovviamente non con la crescita, a ma a colpi di avanzi primari.
Ma non come quelli che abbiamo fatto a partire dal 1992 (anno della firma del trattato di Maastricht).
Parliamo di avanzi primari in stile Grecia post ricorso al MES.
Insomma, come diciamo da anni, la UE è irriformabile.
L’unica cosa che si può provare a fare della UE, di concerto con altri Paesi, è la sua disgregazione controllata.
E se ci dicono di no?
Beh, in quel caso l’unica soluzione sarebbe l’uscita unilaterale.
Ci sarebbe da ballare? Sicuramente sì.
Ma il recupero della sovranità non è, non può essere, un pranzo di gala.
À la guerre comme à la guerre.
La libertà, d’altronde, non ha prezzo.
O, almeno, non dovrebbe averlo.
Pubblicato il 11.01.2021