DI ALESSIO MANNINO
nuovavicenza.it
Veltroni non si ricandiderà. Per forza: il suo stagno è stato prosciugato dal Veltroni 2.0, ovvero Matteo Renzi. Che ripete più o meno le stesse cose che nel 2007 diceva Walter. Il quale a sua volta clonava Berlusconi nel modo di porsi e fare politica: l’idea di partito leggero, un programma fatto da un miscuglio di buoni sentimenti, slogans e luoghi comuni, la preminenza della comunicazione telegenica e semplicistica sui contenuti, il leaderismo e la personalizzazione spicciola, l’appiattimento sugli articoli di fede dell’ideologia unica liberal-liberista, il culto del “nuovo” in quanto nuovo. L’11 ottobre scorso il teatro comunale di Vicenza straripava per ascoltare la buona novella di Matteo Renzi. Stimate 1300 persone, un grande successo di pubblico per lo show del sindaco di Firenze, la rockstar del momento – altro che Celentano. Perchè la sua campagna coi discorsi in piedi, microfono in mano, modello convention, è un format di spettacolo, un reality televisivo, come ha sottolineato il critico Aldo Grasso sul Corriere. E nient’affatto originale: è stile Forza Italia 1994, Berlusconi prima maniera (la “discesa in campo”). Non per nulla in regìa c’è Giorgio Gori, già deus ex machina di Canale 5. C’è chi teorizza la validità delle idee sulla base del riscontro popolare. In questo modo di sragionare c’è un difetto di logica: a parte che in un immaginario dominato dai media influisce di più il come che non il cosa uno dica, l’indice di gradimento rileva la corrispondenza fra offerta e domanda politica, non la qualità dell’idea o programma.
Proprio come in televisione, dove spesso fanno grandi ascolti delle trasmissioni che definire kitsch è poco.
Epperò, se non ci si rassegna alla berlusconizzazione totale e definitiva della politica, a contare più dell’immagine e della frase a effetto dovrebbero essere appunto i contenuti, il merito delle proposte. La loro veridicità, la loro esattezza fattuale, la coerenza con le premesse e le promesse. E qui il Renzi dimostra grossi limiti.
Al Comunale ha ripetuto il suo tormentone preferito, che è ora di finirla con «certe idee» della «vecchia sinistra». Tormentone, certo, perchè poi non si dilunga più di tanto nello specificare in cosa consistano. Il suo metodo retorico, da vero imbonitore, è l’affermazione assertiva, non la dimostrazione argomentata.
Studiando il suo percorso, comunque, si possono facilmente individuare i bersagli renziani: a parte l’età carrieristica dei dirigenti del centrosinistra (la famosa “rottamazione”), Renzi ce l’ha coi riti tipici dei partiti (i “vertici di coalizione” ecc), coi sindacati, ritenuti una forza conservatrice e nemica del “merito”, e per quanto riguarda il suo partito, con la mancanza di propositività, anzi di positività, dopo essere stato schiacciato per troppo tempo sull’antiberlusconismo puramente negativo.
Ora, l’ex assistente di Lapo Pistelli ed ex presidente della Provincia fiorentina per la Margherita ( con risvolti chiacchierati a cui si sta interessando la magistratura), non dice niente di nuovo. Anzi è molto vintage, sa molto di anni ’90. Per la precisione, è molto berlusconiano. Già Silvio faceva del disprezzo per le cerimonie e le lungaggini della partitocrazia un suo cavallo di battaglia – per poi esserne risucchiato anche lui. Già Silvio aveva imbastito una guerra campale contro il sindacato e in particolare contro la Cgil, escludendola dai contratti e accusando genericamente il sindacalismo di ostacolare lo sviluppo e la libertà economica. Già Silvio, mandando avanti un certo Brunetta, si era riempito la bocca con la parola “meritocrazia”, e lo stesso fece Prodi e hanno fatto praticamente tutti negli ultimi venti anni. Quanto alla tabe dell’antiberlusconismo obbligato, ma che anti-berlusconismo è stato quello che ha lasciato intoccato e intoccabile lo sciagurato conflitto d’interessi di Arcore? E dov’erano i supporter di sinistra di Matteo quando in parlamento Violante confessò che non c’era e non c’era mai stata la reale volontà di risolvere il vizio originario del tanto deprecato berlusconismo?
Bisogna riconoscergli, però, un certo grado di onestà intellettuale quando critica Berlusconi non per quello che ha fatto, ma per quello che non ha fatto: la rivoluzione liberale. Renzi si presenta come colui che può far meglio e non diversamente dall’antico avversario. Nel mito del liberismo liberatore, lui si vorrebbe sostituire a Berlusconi perchè più bravo a far le stesse cose che voleva portare a termine quest’ultimo. Non, quindi, per farne di differenti e alternative. Un Berluschino riveduto, corretto e migliorato. Prova ne sia che in materia economica e sociale i suoi ispiratori sono il liberista arrabbiato Luigi Zingales (che è pure co-firmatario del manifesto “Fermare il declino” di Oscar Giannino, opinionista di centrodestra) e Pietro Ichino, parlamentare Pd che differisce da Brunetta solo nei modi ma non nella sostanza (in estrema sintesi: meno diritti di stabilità contrattuale per tutti in modo da darne un po’ di più ai precari).
Quanto alla pars construens, se ci basiamo sulle idee leggibili sul suo sito, in economia è tutto un sentito e strasentito. Il Mondo ne ha fatto un’inchiesta qualche settimana fa (“Il vangelo secondo Matteo”, 28 settembre). Si rintracciano tremontismi (eurobond), dismissioni di immobili e aziende di Stato (roba già sperimentata, e di questi tempi molto difficile da realizzare a meno di non dare in pasto il patrimonio pubblico ai mercati stranieri: liberismo allo stato brado), nessun licenziamento fra gli statali (e qui è una mossa elettorale, con buona pace dei propositi liberali), il refrain sulla lotta all’evasione (giustissima, ma dov’è la novità?), ribellione al patto di stabilità (come? per fare cosa? non è specificato), lo spottone sui “cento euro in più in busta paga” (da finanziare coi famosi tagli alla spesa pubblica, una quisquilia da 1 miliardo e mezzo di euro: buona fortuna), la riallocazione dei fondi europei per aiuti alle piccole imprese (un tasto effettivamente poco battuto, ma senz’altro poco rivoluzionario).
Dov’è l’”Italia nuova” di Renzi, come scritto nel titolo della curiosa intervista fra Matteo e il padre Tiziano sul settimanale berlusconiano Chi della settimana scorsa? (Signorini ormai ha abolito la funzione del giornalista, i servizi di copertina se li cantano da soli gli intervistati in un’autopromozione senza freni nè vergogna).
Il nuovo di Renzi è vecchio, un dejà-vu, un rilancio di ricette predicate da decenni, che in Italia non sono state applicate perchè, evidentemente, non soddisfano i bisogni reali e profondi della società italiana. Quello che non capiscono i Zingales è che non siamo gli Stati Uniti, non siamo l’Inghilterra. Abbiamo una storia, una cultura e una struttura sociale diversa. Ecco perchè Berlusconi ha fallito. Ed ecco perchè Renzi illude sapendo di illudere. D’altronde, se i renziani vicentini accettano di buon grado come candidato sindaco un Variati ex segretario comunale Dc, borgomastro negli anni ’90 e capogruppo Pd con due legislature e mezzo in Regione, significa che vent’anni di illusionismo berlusconiano non sono bastati.
Alessio Mannino
Fonte: www.nuovavicenza.it
Link: http://www.nuovavicenza.it/2012/10/renzi-e-variati-marketing-neo-berlusconiano/
15.102.2012