DI NICHOLAS VON HOFFMAN
The Nation
La storia insegna che inflazione e costi bellici vanno di pari passo – e l’Iraq ne è la riprova.
Chiedi a George Washington cosa ne pensa del combattere una guerra a credito. Ai suoi tempi il Congresso stampò soldi per finanziare la Guerra Rivoluzionaria, ma trascurò di applicarvi tasse in appoggio della loro buffa moneta. Le banconote si chiamavano Continental e presto persero il loro valore, di qui derivò la famosa vecchia frase: “Non vale un Continental”.
Quando i tuoi soldi non valgono un Continental significa che sei nel pieno dell’inflazione. Successe 230 anni fa nella Guerra d’Indipendenza dall’Inghilterra. Stiamo vedendolo succedere nuovamente nella guerra contro… ebbene, chiunque stiamo combattendo. Non conosciamo i nomi, le località o i precisi perché della guerra all’Iraq, ma sappiamo che i costi si avvicinano al trilione di dollari.
Il “Congresso del Continental” era controllato da gente ricca e, si sa, i ricchi non amano pagare le tasse. Non allora e non adesso, che abbiamo un altro Congresso controllato da ricchi. Diversa guerra, stessa stupidità.
Dopo i disastrosi errori finanziari commessi nel 1776, gli uomini politici americani hanno perlomeno provato a pagarsi le guerre in corso. L’amministrazione di Lincoln approvò la prima tassa federale, cercando di pagare con quella i costi della Guerra Civile, ma non bastò e quindi il “greenback”, come si chiamava il dollaro di allora, perse rapidamente potere d’acquisto, si inflazionò, ma le monete d’oro, naturalmente, mantennero il loro valore. Fu soltanto dopo una decina d’anni dalla guerra civile che il Governo riuscì a rafforzare il dollaro cartaceo portandolo alla stregua del dollaro d’oro. Il rafforzamento fu fatto soprattutto sulla pelle dei contadini e dei manovali, ma non succede sempre così?
[Il vecchio dollaro Continental (banconota da tre dollari)]
Durante la I e II Guerra Mondiale furono fatti enormi sforzi per pagare i costi dei conflitti che si stavano combattendo. Fu così che durante la II Guerra Mondiale fu introdotta una tassa a tale scopo e i fondi furono dedotti direttamente dalla busta paga. Le tasse aumentarono di molto, specialmente per i ricchi. Forse si supponeva che siccome avevano molto di più da proteggere del restante 98 per cento della popolazione era giusto che pagassero più degli altri per la vittoria degli Stati Uniti. Un nemico vincitore avrebbe confiscato i loro beni, non quelli delle classi meno abbienti.
Si fece di tutto per fare in modo che tutti contribuissero a sovvenzionare le guerre; incessanti campagne furono condotte affinché la gente comprasse i “Fondi per la Guerra”, si incoraggiavano i piccoli a comprare i “Francobolli di Risparmio per la Guerra”.
Tuttavia, nonostante gli svariati miliardi di dollari investiti, i prezzi continuavano a salire e l’inflazione braccava la nazione, ma non così gravemente come sarebbe stato se non si fossero attuate le suddette misure di contenimento.
La guerra in Vietnam fu dapprima condotta senza spese eccessive. Quando Lyndon Johnson passò la sedia presidenziale a Richard Nixon nel 1969 i conti quadravano. Ad ogni modo Nixon non poté o non volle contenere le spese belliche, al punto che l’inflazione provocata dalla guerra diventò così grande che misure drastiche come il controllo dei prezzi dovettero essere imposte. Ma si sa che i controlli sostituiscono malamente una prudente gestione delle finanze, per cui non solo non poterono contenere l’inflazione, ma contribuirono ad un senso di spreco, disorganizzazione e caos sociale che ne sono la concausa. Ci volle più di una decade di recessione, bassi salari e confusione generale prima di rimettersi in carreggiata.
Ora c’è l’Iraq ed una Amministrazione che, o per non aver fatto bene i conti, o per pura testardaggine, ha ignorato quanto ogni ministero delle finanze di ogni Paese industrializzato sa da oltre 150 anni.
Anziché pagare per la guerra, George W. Bush e il suo entourage sembrano andare avanti con la pazza idea che Dio provvederà. Ebbene Dio – o i meccanismi di commercio e finanza – sta provvedendo, e il risultato sono massicce dosi di inflazione.
La situazione sarebbe peggiore, se non fosse per investitori stranieri che hanno prestato soldi per pagare i debiti che gli Stati Uniti si sono fatti perseguendo i fantasmi del terrorismo, però man mano che il dollaro si indebolisce, sempre meno sono gli investitori pronti a prestarci soldi. Non vogliono essere ripagati con dollari che per l’inflazione hanno perso il loro valore.
Il governo dovrà pagare interessi più alti per attirare investitori. Non c’è un solo adulto in America che non conosca il danno alle proprie finanze causato dall’inflazione. Ma non le finanze personali di tutti. Gente con molti soldi trova sempre il modo di proteggersi contro i danni dell’inflazione. Gente senza soldi no. E questo darebbe senso al vecchio adagio: “La guerra dei ricchi la combattono i poveri”.
Nicholas Von Hoffman scrive per il New York Observer ed è autore di “Hoax” (Nation Books, 2004).
Fonte: http://www.alternet.org/
Link: http://www.alternet.org/waroniraq/38550/
10.07.2006
Tradotto per www.comedonchisciotte.org a cura di GIANNI ELLENA